«Apparet Camerina procul, campique Geloi,
Immanisque Gela fluvii cognomine dicta.»«Mi appare Camerina ed i campi Geloi,
e la grandiosa Gela chiamata dal nome del fiume»(Virgilio, Eneide, III libro)
La città di Gela, in Sicilia, oggi in provincia di Caltanissetta, non si è sempre chiamata così: in effetti, il suo primo nome come colonia greca del VII a.C. fu Lindos.
Lo storiografo greco Tucidide (460 a.C./395 a.C.) ci racconta che Lindos (attuale Gela) venne fondata nel 688 a.C. da alcuni coloni, provenienti dall’isola di Rodi e dall’isola di Creta, entrambi di una illustre stirpe dorica che sembra risalisse all’eroe mitologico Eracle. Una moneta d’argento del IV a.C. raffigurante il dio Ghélos, con l’aspetto di un toro con volto di uomo, rappresentava il fiume Ghélas ( questo ancora oggi scorre ai piedi della collina su cui sorse la cittadina) che regalò l’attuale toponimo. Con un evidente riferimento al tempio di Athena Lindia sull’isola di Rodi, il primo luogo sacro in pietra di Gela fu dedicato proprio ad Athena Lindia. La città di Gela (in particolare, attuale località Bitalemi) onorò anche due altre importantissime divinità, Demetra e Kore (considerate protettrici della maternità e, per questo, chiamate “Curotrofe”, “nutrici dei bambini”),il cui sacerdote pare fosse un antenato del tiranno Gelone. Ma chi era Gelone? Elogiato con parsimonia dai libri di storia, era in realtà un comandante, un politico di straordinaria abilità (sconfisse i Cartaginesi ad Himera nel 480 a.C.), appartenente ad un famoso ghénos, etnia, i cui antenati ebbero il merito di essere stati “padri fondatori” della città stessa.
Sotto di lui Gela raggiunse il massimo splendore politico e culturale. La cittadina, comunque, nonostante i successi, non si inorgoglì, ma mantenne perlopiù un atteggiamento rispettoso nei confronti dei popoli circostanti vinti e sottomessi (città di Omphake, attuale Butera e di Maktorio, oggi monte Bubbonia); la stessa fondazione dell’attuale Agrigento avvenne in modo non particolarmente cruento. L‘attività principale di Gela consisteva, infatti, nella produzione di cereali (grazie ai quali in più di un’occasione venne in aiuto a Roma in momenti di grave carestia) e nell’allevamento di cavalli e proprio per questo la cavalleria rappresentò il nerbo dell’esercito di Gela. In tale contesto si inserisce la straordinaria, direi unica, figura del tragediografo Eschilo (525 a.C./456 a.C.). Gelese solo di “adozione”, il suo nome e la sua opera sono entrati per sempre nel mito. Egli è stato il padre della tragedia greca e i versi immortali che ha lasciato al mondo sono patrimonio dell’umanità che è un imperativo morale tutelare dalla polvere del tempo.
Una straordinaria eredità per tutti noi. E proprio in occasione del 2400 anniversario della permanenza di Eschilo a Gela (459/456 a.C.), il Professore Giorgio Romano, scrittore, filosofo, ex Preside, ha ideato e creato una mostra permanente su Eschilo dotata di numerosissime fotografie con didascalie e accompagnata da un testo del medesimo Giorgio Romano che spiega in modo esauriente e chiaro le battaglie a cui prese parte il grandissimo tragediografo, in particolare Maratona (490 a.C.), Salamina (480 a.C.) e Platea (479 a.C.), la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti al tempo di Eschilo a Gela, i Misteri Eleusini (ricordiamo che Eschilo morì a Gela in modo accidentale, ma nacque proprio ad Eleusi a 20 Km. a nord-Ovest dal centro di Atene) e la straordinaria figura della prima donna ammiraglio della storia, colei che condusse la flotta persiana contro i Greci, Artemisia. Ma come perse la vita il primo e il più grande dei tragediografi greci?
In modo molto curioso: secondo le fonti antiche, un’aquila lasciò cadere dai suoi artigli, per romperla, una tartaruga sulla sua testa, scambiandola, a causa della calvizie per una pietra. Il merito innegabile dell’autore di tale Mostra è sicuramente quello di avere riunito dati che prima vagavano sciolti uno dall’altro, permettendoci così una visione d’insieme nitida e completa. Una curiosità: pochi sanno che a Gela è avvenuta la famosa battaglia (10/11 luglio 1943) tra gli Stati Uniti e l’Asse Italo-tedesco, con la schiacciante vittoria della fanteria americana. Tale notizia venne riportata al tempo dalla ben nota Rivista “Life”.
Concludo con i commoventi versi del poeta Salvatore Quasimodo (1901/1968) che dovrebbero indurre chiunque a non trascurare di fare visita almeno una volta nella vita a questa “perla della Sicilia”
“Su la sabbia di Gela colore della paglia // mi stendevo fanciullo in riva al mare // antico di Grecia con molti sogni nei pugni // stretti e nel petto.
Là Eschilo esule // misurò versi e passi sconsolati, // in quel golfo arso l’aquila lo vide, // e fu l’ultimo giorno”.