Giornata di grande danza al Festival dei Due Mondi, che anche quest’anno ha dato spazio all’ormai tradizionale co-produzione con il prestigioso Teatro La Mama di New York che, fondato e direttore dalla mai troppo compianta Ellen Stewart, dal 1990 presenta nella città umbra le novità teatrali di compagnie internazionali, dall’Iran agli Stati Uniti, dal Marocco alla Russia, all’Italia. Per lo più spettacoli interdisciplinari, come Bienvenue-Welcome-Bienvenido andato in scena venerdì, al Chiostro di San Nicolò. Una performance nata dalla collaborazione tra la compagnia di danza contemporanea di Stefanie Batten Bland, l’artista visivo Benjamin Heller e il compositore Paul Damian Hogan.
Il progetto esamina la volontà di condividere lo spazio con le etnie che emigrano nel proprio paese e i cambiamenti derivanti da ogni nuova inclusione in questo difficile periodo in cui la tendenza globale – sotto la spinta di Trump, negli Usa, e del populismo destrorso in Europa – è quella di far prevalere l’identità dei confini.
Mettendo in evidenza la necessità di “ri-conciliazione”, lo spettacolo – con al centro gli Stati Uniti, ma di attualità anche in Europa – intende sottolineare che i migranti sono arrivati da un “altrove”, spinti da circostanze diverse e disparate, ma tutti facciamo comunque parte ora dello stesso Paese, di un’utopica collettività che è fragile granello di un universo per lo più ignoto.
In contrasto con l’attualità politica nella quale i muri sono diventati sinonimo di barriere che separano persone e luoghi, Bienvenue-Welcome-Bienvenido considera i graffiti delle città come tele collettive che esprimono il passato e il presente delle persone di una stessa comunità. Il murales di un sobborgo universitario nel Lower East side di New York, creato dai disegni di bambini che raccontavano le storie delle loro famiglie e le loro fantasie, è parte integrante di questa performance, ben riuscita nella ritmicità di scena, nella connessione tra danza e personaggi. Uno spettacolo molto attuale, che sa spingere alla riflessione senza “gridare”.
In serata, al Teatro Romano, è stata invece la volta dell’Hamburg Ballet, diretto dal 1973 dal dinamico e creativo coreografo statunitense John Neumeier, di deliziare gli occhi e le orecchie dei presenti, con il suo tanto atteso Old Friends, un collage di brani che esplorano i mutevoli cambiamenti delle relazioni umane su musiche di J.S. Bach, Frédéric Chopin, Federico Mompou, Simon & Garfunkel.
Lo spettacolo è un inno all’amicizia, in tutte le sue declinazioni, un abbraccio corale alla vita, un invito all’apertura mentale verso ogni aspetto del divenire umano. Amanti del passato e del presente assieme, anche magari nostalgia di un momento perduto nel tempo per sempre ma non per questo claustrofobica: dopotutto – ci ricordava Checov nel suo “Lo specchio deformante”, ogni esperienza umana racchiude ricordi del passato e premonizioni sul futuro: occorre però lasciar sedimentare le esperienze. La stessa cosa accade – sembra dirci Neumeier con il suo spettacolo – nel tempo presente di un balletto in cui la musica non è il sottofondo ma il motore. E così le Dangling Conversation di Simon & Garfunkel assumono in scena una magica forma coreografica, con i danzatori che si muovono nell’intreccio di relazioni interpersonali e con gli oggetti, in costante cambiamento.
Uno spettacolo molto profondo, musicalmente davvero coinvolgente, e che, nel vortice delle emozioni che sa suscitare, fa intendere una strana – forse – ma per certi versi chiara affinità, per esempio, tra la musica di Chopin e quella di Simon & Garfunkel: quella del compositore polacco univa l’eleganza dei salotti del 19° secolo alla sua profonda capacità emotiva; le canzoni degli anni ’60 di Simon & Garfunkel combinavano sonorità accessibili ai più con versi poeticamente rilevanti.