Tra i libri di mio padre c’era una sorta di riassunto del Capitale di Karl Marx, lo presi e cominciai a leggerlo. C’era il Manifesto, quello che cominciava così ‘Uno spettro si aggira per l’Europa’. Compresi che quelle idee combaciavano con quello che io sentivo dentro di me. Già alle elementari pensavo che non fosse giusto che io avessi le scarpe lucidissime e miei compagni andassero a piedi nudi, che io indossassi un cappotto di lana durante l’inverno e loro arrivassero a scuola con solo strappate e consunte camicie. Erano pensieri confusi, ma era chiaro in me il senso dell’ingiustizia. Non era giusto che non si partisse tutti allo stesso modo, che alcuni prendessero il via svantaggiati, che il loro destino di poveri fosse già scritto. No, non era giusto. Ecco come lentamente cominciai a diventare comunista in pieno regime Fascista.
Questo scrive Andrea Camilleri in uno slancio autobiografico in un libro di prossima uscita (Ora dimmi di te. Ed. Bompiani), di cui ho letto un estratto su Repubblica del 19 Agosto.
Difficile non essere fascisti quando nell’Italia del ventennio ci si nasce e ci si passano gli anni della giovinezza. Il noto autore siciliano racconta di essere stato un giovane ed entusiasta Balilla negli anni 30, ma una predisposizione naturale alla giustizia sociale (coadiuvata da un calcio nei maroni assestato proditoriamente da un gerarca fascista) aiutò il venerabile scrittore a ripudiare l’ideologia mussoliniana.
Dalla padella nella brace
Camilleri ripudiò il Fascismo. Pur avendo un padre fascista che aveva partecipato alla marcia su Roma, lo scrittore aveva intuito già prima della guerra dove il sistema totalitario sarebbe andato a parare. La cosa non gli piacque per niente. Questo è notevole. Non è facile per la maggior parte dei sapiens rinunciare ai vantaggi di una scelta di vita conformista. Abbracciare la narrazione condivisa della comunità in cui si vive è di gran lunga la scelta più facile.
Purtroppo passare dal Fascismo al Comunismo non è poi tutto quel miglioramento che il padre del commissario Montalbano vorrebbe farci credere. Il suo caro Comunismo faceva carne di porco dei diritti e delle libertà dell’individuo come qualsiasi altro regime totalitario, ma non si registrano particolari azioni di ripudio dell’ideologia Marxista del nostro.
(Chissà se un calcio sui cabasisi da parte di qualche alto dignitario del Partito Comunista Italiano (PCI) avrebbe aiutato una nuova conversione… ma non divaghiamo).
Il venerabile autore è un grande giallista. Anche se sarebbe forse ingiusto fargliene una colpa, rimane un uomo del XX secolo, legato emotivamente a una delle grandi ideologie del 900, e, quindi, poco capace di analizzare il mondo in modo obiettivo come è lecito pretendere oggi da parte di un intellettuale moderno. Oggi, fortunatamente, possiamo fare meglio di così.
Cosa significa essere di destra o essere di sinistra?
Ho spiegato cosa sia la narrazione per la psicologia in molti articoli precedenti, in particolare quello che spiega il fenomeno populista. Ogni uomo ha una capacità innata di inventarsi storie e di crederci per giustificare tutto ciò che gli va di giustificare.
Conoscendo la narrazione e i suoi meccanismi, decifrare le categorie di sinistra e destra diventa un esercizio abbastanza semplice.
Narrazione di sinistra
Chi riceve (o pensa di ricevere) meno della media dalla società fa propria una narrazione in virtù della quale la ricchezza andrebbe redistribuita equamente tra tutti i cittadini (in fondo siamo tutti uguali, no?). Il cambiamento è benvenuto ovviamente. Niente di meglio di una nuova lotteria per vedere se esce un numero più fortunato. Le tasse sono fin troppo alte per uno che guadagna così poco, ma va bene aumentare quelle dei ricchi. Proprio ridistribuire equamente la ricchezza (che è di tutti per ordine naturale delle cose) è il compito principale dello Stato. Pensare in questi termini significa essere “di sinistra”.
Narrazione di destra
Chi riceve (o pensa di ricevere) più della media, a prescindere dal merito o dal privilegio, abbraccerà invece la tesi su quanto sia giusto che uno si goda in pace i benefici di tanto e tale duro lavoro, suo o dei suoi avi, senza che gli sia imposto di condividere il benessere con gli altri (e no, non si possono mettere sullo stesso piano uno che ha lavorato duro con uno sfaticato. Ma siamo pazzi!?!). Le tasse sono altissime. Un governo di gente seria capirebbe che, abbassando le tasse ai ricchi, quelli spenderebbero e investirebbero di più con grande beneficio di tutta la società! A parte quello, le cose vanno bene così come stanno. Non c’è bisogno di cambiare, al limite meglio investire di più in sicurezza. Lo Stato ha il dovere sacrosanto di difendere la proprietà privata. Ecco servito il famoso “di destra”.
Al solito, grazie alla narrazione, ognuno se la canta e se la suona come gli torna meglio
Alla luce di ciò, non c’è da stupirsi se gli ultimi “di ieri”, operai e dipendenti pubblici, quelli che nel segreto dell’urna barravano convintamente il simbolo con falce e martello, trovandosi oggi penultimi, cambino versione con nonchalance per non dover condividere quello che hanno con i nuovi ultimi, gli immigrati clandestini e anche gli immigrati tout court. La narrazione secondo cui Bilderberg, Soros e la finanza mondiale siano i mandanti delle migrazioni dall’Africa basta e avanza.
Se poi servisse qualcosa di più sofisticato, ho sentito marxisti da una vita parlarci di popoli che il crudele Capitalismo strappa alle loro terre. La conclusione a cui giungono è però la stessa di un leghista qualunque: in quelle terre gli immigrati farebbero bene a rimanerci evitando di venire a rompere le balle in Italia.
Facepalm
Se comprendete il meccanismo della narrazione, potreste trovarvi nella mia situazione. Ogni volta che sento un amico o un conoscente proclamarsi “orgogliosamente di destra” o “orgogliosamente di sinistra”, mi viene istintivo il famoso facepalm: coprire il volto con la mano come se avessi sentito un adulto che si considera nel pieno possesso delle sue facoltà mentali dichiarare di credere a babbo natale.
Ma poi non lo faccio. Al limite guardo in alto e sospiro. La narrazione è parte integrante dell’essenza di ogni persona. Prima ancora che molto difficile, modificare le narrazioni delle persone potrebbe risultare crudele e dannoso per le persone stesse. Del resto, quando si è dinanzi a una persona felice che non dà noia a nessuno, chi siamo noi per dirgli che sta sbagliando qualcosa?
La psicologia ci insegna che è del tutto normale avere una propria narrazione, una visione della vita, della società in cui viviamo, del nostro ruolo in essa e di ciò che sia giusto e sbagliato.
Concessa alla narrazione la posizione che gli spetta, chi governa e amministra deve, però, avere ben presente che la realtà è un’altra cosa. Per migliorare l’esistenza, sia la nostra che quella di tutti, meglio affidarsi alla logica e alla razionalità, piuttosto che abbandonarsi a suggestioni narrative prese per buone fideisticamente.
Come fare in modo che i poveri abbiano le scarpe e cappotti di lana
Prendiamo come benchmark lo scenario descritto dallo stesso Camilleri: dare cappotti di lana e scarpe ai membri meno fortunati della società. Siamo sicuri che la via migliore per dare di più a chi ha di meno passi dal Comunismo?
La storia ci dice di no. Le economie socialiste non sono quelle che hanno “performato” meglio quando si è trattato di migliorare le condizioni di vita di un popolo. Se ci pensiamo, i motivi di ciò sono fin troppo ovvi.
La dialettica marxista, che parla di dare a tutti ciò di cui ognuno ha bisogno, ha avuto un unico tipo di implementazione: quello che toglieva ai ricchi per fare in modo che i poveri non si accorgessero della performance penosa del sistema socialista.
Davanti a un ricco e a un povero, il comunista parla di come risolvere il problema del povero, ma in realtà sta pensando a come togliere al ricco. Dopo tanti bei discorsi marxisti pseudo-scientifici sul plusvalore e sulla proprietà dei mezzi di produzione, l’invidia e l’odio di classe sono ciò che hanno caratterizzato veramente le esperienze socialiste.
Esiste una via al Socialismo che potrebbe funzionare?
Lo trovo francamente difficile. I sistemi basati su democrazia e libero mercato hanno un vantaggio “strutturale”: il valore di merci e servizi si definisce autonomamente e crea l’incentivo per ognuno a rendersi operoso e a darsi da fare. Neanche il più geniale, rigoroso e stakanovista dei burocrati socialisti potrebbe definire un piano tanto dettagliato che assegni il giusto valore a ogni aspetto dell’economia in modo da incentivare correttamente ognuno. E questo per non parlare della ricerca e dell’innovazione di cui il perseguimento del profitto rappresenta il motore in tantissimi casi.
Ma non è tutto. Nelle democrazie che hanno abbracciato il libero mercato, lo Stato ha facoltà di intervenire quando l’azione del capitale non ha riflessi positivi sul bene della comunità, si tratti di problemi ecologici, di scarsa qualità del servizio, di eccessivo sfruttamento del plusvalore o di eccessivo ammassamento di ricchezze non reinvestite nelle mani di pochi.
Il tanto vituperato Capitalismo di cose buone nelle società occidentali ne ha fatte parecchie, e per giunta senza la necessità di un regime totalitario a supporto (ooops, spero che nessun intellettuale italiano “di sinistra” si senta male all’idea che il Capitalismo possa aver fatto qualcosa di buono per l’umanità).
La realtà dei dati è che le classi meno privilegiate dei paesi capitalisti se la passano molto meglio della classe media nei paesi socialisti. Non solo hanno stipendi con cui comprare scarpe e cappotti di lana, ma lo Stato ha abbastanza soldi da dargli scuola e sanità gratuite!
Nelle democrazie occidentali che abbracciano il libero mercato ci pensa lo Stato a fare in modo che il capitale non si blocchi in paludi stagnanti smettendo di portare beneficio alla società nel suo complesso.
Il ruolo delle narrazioni di destra e sinistra nel secolo scorso
Nel secolo scorso l’antitesi destra-sinistra ha permesso a ogni paese, inclusi quelli dove i comunisti non sono andati al potere, di trovare sintesi che incentivassero il capitale, garantendo allo stesso tempo che tutti beneficiassero della ricchezza (anche se in misura diversa ovviamente).
Gli Stati moderni e liberali hanno sempre concesso (e ancora concedono) ampio spazio alle narrazioni di ognuno, lasciando che queste possano scorrazzare libere in vaste praterie dialettiche. Ben venga la dialettica, anche quando intrisa di narrazione, fintanto che nessuno rischi di farsi male davvero. Le costituzioni democratiche tracciano il perimetro entro cui quelle narrazioni possono muoversi e scalpitare.
Che il capitale porti ricchezza! …purché ci sia rispetto per le persone e per la loro dignità, ovviamente.
Tutto bene quindi?
A questo punto uno potrebbe essere tentato di chiudere il discorso qui. Che la gente si diverta pure a proclamarsi di destra, di sinistra, liberale, cattolica, conservatrice o progressista . Le nostre costituzioni saranno lì a difenderci per sempre da sbandate assurde su libertà personale e diritti delle persone.
Possiamo quindi concludere? Termino qui l’articolo?
Meglio di no, purtroppo. Personalmente non mi sento sicuro al 100% che quei pilastri reggeranno senza significativi interventi di manutenzione.
Vedo minacce concrete alla capacità dell’Italia e delle altre democrazie occidentali di reggere agli effetti collaterali dell’arrivo del web, dei social e della messaggistica multimediale (WhatsApp in primis). Mi riferisco ovviamente al fenomeno populista che da un po’ di anni sta sconquassando il mondo.
I bug nelle CPU. I bug nelle menti umane.
Anche troppo spesso i nostri laptop e i nostri cellulari ci costringono a lunghe ed estenuanti pause di aggiornamento del software. Gli hacker si sono accorti di vulnerabilità in quei sistemi e potrebbero usarle per entrare nei nostri computer e fare cose che non ci piacciono per niente.
Più rara è l’occorrenza in cui sia l’hardware ad avere un baco che permetta a malintenzionati di accedere ai nostri device. Purtroppo è successo anche quello abbastanza di recente.
Da un po’ di anni a questa parte i giganti tecnologici (Google, Apple, Microsoft, ecc…) ci impongono gli aggiornamenti in maniera insistente, spesso anche contro la nostra volontà. Hanno deciso che lusingare la nostra ignavia di utenti sarebbe poco saggio. Meglio tutelare i nostri conti bancari, le nostre carte di credito e i nostri dati personali.
Se i nostri dati non fossero sicuri e gli hacker avessero la meglio su di noi, un’industria che dà lavoro a miliardi di persone verrebbe seriamente ridimensionata: la gente avrebbe paura a usare i pagamenti elettronici e a ordinare cose per via telematica. Quella situazione non converrebbe a nessuno.
Anche la mente umana può essere vista come un computer. Un computer biologico in cui gli algoritmi assomigliano più a quelli recenti dell’Intelligenza Artificiale (IA) che non alle ricette fatte di piccoli chiari passi dell’informatica classica.
Le narrazioni corrispondono grosso modo al software che abbiamo installato nella nostra mente, incluso quello che ci hanno fatto installare in giovane età con le migliori intenzioni.
Esistono anche delle vulnerabilità hardware nelle nostre menti, quelle date dai bias cognitivi di cui ho parlato molto in passato. Per come si è venuta a formare la mente umana attraverso l’evoluzione darwiniana, il cervello che andava perfettamente bene per gestire i rischi naturali si rivela inadeguato davanti alla propaganda, specialmente quella che oggigiorno sfrutta appieno le potenzialità del web.
Così come gli hacker digitali hanno buon gioco ad hackerare i computer, i moderni propagandisti hanno buon gioco ad hackerare le menti delle persone, oramai costantemente online anch’esse grazie a email, WhatsApp e social media.
Ricordate la “truffa alla nigeriana” degli anni 90?
I primi sentori del nuovo fenomeno si ebbero negli anni 90 con la diffusione dell’email. Le versioni erano molteplici, ma lo schema era essenzialmente sempre lo stesso. La casella postale riceveva l’email di una sedicente moglie di qualche dittatore africano. Venivano promesse cifre da capogiro al destinatario in cambio dell’aiuto a recuperare i soldi (bloccati in qualche conto corrente svizzero) qualora il destinatario si fosse esposto come prestanome.
Alcuni individui a bassa capacità intellettiva rispondevano e finivano per sganciare cifre piccole (ma significative rispetto a uno stipendio medio) con il miraggio di mettere mano alla mirabolante somma.
Come risultato della cosiddetta truffa alla nigeriana molte persone non tanto sveglie si sono trovate separate da migliaia di euro guadagnati col sudore della fronte.
La maggior parte dei lettori di questo giornale rimarrebbero basiti se leggessero il contenuto di una di quelle email nigeriane. Come può una persona normale cadere in un tentativo tanto poco sofisticato di imbrogliare qualcuno?
Ebbene, i nigeriani in questione altro non erano che i primi hacker della mente tramite internet. Scrivere un’email più sofisticata avrebbe significato sollecitare risposte anche da persone solo un po’ sprovvedute, oltre alle risposte di quelle totalmente sprovvedute. E questo non andava bene: troppe risposte avrebbero costretto i truffatori a un lavoro grande nel tentativo di gabbare persone che, alla fine, non ci sarebbero cascate.
Come un hacker informatico scandaglia la rete alla ricerca di server vulnerabili, quello che serviva era un meccanismo che, fin dall’inizio, provvedesse a selezionare vittime di bassissima capacità intellettiva. Il meccanismo funzionava benissimo. Grazie al messaggio spudoratamente farlocco erano i più creduloni, quelli col bug mentale, ad autoselezionarsi.
Hacking mentale ai giorni nostri
Nel mondo moderno, per colpa dei social, dell’Intelligenza Artificiale e delle manipolazioni basate sui bias cognitivi, queste caratteristiche della mente umana possono essere sfruttate in maniera molto più efficiente e precisa che in passato, per di più senza la necessità di limitarsi a quelli con facoltà mentali bassissime.
I bug mentali hanno permesso l’arrivo al potere di partiti e movimenti che non hanno le competenze e la visione necessarie per gestire un paese. È stato l’arrivo di Internet a rendere possibile l’hacking di massa delle menti umane. I nuovi movimenti non hanno più bisogno di convincere i cittadini a livello razionale. Gli è bastato semplicemente calare grossa parte della popolazione in una realtà virtuale costruita su bias e suggestioni tutte tese a portare la gente a votare per la proposta populista. Neanche provare ad articolare proposte politiche serie e praticabili è oramai un requisito per i nuovi movimenti politici.
Ad esempio, in Italia le organizzazioni dietro i partiti populisti da anni creano contenuti ad-hoc e li spacciano in rete come se fossero messaggi spontanei di comuni cittadini.
Con lo stesso meccanismo si spinge a diffidare dei media tradizionali, costantemente dipinti come strumenti nelle mani di forze occulte opposte agli interessi del popolo.
Un esempio significativo è quello di alcuni giorni fa in cui Stefano Buffagni, un parlamentare 5 stelle, il partito populista italiano per eccellenza, ha spacciato la debacle italiana nell’asta dei BTP come un successo del suo governo:
Non serve un grandissimo esperto di economia per riconoscere che sarebbe uno Stato in default quello che non riuscisse a vendere tutti i titoli. Ovvio che i titoli siano stati tutti piazzati. La domanda vera riguarda i tassi di interesse. I “rendimenti in rialzo” vantati da Buffagni in realtà significano maggiori tasse e meno welfare per gli italiani che con i loro soldi devono onorare mese per mese il debito pubblico. Quanto è successo è l’esatto contrario di quanto il grillino prova a rappresentare: la perdita di fiducia verso il sistema paese causata dall’insediamento del governo giallo-verde è costata circa 70 milioni di euro in più agli italiani solo in questo evento che Buffagni riporta.
Alla stregua della truffa alla nigeriana, tutti i commentatori dotati di un minimo di raziocinio si sono accorti della posizione assurda e ridicola di questo post, ma, nel far questo, non colgono l’aspetto fondamentale: il gol vero dell’annuncio non è quello di fare proseliti tra chi è capace di approfondire, bensì confermare all’elettorato a bassa capacità mentale che già vota per i populisti che il governo stia facendo bene, che la stampa nasconda le notizie buone e che i populisti siano il cambiamento in meglio rispetto alla classe politica precedente. Simpatizzanti e bot informatici ancora ora rilanciano e amplificano il post sul web, consci del fatto che la maggior parte delle persone si fermerà al titolo:
Insomma, mentre difendersi contro gli hacker di computer è possibile, sembra che possiamo fare poco per difendere le nostre democrazie dagli hacker delle menti. La difesa della libertà di stampa e di parola sancita da varie costituzioni a difesa delle nostre democrazie è diventata un’arma per inceppare i meccanismi democratici stessi, un’arma in mano a chiunque abbia un qualche motivo per farlo.
A che pro?
Osservando il fenomeno populista dal di fuori, la cosa più preoccupante è la mancanza totale di visione e di competenza per guidare il paese.
Una domanda che spesso mi faccio e a cui non ho trovato ancora risposta è “a che pro?”. Quelli che tirano le fila dei movimenti populisti devono pur avere una visione o un’idea di società migliore rispetto a quella in cui si trovano, altrimenti tutto questo non avrebbe senso. Qual’è dunque quella visione? Qual’è il piano? A quale modello di società aspirano?
Il sospetto forte è che una risposta non ce l’abbiano neppure loro. Forse si tratta di un tentativo di andare al potere fine a se stesso, ma esiste anche la possibilità che sia semplicemente un progetto demenziale. Purtroppo, nel frattempo, i pilastri delle nostre democrazie vengono corrosi, insieme alla capacità collettiva dei cittadini di dare un senso al mondo in cui vivono e incidere positivamente sullo sviluppo del proprio paese col voto.
C’è anche un altro aspetto molto serio. A 70 anni dalla sconfitta del Nazismo e dalla proclamazione dei diritti dell’uomo, alcune forze politiche populiste vorrebbero rimettere in discussione valori che consideriamo acquisiti. Questo avviene nella forma di richieste agli Stati di farsi essi stessi negatori dei diritti umani. Esempi ci sono in USA, in Italia e in altri paesi.
Quando l’amministrazione Trump escogita un modo per separare i bambini dai genitori come punizione per aver attraversato illegalmente il confine, siamo davanti a una mossa degna del regime hitleriano e non di un paese che, fino all’altro giorno, era considerato il faro delle democrazie occidentali. Il messaggio implicito è quello che lo Stato non è più tenuto a occuparsi di diritti umani.
Venendo all’Italia, un ministro dell’interno che si affretta a dichiarare i porti della Libia in guerra come sicuri sta solo dicendo al suo elettorato che della sicurezza delle persone lo Stato può fregarsene, smarcando così il fenomeno della deindividuazione anche per milioni di cittadini italiani che, fino a poco tempo fa, si sarebbero vergognati a farsi portatori di tali sentimenti.
Tutto questo è ovviamente preoccupante. Quello di cui molti non sembrano rendersi conto è che i diritti umani sono un baluardo a difesa di tutti, non solo dei più sfigati.
Se limitare gli ingressi illegali nel paese è diritto e dovere di ogni Stato, ciò deve avvenire nel rispetto dei diritti umani. Non farlo significa rinunciare a un meccanismo fondamentale che protegge tutti gli uomini. Se passasse il concetto che la vita umana non debba essere tutelata dagli Stati, il destino che oggi tocca agli immigrati, domani potrebbe toccare anche ad altri, quando si tratterà di togliere la sanità ai pensionati, a chi paga poche tasse, o ad altre categorie che il sistema al potere considererà sacrificabili per i suoi fini.
Oltre ad aver visto le narrazioni mutare nella storia, il mondo moderno ci mostra che le mutazioni possono essere teleguidate e repentine. Questo dovrebbe mettere tutti sull’avviso che difendere la vita e la dignità delle persone è la miglior assicurazione sulla vita a cui ognuno di noi può aspirare.
Che fare?
La situazione è abbastanza drammatica. L’avvento del nuovo mondo digitale ha permesso a forze irrazionali di ipnotizzare grosse fette di popolazione e, in alcuni casi, di prendere il potere. In questa situazione, l’idea di sconfiggere il populismo semplicemente con una narrazione di destra o di sinistra (o con un altro storytelling qualsiasi a dire il vero) è solo inguaribile ottimismo. Sarebbe come giocare a carte con un baro.
Il problema vero è come impedire che l’utilizzo di forme più moderne e sofisticate di “frode nigeriana” siano la misura del confronto politico con i risultati che vediamo in tutto il mondo.
La mia personalissima opinione è che la conoscenza dei bias cognitivi debba diventare patrimonio comune di tutti. I cittadini devono essere coscienti della fragilità del loro supposto ‘libero arbitrio’, comprendendo che le idee possono essere “iniettate” nella mente di una persona e che poi quella procederà a considerarle come idee proprie e autonome anche se non lo sono affatto. Dovrà anche diventare chiaro a tutti che le emozioni e le intuizioni (anch’esse facili da indurre) non sono un valido sostituto al ragionamento razionale e alla misurazione della realtà.
Occorrerebbe insegnare le tecniche di difesa dai bias nelle scuole. A seguire anche le leggi dovrebbero impedire che fake news e usi indiscriminati di bias cognitivi diventino strumento per la propaganda politica. Proprio come è illegale inquinare acqua e aria, non dovrebbe essere consentito avvelenare i pozzi della convivenza civile di un paese attraverso l’uso di propaganda mirata a polarizzare la popolazione.
Solo diminuendo la pressione del populismo contro le colonne portanti delle nostre democrazie possiamo fare in modo che quei bastioni reggano negli anni a venire.
Conclusione
Se destra e sinistra non sono più categorie adeguate, quale etica e quali valori potranno rimpiazzarli?
Difficile dirlo, ma nel frattempo l’avvento del fenomeno populista sta dimostrando che anche narrazioni prive di logica e di razionalità possono andare al potere. Le conseguenze potrebbero essere gravi, specialmente se le narrazioni buffe portassero al superamento di valori etici che fino ad oggi abbiamo considerato sacri, come la tutela dei diritti umani.
Il problema sono quindi le narrazioni buffe e contraddittorie con cui i populisti raccolgono comunque il consenso, sfruttando i bias cognitivi. In questo contesto, il mondo rischia di perdere la bussola e tornare indietro rispetto ai progressi degli ultimi 70 anni.
Continuare a rifarsi alle narrazioni di destra o di sinistra al giorno d’oggi significa non aver compreso la portata della minaccia populista e l’impossibilità pratica di venire a un compromesso con essa. Occorre promuovere la logica e la razionalità come valori assoluti e fare in modo che le generazioni di domani siano immuni dai miraggi mentali che i populisti sfruttano per raccogliere il consenso popolare. Il tutto sperando che i pilastri costituzionali a difesa delle nostre democrazie nel frattempo reggano all’impatto.