Il momento più glamour della Mostra del cinema edizione 2018 si è materializzato ieri, quando Lady Gaga, alias Stefani Joanne Angelina Germanotta, ha percorso il red carpet insieme a Bradley Cooper per presentare, fuori concorso, la quarta versione cinematografica di “È nata una stella”.
La Germanotta, 32 anni, di New York, è una delle popstar più amate nel mondo e un’icona della cultura italoamericana. Istrionica e camaleontica, ha dimostrato di saperci fare anche come attrice, in un film godibile impreziosito sicuramente dalla sua performance, come potrete leggere qui sotto. Intanto, il livello della rassegna rimane altissimo, con il western dei fratelli Coen e il nuovo film di Olivier Assayas.
A star is born di Bradley Cooper – Fuori concorso
Terzo remake dell’omonimo film del 1937 diretto da William Wellman con protagonisti Janet Gaynor e Fredric March. La regia è firmata da Bradley Cooper, che debutta dietro la macchina da presa e interpreta anche il ruolo del musicista Jackson Maine. Il risultato è complessivamente positivo e godibile, sebbene talvolta Cooper fatichi a gestire il doppio ruolo e la regia, conseguentemente, risulti in qualche modo assente. Nulla di irreparabile, anche perché la sua partner di set, Lady Gaga, incanta con la sua voce calda e potente e si mette a nudo, letteralmente: Bradley Cooper, per rendere più reale l’insicurezza della cantante riguardo il suo aspetto, avrebbe infatti deciso di farla recitare senza trucco nella prima parte del film. Una star che non può diventare tale a causa del suo aspetto; questo accomuna la Germanotta con il suo personaggio Ally, la cui lenta scalata al successo è ostacolata da poca fortuna e da un fisico non considerato adeguato al mondo della musica. Una bella rivincita, insomma. Il film, girato con alternanza di camera a mano e inquadrature più stabili, regala una colonna sonora che incanta. Una storia che ruota attorno all’amore per la musica, che a sua volta innesca un sentimento tra due persone che hanno in comune la passione per essa. La fatica del successo, i compromessi, le vittorie e le sconfitte, raccontate in un film fuori concorso alla Mostra Del Cinema di Venezia che arriverà nelle sale americane il 5 Ottobre e in quelle italiane l’11 Ottobre.
(Annalisa Arcoleo)
“Double Vies” di Olivier Assayas – Concorso
Alain (Guillaume Canet), editore parigino di successo, lotta per adattarsi alla rivoluzione digitale che sta trasformando il mondo della comunicazione. Ha grossi dubbi sul nuovo manoscritto di Leonard (Vincent Macaigne), da anni uno degli autori della sua scuderia editoriale: un ennesimo lavoro autobiografico che ricicla la sua storia d’amore con una starlet. Selena (Juliette Binoche), famosa attrice di serie televisive e moglie di Alain è dell’idea che il manoscritto di Leonard sia invece valido. Non tutto però è come sembra.
Questa, in sintesi, la trama di “Double Vies” del regista francese Olivier Assayas (“Personal Shopper“, “Sils Maria”, “Qualcosa nell’aria”, “L’Heure d’etè”), in concorso al Festival di Venezia e che dovrebbe uscire nel circuito internazionale con il titolo “Non fiction”.
Un film che conferma Assayas come un regista tra i più lucidi e critici nell’analizzare i caotici sentimenti umani nel mondo contemporaneo, il disordine dei rapporti interpersonali e le trasformazioni tecnologiche che viviamo intorno a noi (o subiamo?). Il mondo è da sempre in continuo cambiamento e “Double Vies” sembra suggerirci queste riflessioni: quanto siamo attenti alle innovazioni? Quanto siamo capaci di capire che cosa queste mettano in gioco di noi e del mondo circostante? E infine, quanto siamo capaci di adattarci ad esse?
Il libro di carta è morto con l’avvento di Internet? No, sembra dire il regista francese: anzi è diventato garanzia di qualità, l’e-book non soddisfa la nostra sensorialità. Il virtuale ci tenta, in tanti campi – ammettiamolo – ma poi sentiamo il bisogno di tornare ad una reafiltà tangibile. Succede nell’editoria, nel giornalismo, nel cinema.
Assayas non cerca di analizzare il funzionamento della new economy, ma si propone solo di farci riflettere, spesso tramite un umorismo acuto e dissacrante, sulle domande che assillano ciascuno di noi riguardo alla rivoluzione digitale. Un film sul bisogno di certezze in un mondo incerto, sul saper scegliere un cambiamento senza subirlo.
“The Ballad of Buster Scruggs” dei fratelli Coen – Concorso
Un vecchio libro ingiallito schiude una serie di sei racconti western, il primo dei quali, “The Ballad of Buster Scruggs”, è quello che dà il titolo al film: è l’espediente “grafico” con cui Joel e Ethan Coen mettono a comune denominatore la loro incursione “antologica” nel western, genere che hanno sempre dimostrato di amare e a cui hanno fatto costante riferimento per tutta la carriera.
Si inizia ridendo, con un primo episodio che ricorda i “Tre amigos” di John Landis, con un cowboy musicista tanto spietato quanto intonato, ma progressivamente l’atmosfera si incupisce sempre di più, fino all’episodio finale, in cui intorno a un topos western come “la diligenza” si dipana un’atmosfera inquietante e quasi gotica.
Divertissement o opera più ambiziosa? Solo un raffinato gioco di intelligenza cinefila e filologica o c’è di più? L’impressione è che per i due fratelli più talentuosi del cinema americano, il mito della frontiera, fondativo della cultura americana, non possa, oggi, che tingersi di nero.