Per visitare il presepe barocco napoletano esposto al Met, qui le informazioni.
La scena? Il Presepe ha una composizione semplice, di pochi elementi, ma ben assortiti. Innanzi tutto, una capanna, esposta al gelo, perché quell’anno, oltre venti secoli fa, fu particolarmente rigido. A rendere l’idea del freddo, va bene anche una grotta, che è ancora più nuda ed esposta alle intemperie. O una delle sue possibili varianti, suggerite dalle vicissitudini moderne: un edificio diroccato, un vecchio sottoscala, una fabbrica abbandonata, qualsiasi anfratto naturale o meno, utilizzato come rifugio da sventurati senza tetto.
Poi tanta gente intorno, impegnata nelle occupazioni quotidiane, come falegnami e panettieri, lavandaie e pescatori. Erano i lavori della maggior parte della gente di quel tempo mentre stava per accadere l’evento straordinario. Oppure persone già in cammino, perché avvertiti dal passa parola e guidati nientemeno che da una stella splendente, apparsa di proposito in cielo. Magari ci fossero stati sms, tweet, o mail, radunarsi sarebbe stato più rapido, e magari sarebbe arrivata più gente. E allora, eccoli, uomini e donne, giovani ed anziani, con i loro sacchi in spalla, le pecore e gli attrezzi, fuori dalle case, dove il fuoco domestico rimane acceso in previsione del ritorno, o giù per le montagne, lungo pendii scoscesi, o attraverso fiumiciattoli di campagna.
Poi ancora, al centro, la famiglia, quella sacra naturalmente. Le raffigurazioni presentano i genitori in differenti posizioni: seduti, in piedi, in ginocchio. Il volto non è preoccupato per il parto né per le condizioni climatiche avverse, né dispiaciuto “perché per loro non c’era posto in albergo”.
Lo sguardo di entrambi, senza alcun fastidio per il trambusto provocato da tanta gente in un momento così delicato, è assorto, intensamente rivolto verso un punto preciso all’interno della capanna, concentrato a fissare un piccolo spazio ancora vuoto. Lo stesso nel quale, dopo il parto, sarà adagiato il loro primo e unico figlioletto. Quello è l’unico posto disponibile in tutta la zona, a suo modo confortevole perché riscaldato dal fiato di un paio di animali.
Più indietro, non in ritardo né in affanno, ma a tempo per il momento importante, i Magi sui loro cammelli, e i doni preziosi da offrire al nuovo venuto sulla terra, lungamente atteso, secondo la tradizione.
La sacra famiglia e i pastori, gli animali e i re Magi, le stelle e gli angeli: uno scenario unico e suggestivo. Pochi ed essenziali gli elementi che compongono la scenografia del Presepe, da cui in duemila anni è nato un racconto popolare che si è sempre più diffuso nei vari paesi, arricchendosi e differenziandosi secondo i costumi e i tempi, ma senza perdere di impulso o interesse. Si mescolano dogmi religiosi e tradizioni popolari. Le usanze si intrecciano alla dimensione del ritorno alle origini dell’uomo, indipendentemente dal proprio credo personale.
Compongono la scena parole ed immagini apparentemente uguali a sé stesse, per l’identità degli elementi iconici che si tramandano da una generazione all’altra, eppure ogni volta diverse o mutevoli. Innanzi tutto per la molteplicità delle invenzioni escogitate, per la varietà delle interpretazioni e delle tradizioni popolari. Ma non solo: basta davvero qualche statuina in più, o un filo di luci nuove per incuriosire? Il risultato è imprevedibile se ogni volta, anno dopo anno, qualcosa spinge a guardare con curiosità quella scena che si conosce a memoria. A fare il giro dei Presepi della zona, a rimanere in silenzio davanti ad essi.
La rappresentazione scenica della Natività si basa su un mondo di cose che per tutto l’anno rimane chiuso in qualche scatolone. È inerte, a prendere polvere in fondo a un armadio, in cantina, in un magazzino. Poi riprende vitalità quando un giorno decidiamo di tirarlo fuori da lì. Ritornando alla luce, ne scopriamo di nuovo le meraviglie.
La magia delle luci, l’alternanza del giorno e della notte, le melodie di sottofondo, e i marchingegni per rappresentare i momenti di vita quotidiana (il pane spinto nel forno; il secchio calato nel pozzo): possono essere tanti, rigorosamente nascosti sotto la cartapesta e il muschio. Molto più di un gioco per bambini, o un artificio per suscitare interesse. Ogni luogo è un possibile palcoscenico, le case private, i luoghi pubblici, le strade o le piazze. Così si moltiplicano le scenografie e i momenti di festa.
È un’atmosfera che certo incanta i più piccoli, stupiti dai movimenti e dai colori. Ma anche gli adulti, soddisfatti per il lavoro fatto, ne rimangono sorpresi, come se si trattasse della prima volta. Comporre questa singolare scenografia sollecita anche curiosità spicciole: davvero tre i Magi? Perché c’è sempre un pastore che dorme nonostante l’andirivieni di gente? O qualche domanda di natura linguistica: si dice presepe o presepio?
Sino al dubbio più insidioso, quello sulla natura stessa della Natività e delle ragioni di tanto fascino: è un evento religioso o anche profano? Cosa racconta la nascita di Gesù all’uomo di oggi? Perché un laico dovrebbe rimanerne suggestionato?
Nella rappresentazione natalizia, le infinite varianti permettono di spaziare a piacimento, e troviamo le figure di Giuseppe e Maria collocate ora da un lato ora dall’altro del quadro. Ma il centro della scena rimane misteriosamente sempre quel punto a terra nella capanna che raccoglie lo sguardo dei genitori, e non solo il loro. Un tratto piccolo di terra, a mala pena morbido per la paglia o il muschio o brullo per la roccia sporgente, singolarmente spoglio, e senza alcuna preziosità esteriore.
Ovunque collocato nella raffigurazione, quel punto sulla nuda terra sembra attirare una strana luce, riesce a catalizzare lo sguardo. E’ uno spazio senza nulla, prima che un gesto semplice vi adagi il pupazzetto che raffigura il bambino Gesù. Giunge a completamento della scenografia. E a compimento di una storia misteriosa. Mai un vuoto così totale ci è sembrato capace di richiamare, tanto radicalmente, il suo opposto. La pienezza che dà risposta alle inquietudini, e offre lenimento agli affanni.