Credo che molti giornalisti debbano qualcosa della loro ispirazione, della loro passione, al grande Folco Qulici, scomparso a quasi 88 anni all’inizio proprio del 2018.
Perché questo regista, scrittore, documentarista, divulgatore naturalistico e anche fotografo, è stato per diverse generazioni un faro, un modello di giornalismo, alla pari di altri grandi del suo tempo, di altri inviati come Walter Bonatti o Leo David, come Leo Manfrini e Tiziano Terzani, ognuno diverso dall’altro per stile di racconto e per scelta di luogo.
Di Qulici ricordiamo soprattutto la carriera di regista e documentarista (in Rai soprattutto) e anche di scrittore (di libri sulla natura ma anche di romanzi che hanno ispirato dei film, come “Cacciatori di navi”, forse il più famoso) ma a Milano ora ci sarà l’opportunità di scoprirlo anche come autore di immagini, soprattutto in bianco e nero, scattate durante i suoi viaggi per il mondo.

Sarà inaugurata infatti venerdì 8 giugno al Palazzo Giureconsulti di Milano la mostra fotografica “Testimone del mondo”di Folco Quilici. Tutte le opere, che rimarranno esposte fino al 22 giugno, appartengono all’archivio di Fondazione 3M, istituzione culturale permanente di ricerca e formazione e proprietaria di uno storico archivio fotografico di oltre 110 mila immagini. Una mostra questa che fa parte della tredicesima edizione del Milano Photoweek, ovvero 165 diverse esposizioni ed eventi organizzati in oltre 100 sedi cittadine.
L’esposizione, curata dal critico fotografico Roberto Mutti, raccoglie i preziosi reportage in bianconero realizzati negli anni Sessanta in diverse parti del mondo dal pioniere della documentazione e della divulgazione naturalistica Folco Quilici. Con le sue fotografie è stato in grado di cogliere la bellezza e l’armonia dei luoghi più lontani del pianeta, ancora incorrotti da quell’antica purezza che l’avanzare della modernità già cominciava a contaminare in modo irrimediabile.
Quilici descriveva infatti così la sua passione: “Tutta la mia attività di documentarista è sempre stata guidata dal sogno di bambino: scoprire, meravigliarsi, fantasticare”. Certo nella sua vita Quilici talvolta, come ricordano le cronache, se la vide anche “brutta”. Alle Maldive durante un’immersione la barca di appoggio alla sera non lo trovo più e fu dato per disperso, salvo ritrovarlo al mattino stanco ma sano e salvo. In Africa invece volle farsi un bagno in un ruscello, ma le zanzare lo avvolsero in un attimo, e la malaria che contrasse fu una lunga battaglia. E ancora in mare, durante un’altra immersione, finì di colpo l’ossigeno della bombola e fu salvato in tempo da un altro sub americano che era li vicino.
Insomma, un personaggio d’altri tempi anche in queste cose, così come fu suo padre, altro giornalista incapace di stare dietro ad una scrivania. Era sull’aereo di Italo Balbo, che volava nel deserto vicino a Tobruk, durante la seconda guerra mondiale e l’occupazione italiana della Libia. Tornavano alla base e l’aereo fu scambiato (si dice…) per nemico, fu mitragliato e precipitò. Balbo e Qulici morirono nello schianto.
Tornando alla mostra di Folco Qulici a Milano, le opere sono la riproduzione del suo autentico giro del mondo, tema che lega le sue fotografie e si ritrova nei suoi viaggi: a Bangkok, di cui coglie la brulicante e sfuggente vitalità, nelle isole della Polinesia francese, piene di antiche tradizioni e riti suggestivi, nella Pampa argentina, con le sue forti contraddizioni fra passato e presente, e nei servizi sul Congo e sul Ciad, da cui emerge una cura della quotidianità, osservata in maniera attenta ma distaccata. Folco Quilici modifica spesso il suo approccio fotografico, passando dal primo piano di un volto alla ripresa dell’insieme delle scene di gruppo, mantenendo però sempre uno stile caratterizzato da una grande eleganza.
Proprio il curatore della rassegna milanese, Roberto Mutti, onora con queste parole il grande documentarista:“È difficile dire se Folco Quilici sia stato più grande come regista con i suoi straordinari lungometraggi da “Sesto continente” del 1954 a “Cacciatore di navi” del 1990 o come divulgatore capace, con documentari come “L’Italia vista dal cielo” e con innumerevoli programmi televisivi, di raggiungere un pubblico vastissimo. Tutto ciò non dovrebbe però oscurarne la fama di eccellente fotografo dotato di uno stile asciutto, essenziale, diretto e mai banale”.