Il grande cinema italiano sta forse vivendo una stagione di ricerca di una nuova identità? Analizzando quanto visto alla 75.ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia possiamo dire che, al di là dei primi due film italici in concorso per il Leone d’Oro (“Suspiria”, di Luca Guadagnino; “What You Gonna Do When the World’s on Fire?“, di Roberto Minervini), è emersa la volontà di ricerca di tematiche che meglio ci aiutino a capire i sempre più veloci cambiamenti nei rapporti sociali.
Mario Martone con “Capri-Revolution” conclude la sua personalissima trilogia sulla storia italiana fino alla Prima Guerra Mondiale, dopo “Noi credevamo” e “Il giovane favoloso”, dedicati rispettivamente alle disillusioni del Risorgimento e a Giacomo Leopardi.
Siamo nel 1914, a Capri, l’Italia sta per entrare in guerra. Una comune di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte – esplicito riferimento alla comune che il pittore Karl Diefenbach costuì proprio a Capri agli inizi del Novecento, avendo come omologa quella del Monte Verità a Locarno, ancora in essere: vivere immersi nella natura, nudi, e cibarsi in modo vegetariano. Ma l’isola ha una sua propria e forte identità, che si incarna in una ragazza, una capraia di nome Lucia (Marianna Fontana). Il film narra l’incontro tra lei, la comune guidata da Seybu (Reinout Scholten van Aschat) e il giovane medico del paese (Antonio Folletto). La libertà dei membri della comune affascina Lucia e la irretisce, cambiando per sempre la sua sensibilità di donna e portandola a lottare per la propria libertà, contro il giogo di un maschilismo familiare insostenibile, senza però mai trasformare il tutto in odio.

Storicamente, all’inizio del Novecento, Capri ha attratto come un magnete chiunque sentisse la spinta dell’utopia e coltivasse ideali di libertà, come i russi che, esuli nell’isola, si preparavano alla rivoluzione. Ancora una volta i protagonisti di Martone sono giovani, come a voler raccontare – indirettamente – un’Italia giovanile che sente anche oggi la spinta ad interrogarsi, a cambiare il rapporto tra individualità e collettività. Film riuscito? “Capri-Revolution” è un lavoro diseguale e alterno, ma ha il merito di essere umanista e utopico allo stesso tempo: Lucia è la nuova rivoluzionaria (da qui il titolo) perché ama ciò in cui si imbatte, il “nuovo” rappresentato dalla comunità di intellettuali dediti all’arte, alla ricerca filosofica e al rifiuto di regole imposte, e lotta contro il “vecchio”, incarnato dai rapporti familiari.
Un’apertura al mondo nuovo, quella di Martone, che sembra invece non toccare Valeria Bruni Tedeschi, con “Les Estivantes – I villeggianti“, presentato a Venezia fuori concorso e suo quarto film da regista. Una villa sulla riviera francese. Un luogo che sembra isolato dal resto del mondo. Anna (Valeria Bruni Tedeschi) la raggiunge con la figlia Celià (Celìne Bruni Garrel) per alcuni giorni di vacanza. In mezzo ai familiari, agli amici (tra cui Elena, Valeria Golino) e al personale di servizio, la donna deve riuscire a gestire la recente fine del suo matrimonio con Luca (un non convincente Riccardo Scamarcio) e la preparazione del suo prossimo film. Dietro alle risate, alle discussioni e ai segreti emergono paure, desideri e rapporti di potere con un film autobiografico che sfocia ben presto nell’autofiction. Un film che soltanto raramente regala momenti esteticamente dignitosi: a gravare c’è anche la miriade di personaggi di contorno interpretati da figure reali della vita dell’attrice, che non vengono mai approfonditi a dovere sul piano né psicologico né tantomeno narrativo. Peccato, perché l’inizio, con la scena di una riunione di sceneggiatura, faceva presagire qualcosa di diverso.

Una riflessione sulle vicende della vita abbastanza ben riuscita è invece “Ricordi?” di Valerio Mieli, opera seconda dopo “Dieci inverni” che nel 2009 gli valse il David di Donatello, il Nastro d’argento e il Ciak d’oro per la migliore opera prima. In concorso nella sezione Giornate degli Autori, “Ricordi?” è una storia romantica che pecca forse un po’ di originalità ma si presenta come un viaggio emotivo in cui lasciarsi trascinare. A differenza del film d’esordio, il film di Mieli non è articolato questa volta su una progressione narrativa lineare, ma riflette esclusivamente il tempo interiore dei personaggi, con anche continui flashback. Da un lato c’è il filosofeggiare sulle possibili funzioni svolte dai ricordi (“Il ricordo mente – dice lui, Luca Marinelli – Abbelisce le cose che, così come sono, sarebbe invece insostenibili”; mentre per lei – Linda Caridi – “Le cose sono già belle da sole, non hanno bisogno di alcun intervento della memoria”), dall’altro lato c’è la disponibilità dei due personaggi a verificare sul campo la validità o meno delle varie ipotesi. Insomma, la mente è melliflua, poco affidabile – vuole dire il regista – quando si tratta di immagazzinare nella nostra testa esperienze e sentimenti. A disturbare in “Ricordi?” c’è però “l’autoerotismo” di alcuni dialoghi, che se in un reale rapporto amoroso sono tollerabili, sul grande schermo diventano stucchevoli. La durezza e purezza di lui – per esempio – ha un che di eccessivo: mi chiedo, ma nella vita e nei pensieri di un trentenne di oggi, fra tante preoccupazioni reali, viene davvero in mente di dire “Una storia comincia a finire non appena è iniziata”?

Di rapporto di coppia difficile parla anche “Saremo giovani e bellissimi”, primo lungometraggio di Letizia Lamartire, ma qui al centro c’è il rapporto fra una madre e il figlio maschio. Coraggiosamente la regista – autrice della sceneggiatura assieme a Marco Borromei ed Anna Zagaglia – senza falsi compiacimenti o strizzatine d’occhio, sottolinea il potenziale incestuoso tra i due, mostrando però comprensione della complessità di un rapporto in cui recidere il cordone ombelicale è una necessità, ma anche un’impresa. Isabella (Barbara Bobulova), un passato di giovane meteora del pop grazie ad un singolo rimasto nella memoria collettiva, si ostina a mantenere delle date fisse in un locale che fa musica dal vivo, ma la sala resta puntualmente semivuota. Il figlio Bruno (Alessandro Piavani) ha del talento, l’accompagna sul palco, ma forse è giunto per lui il momento di abbandonare il revival Anni ’80 della madre per inseguire il suo sogno da musicista con una band che sta per incidere un disco a Londra, guidata dalla fascinosa Arianna (Federica Sabatini). Il tema in “Saremo giovani e bellissimi” presentato nella sezione Settimana della Critica – è la gelosia di Isabella, uno spirito anarchico talmente affamato di libertà e autoaffermazione da trasformarsi in una scheggia impazzita e cannibalizzare le propie creature, trasformandosi in una specie di amante possessiva.

Il film, pur presentando qualche ingenuità da esordio e alcune sfumature drammaturgiche non chiare, seduce anche grazie alla colonna sonora , ricordandoci che Letizia Lamartire non si è laureata soilo al Centro Sperimentale di Cinematografia ma anche al Conservatorio.
E di rapporto madre e figlio parla anche “Un giorno all’improvviso”, opera prima di Ciro D’Emilio, inserita nella sezione Orizzonti. Antonio (Giampiero De Concilio) ha diciassette anni e un sogno: giocare in una grande squadra di calcio. Vive in una piccola cittadina campana, una terra in cui cavarsela non è sempre facile. A rendere ancora più complessa la situazione c’è la bellissima Miriam (Anna Foglietta), una madre dolce ma fortemente instabile, problematica, preda della ludopatia, alle macchinette del bar, e ossessionata dall’idea di ricostruire la famiglia dopo l’abbandono del marito. All’improvviso la vita sembra regalare ad Antonio e Miriam una vera occasione: un talent scout sta cercando delle giovani promesse da portare nella Primavera del Parma Calcio e, quando vede giocare Antonio in campo, è una vera rivelazione. Ma ogni sogno ha un prezzo molto alto.

Il film di Ciro D’Emilio è un affresco concreto e torrido di un figlio, costretto a maturare prima del tempo, e di una madre difficile, che sa come capovolgergli la vita ogni giorno. Il tema dell’abbandono e della malattia mentale sono centrali nella pellicola , che spazia in una realtà difficile in cui madre e figlio vivono di stenti. Il cinema ci ha narrato in innumerevoli modi il rapporto madre-figlio e quindi si sarebbe portati a pensare che non ci possa essere più nulla da mostrare in materia, ma siamo stati smentiti da Anna Foglietta e Giampiero De Concilio che si confrontano con un’intensità davvero fuori dal comune, delineando due caratteri credibili dalla prima all’ultima scena.