Una fiaba semplice ed un vero blockbuster: Avatar: la via dell’acqua, l’ultimo film di James Cameron nelle sale cinematografiche americane dal 16 dicembre, è emozionante, gigantesco, viscerale, e persino più avvincente del primo Avatar, che tredici anni fa sconvolse molte consuetudini filmiche e stabilì il record, ancora imbattuto, di incasso mondiale al botteghino con i suoi 2 miliardi e 923 milioni di dollari. Questa nuova puntata ha coinvolgenti sequenze subacquee che sottolineano il valore della biodiversità, dell’unione famigliare e del rispetto degli altri se si vuole costruire una società migliore. La famiglia, i contrasti fra i vari componenti, sono il sottofondo del film, insieme alla guerra, come nel primo Avatar. Ma lo scontro tra tecnologia e natura sembra trovare qui nuove soluzioni, con un’ambientazione che dà libero spazio all’azione sia sul piano contenutistico che estetico.

Avatar: la via dell’acqua spinge lo spettatore “a calarsi dentro allo schermo”, ad interagire con i personaggi, condividere le loro emozioni, “combattere” con loro contro gli alieni (noi umani!). La lunghezza è forse eccessiva, tre ore di continue tensioni per le sorti della famiglia Sully (Jake-Sam Worthington-, Neytiri-Zoe Saldana- e i loro figli) e dei Na’vi (gli indigeni del pianeta Pandora), ma il nuovo lavoro di Cameron (primo di una saga che ne prevede quattro) coinvolge con la sua vibrante epica, i suoi straordinari effetti visivi capaci di donare incredibili inquadrature mozzafiato (da vertigine se si guarda il film, come accaduto a me, con occhiali 3D!), una dietro l’altra grazie alla tecnologia CGI, tanto cara a Cameron (Computer Generated Imagery, cioè effetti e immagini generati al computer) che però non mette mai in ombra i personaggi, molti dei quali nuovi. La cosa speciale del film è che ci si dimentica che quello che si sta vedendo non esiste e non ci si chiede mai come sia stato possibile realizzare certe scene.
Avatar: la via dell’acqua ripropone alcune tematiche care alla cinematografia statunitense, e di James Cameron in particolare: la frontiera americana, il conflitto tra una civiltà tecnica ed una militare ed infine una popolazione indigena strettamente legata alla natura e al suo rispetto.
Al centro della vicenda, ancora i due protagonisti, Jake e Neytiri, questa volta a confronto con Spider (Jack Champion), l’umano nato su Pandora nella base militare Hell’s Gate e mai riportato sulla Terra. Oltre a lui ci sono gli altri componenti del clan Sully: Neteyam (Jamie Flatters), figlio primogenito dei protagonisti, Lo’ak, il secondogenito (Brian Dalton) e Tuktirey, la piccola di otto anni interpretata da Trinity Bliss. Tornano a lavorare con Cameron, dopo Titanic, Kate Winslet (che interpreta qui la Na’vi Ronal, una dei leader della tribù oceanica Metkayina: profondamente leale, guerriera senza paura nonostante sia incinta nel film) e Sigourney Weaver, qui nel ruolo di Kiri, la figlia adolescente adottiva di Jake e Neytiri (Era nel cast del primo film nel ruolo della dott.sa Grace Augustine, una donna umana che si schiera dalla parte dei Na’vi e muore durante il conflitto).
In una scena molto suggestiva, il secondo figlio maschio di Jake e Neytiri, Lo’ak (Britain Dalton) spiega che valore ha questo elemento acquatico per il popolo dei Na’vi, dal punto vista religioso e mistico: “La via dell’acqua non ha inizio e non ha fine. Il mare è dentro di te prima della tua nascita e dopo la tua morte. L’acqua connette tutte le cose: la vita alla morte, il buio alla luce”.
Avatar: la via dell’acqua è un film unico nel suo genere perché è la prima volta che gli attori recitano realmente sott’acqua. “Se si vuole far sembrare che le persone siano/vivano sott’acqua – ha detto Cameron – devono essere sott’acqua, non si possono usare solo effetti speciali”. Gli attori si sono allenati per aumentare il tempo che si trascorre sott’acqua senza respirare, e riuscire a recitare senza l’uso di bombole. Chi è riuscito a trattenere il respiro più a lungo? Kate Winslet, con sette minuti, ha preceduto Sigourney Weaver con sei e Zoe Saldana con cinque.