La 75.ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia sarà ricordata come un’edizione ricca di tanti film di valore e soprattutto storica: per la prima volta, infatti, una pellicola prodotta e distribuita da Netflix, “Roma“, diretta dal messicano Alfonso Cuaròn, trionfa vincendo il Leone d’Oro come miglior film. Dedicato – da qui il titolo – al quartiere di Città del Messico dove lo stesso regista è cresciuto, il film è girato in uno splendido bianco e nero, in 65mm e dolby stereo ed è una riuscita autobiografia personale, culturale e politica, in cui a fare da collante sono due donne: la tata, in una famiglia della borghesia messicana, e la sua padrona.

Un premio da più parti annunciato che però ha da subito suscitato polemiche visto che il film uscirà nelle sale cinematografiche di pochi paesi (tra cui l’Italia) e in streaming, in contemporanea, a dicembre. Il trionfo di Netflix è stata consolidato dal premio ai fratelli Joel ed Ethan Coen come miglior sceneggiatura per “The Ballad of Buster Scruggs“, una specie di “storia del western”.
È giusto o no che un festival del cinema ospiti film che non usciranno in prima battuta esclusivamente nelle sale cinematografiche? E soprattutto, quali le possibili conseguenze per l’intera industria e per il sistema-cinema? Ai critici (e indirettamente a Cannes, che aveva detto no ai film targati Netflix, tra i quali anche Roma), il direttore della Mostra di Venezia, Alberto Barbera ha risposto così a fine manifestazione: «Tutte le eventuali polemiche su questa vittoria sono effetto di una nostalgia che non si misura con la realtà di Netflix, la piattaforma più importante, ma che vede protagonista anche Amazon e – ha aggiunto – sicuramente a breve altri soggetti. Sembra comunque che proprio Netflix stia per comprare una catena di sale cinematografiche negli Stati Uniti. Insomma, il futuro sarà tra sale e questa nuova realtà streaming. Difendere il passato oggi significa solo perdere opportunità». Il successo di Alfonso Cuarón, già messosi in evidenza con “Gravity” (2013), conferma il momento d’oro del cinema messicano, che negli ultimi anni ha visto la consacrazione di Guillermo del Toro, (presidente di giuria a Venezia 2018 e vincitore agli ultimi Oscar con “The Shape of Water”) e Alejandro Gonzalez Inarritu (“Birdman” e “The Revenant”): in gara al Lido c’era infatti anche “Nuestro Tiempo” di Carlos Reygadas, che ancora una volta ha diviso critica e pubblico con un’opera estrema e provocatoria, quasi tre ore di indagine entomologica su una coppia aperta.
Nessun premio al cinema italiano. La cosa ha un po’ stupito, vista la buona accoglienza decretata dalla critica a “Suspiria” di Luca Guadagnino (un remake del film omonimo di Dario Argento, ma, purtroppo, “senza paura”), “Capri-Revolution” di Mario Martone (lo sconvolgimento interiore che suscita in una pastorella dell’isola l’incontro con una comunità alternativa di artisti vegani e naturisti) e “What You Gonna Do When The World’s On Fire” di Roberto Minervini (la quotidianità di chi, emarginato e per di più di colore, affronta sulla propria pelle la brutalità della polizia, l’ostracismo sociale e la gentrificazione immobiliare).
Più rilevante sottolineare come a fare la differenza in questa Mostra siano state soprattutto le figure femminili. Impossibile non citare Olivia Colman, vincitrice della Coppa Volpi come Migliore attrice e splendida Anna Stuart (ultima regina di quella dinastia e oggetto dei torbidi giochi di potere tra due cortigiane in cerca delle sue attenzioni) in La Favorita, del regista greco Yorgos Lanthimos (Premio della Giuria al Lido, come già a Cannes 2017 per Il sacrificio del cervo sacro). Nel cast anche le bravissime Emma Stone e Rachel Weisz. Rivelazioni e talento, quelli visti anche in due volti già proiettati ad un futuro di grande successo: Aisling Franciosi, protagonista di The Nightingale, diretto dall’unica donna in concorso Jennifer Kent e vincitore del Premio Speciale della Giuria, e Raffey Cassidy, vista in Vox Lux, dove a tratti ha quasi surclassato Natalie Portman. Senza dimenticare poi Marianna Fontana, protagonista di Capri Revolution. La star assoluta è stata comunque Lady Gaga, al suo debutto assoluto come attrice in A Star Is Born diretto da Bradley Cooper: ha catalizzato l’attenzione mediatica, come fu ai tempi di Madonna, quando nel 2011 portò a Venezia il suo “W.E.”, sulla storia d’amore tra Edoardo VIII e Wallis Simpson: il film di Cooper potrebbe valerle una candidatura ai prossimi Oscar, dove forse troveremo anche Claire Foy, moglie modello di Ryan Gosling in First Man, di Damien Chazelle.
Tra le carte vincenti dell’universo maschile non possiamo non ricordare The Sisters Brothers: il regista Jacques Audiard (Leone d’Argento per la Migliore Regia)si è spinto in un terreno rude e violento, sfaldando gradualmente il mito del cowboy, e in parte del vecchio West, grazie a Joaquin Phoenix e soprattutto John C. Reilly, protagonisti di una storia di “formazione” in cui poter mostrare le proprie fragilità e sentimenti. Altra menzione merita Baykaly Ganambarr, aborigeno della Tasmania, Premio Mastroianni come Migliore attore emergente e grande protagonista , assieme a Aisling Franciosi, in The Nightingale, un vendetta-film in piena regola, in stile western da terra dei canguri. Miglior attore è risultato un convincente Willem Dafoe, che con la sua difficilissima interpretazione di Van Gogh in “At Eternity’s Gate” si è caricato sulle spalle il film di Julian Schnabel per il resto convincente a metà, nonostante la splendida fotografia che faceva sembrare i fotogrammi quadri del pittore olandese.
Tanti i film di peso presenti nella riuscitissima 75.ma Mostra del Cinema di Venezia, e sarebbe troppo lungo elencarli, ma merita una menzione anche un importante dibattito in corso. Per i prossimi festival internazionali sembra prevalere la scelta di presentare in concorso film ugualmente divisi tra registi donne e uomini. Una decisione che, a parere di chi scrive, potrebbe rovinare la qualità dei film in concorso, perché costringerebbe i direttori artistici a scegliere film non bellissimi per raggiungere il quorum dei due generi: forse sarebbe meglio un lavoro a monte, cioè finanziare in maniera uguale produzioni femminili e maschili e poi… prevalgano quelli che il direttore artistico giudicherà migliori.