
La convenzione tra la Rai e la Presidenza del Consiglio scade a fine mese, per la precisione sabato 29. Cambierà qualcosa nell’offerta informativa e di intrattenimento riservata agli italiani e agli italofili che vivono fuori dalla Penisola? Ma la vera domanda è un’altra: nell’era di internet, della comunicazione istantanea e globale, dei social network, di Facebook, WhatsApp, dei media online la Rai potrà continuare ad essere competitiva?
Lo abbiamo chiesto a Piero Alessandro Corsini, direttore di RAI Italia.
Qual è l’obiettivo statutario – o, se vogliamo: la missione – di un canale come Rai Italia?
“La convenzione definisce molto chiaramente l’obiettivo: un canale generalista, che cioè contenga tutti i generi televisivi: informazione, varietà, cinema, fiction, documentari, programmi per bambini, musica, sport. E che sia rivolto principalmente – ma non solo – agli italiani nel mondo, con l’obiettivo di promuovere la lingua e la cultura italiana, le eccellenze del nostro Paese, nonché di mantenere vivo il legame tra le nostre comunità all’estero e l’Italia”.
Una domanda che parte da un’esperienza personale: quando, anni fa, vivevo e lavoravo a New York il palinsesto di quella che allora si chiamava Rai International era, a voler essere gentili, decisamente scadente. Oggi mi sembra che le cose siano cambiate. Per il vostro palinsesto selezionate i programmi da tutti i canali Rai?
“Assolutamente sì. Si comincia dai telegiornali, di cui Rai Italia offre edizioni del Tg1, del Tg2, del Tg3, di Rai News 24 nonché dei telegiornali regionali (questi ultimi ovviamente a rotazione), per passare agli altri programmi, che vengono selezionati da tutti i canali Rai, sia generalisti che tematici”.
Come fate la scelta?
“È la stessa convenzione a darci le linee-guida. Partendo dalla consapevolezza che Rai Italia è un canale generalista, cerchiamo di costruire un palinsesto che possa andare incontro alle diverse esigenze delle tipologie di spettatori che, nell’arco della giornata, si alternano davanti allo schermo, offrendo generi diversi. Se prendiamo come fuso orario di riferimento quello di New York e della costa orientale degli USA, i professionisti che si svegliano per andare al lavoro possono alle ore 7 locali vedere il Tg2 in diretta e avere così notizie fresche dall’Italia, mentre all’ora di pranzo chi è rimasto a casa può vedere La prova del cuoco; al pomeriggio, quando rientrano da scuola, i bambini trovano i cartoni animati, poi programmi amatissimi come L’eredità, Un posto al sole e il nostro Community; in prima serata abbiamo un intrattenimento (cinema, fiction, varietà) per tutta la famiglia, mentre in seconda serata abbiamo gli approfondimenti come Porta a porta. E così via: sono solo esempi tra i tanti che potrei fare”.
Dalla programmazione presente nel sito www.raitalia.it sembrerebbe che il palinsesto sia lievemente diverso a seconda dei fusi orari. È così?
“Rai Italia non è un canale, bensì tre canali, ognuno tarato su un differente fuso di riferimento: abbiamo il canale tarato appunto su Toronto-New York, quello su Johannesburg, e quello su Sydney. Il motivo è semplicissimo: dobbiamo cercare di costruire i palinsesti in modo da far vedere i programmi all’ora giusta, e non quando gli spettatori magari dormono. Da questa necessità, discende una diversa composizione dei palinsesti: gli stessi ingredienti, ma “composti” in maniera differente. L’eccezione è semmai l’Africa: poiché Johannesburg ha praticamente lo stesso fuso orario di Roma (al massimo un’ora di differenza, durante il nostro inverno), quando la Serie A di calcio gioca nei turni infra-settimanali questo ha un impatto fortissimo sulle loro prime serate, che ne risultano modificate. Quando ho avuto la possibilità e la fortuna di incontrare i nostri connazionali a Johannesburg e Capetown, molte signore se ne sono lamentate con me: ma io ho spiegato che non è la Rai che decide quando si giocano le partite, e che i loro mariti non sarebbero affatto contenti se Rai Italia decidesse di non trasmettere, poniamo, Napoli-Juventus…”.
L’Italia, si sa, è fatta di tante Regioni e di tanti “campanili”. Quanto vi focalizzate sulle diverse comunità di italiani provenienti da differenti regioni italiane? Se ne occupa soltanto il programma Community?
“Abbiamo molto chiaro quanto sia fondamentale l’elemento regionale per i nostri connazionali nel mondo. Negli incontri che ho avuto con le nostre comunità, da Toronto a Buenos Aires, io stesso ho sentito quanto sia fortissimo questo legame con il territorio di origine. Non a caso, Community ospita periodicamente – direi ogni volta che ne abbiamo l’opportunità – rappresentanti delle varie associazioni come i Calabresi nel Mondo, i Campani nel Mondo, e via dicendo. Ma non ci limitiamo a questo: da gennaio 2017 abbiamo infatti introdotto in palinsesto ben due edizioni al giorno dei Tg regionali, naturalmente a rotazione così da garantire la copertura di tutte le regioni. Altrettanto naturalmente, nei giorni tragici della nuova emergenza terremoto abbiamo privilegiato la linea diretta con le sedi regionali della Rai in Abruzzo, nelle Marche e in Umbria. Sempre dalla TgR, cioè la testata giornalistica regionale, che svolge per la Rai e il Paese un lavoro straordinario, prendiamo poi numerose rubriche, a cominciare da Bell’Italia“.
Ho visto male o ci sono pochi talk show, come Carta Bianca o Porta a porta?
“Ha visto male o solo parzialmente: Rai Italia trasmette sia l’uno sia l’altro. È vero, però, che delle tre serate di Porta a porta ne trasmettiamo una soltanto, e questo per un motivo semplicissimo: chi vive in Italia dispone di 12 canali Rai, mentre Rai Italia è un canale unico. Logico quindi che si debbano fare delle scelte per lasciare spazio a tutti i programmi: nella fattispecie, il martedì sera si sovrapporrebbero Porta a porta e, appunto, Carta bianca”.
Oltre alle partite di calcio di serie A, perché non programmate la serie B e altri sport che regionalmente hanno grandi bacini di tifosi?
“Per il motivo appena ricordato: perché altrimenti si rischierebbe un dosaggio eccessivo di sport, che finirebbe con il monopolizzare il palinsesto. Tenga conto, poi, che non sempre Rai Italia dispone dei diritti per la trasmissione. Approfitto anzi per rispondere a quanti mi scrivono chiedendo perché Rai Italia non trasmetta la Formula Uno, o le Olimpiadi, o gli Europei di calcio: attenzione, non è la Rai che decide di non trasmetterli, o che non vorrebbe comprare i diritti per Rai Italia. Sono i detentori dei diritti (FIFA, UEFA, ecc) che non li vendono, per ragioni diverse”.
I programmi prodotti in coproduzione, con i vari Endemol e Magnolia, sono esclusi dal palinsesto?
“Assolutamente no. Sono esclusi dal palinsesto solo quei programmi di cui la Rai non ha i diritti per l’estero. Tra questi – oltre appunto ai Mondiali di Calcio, o le Olimpiadi – capita anche che ci siano format internazionali prodotti o co-prodotti con società esterne, ma non c’è nessuna preclusione a priori”.
Oltre a Community – a proposito: perché mai un titolo in inglese? – ci sono altri programmi prodotti ad hoc per Rai Italia?
“Quando nell’estate 2013 abbiamo immaginato Community, abbiamo passato giornate a ragionare su quale titolo dare al programma. Molti titoli che ci piacevano erano già stati utilizzati, mentre, nello specifico, Comunità non ci suonava bene, né ci sembrava rispondesse all’idea di “salotto per tutti gli italiani sparsi nel mondo” che avevamo in mente. Venendo agli altri programmi, appunto dal 2013 ad oggi sono tanti i programmi pensati e prodotti specificamente da Rai Italia. Non dimenticando titoli “storici” come Cristianità e La giostra dei goal, tra i titoli nuovi voglio ricordare almeno Italian Beauty, che ogni giorno racconta le bellezze del nostro Paese nell’arte, nel territorio e nel Made in Italy; Storie d’Italia, che ricorda gli appuntamenti più importanti appunto della nostra storia; le serie monografiche come Lungo il fiume e sull’acqua, alla scoperta dei nostri fiumi e dei nostri laghi, oppure Fuori binario, dedicato alle tratte ferroviarie cosiddette “minori”, e che consentono un turismo culturale in territori meno battuti ma ugualmente straordinari. Su tutti, mi piace però ricordare due titoli in particolare. Il primo è Campus Italia, un settimanale che promuove le eccellenze formative (università, corsi di formazione, ecc) presenti in Italia, e che ci ha dato una grandissima soddisfazione. Uno spettatore mi ha scritto dall’Uruguay e mi ha detto: “Sto vedendo Campus Italia con mio figlio, nato e cresciuto qui. Guardando il programma, ha deciso che vuole venire a fare l’università in Italia”. Per me e per noi tutti è stata una gioia immensa. L’altro titolo è Speciale Community, un settimanale che raccoglie i servizi filmati di Community. Ebbene, grazie alla collaborazione di Raitre sono ormai tre anni che lo riproponiamo anche su questa rete che, lo ricordo, viene vista non solo in Italia, ma anche in tutta Europa, dove pure è fortissima la presenza dei nostri connazionali: il che vuol dire che, dopo tanti anni, la Rai ha realizzato quella “informazione di ritorno” che, giustamente, gli italiani all’estero chiedevano sin dalla nascita di Rai International”.

Parliamo di audience, cioè in definitiva del gradimento del pubblico. Avete dati che confrontano l’audience della tv di flusso, quella “on air” con quella online sia in Live streaming sia in differita (la cosiddetta catch tv)?
“Rai Italia viene diffusa capillarmente in tutti i Paesi extra-europei: il che, se è una fortuna, comporta però lo svantaggio di non poter disporre di una rilevazione del pubblico in ogni singolo Paese, al di là degli abbonamenti. Discorso diverso per Rai Play, il nuovo portale della Rai, che è accessibile da tutto il mondo. Qui i numeri sono in costante crescita: per esempio dagli Stati Uniti, nel solo mese di febbraio 2017, abbiamo avuto quasi 350mila visitatori, e numeri analoghi ci sono da quei Paesi dove più forte è la presenza dei nostri connazionali”.
Sì, ma avete dati sul gradimento dei programmi?
“La rilevazione del gradimento dei programmi ci viene da tre indicatori fondamentali. Andando in ordine sparso, il primo è senz’altro l’incontro “faccia a faccia” con le comunità. Purtroppo il tempo e le distanze non rendono semplicissimo per me viaggiare quanto vorrei e quanto sarebbe necessario e doveroso, ciononostante in questi anni sono riuscito a visitare molte città degli Stati Uniti, Toronto e Montreal in Canada, Buenos Aires in Argentina e, in Sudafrica, Johannesburg e Capetown. Con le comunità italiane di quelle città ho avuto incontri che rimangono un’esperienza straordinaria, sul piano umano prima ancora che professionale. Nell’ottica di Rai Italia, sono stati per me indispensabili per capire se stessimo andando o meno nella direzione giusta, ben consapevoli come siamo che c’è ancora tanto da fare. Al netto delle preferenze e dei gusti personali (c’è chi vorrebbe più calcio, chi detesta la politica, chi vorrebbe più film, ecc), direi che il riscontro è stato generalmente positivo. Poi c’è un secondo indicatore, che sono le e-mail che ci arrivano, e alle quali cerco di rispondere sempre e tempestivamente, anche a quelle che contengano critiche o addirittura (purtroppo capita) insulti personali. Anche qui un aneddoto: c’è una signora di Montreal, Silvia, che non conosco di persona ma che ormai considero un’amica di famiglia. Ogni settimana mi scrive puntuale per dirmi cosa le è piaciuto e cosa no. Spero di avere occasione di tornare presto a Montreal per conoscerla. Il terzo indicatore è invece quello ufficiale: il monitoraggio che ogni anno il Ministero degli Esteri realizza attraverso un questionario inviato ad ambasciate e consolati in tutto il mondo. È uno strumento prezioso, perché è molto dettagliato: dalla qualità del segnale ai singoli programmi, passando per il costo degli abbonamenti. Appunto: capillare. Anche qui, posso dire che, al netto delle singole preferenze, il monitoraggio registra di anno in anno un miglioramento significativo nella percezione e nel gradimento del pubblico”.
Sembrerebbe andare tutto bene. Ma non vi fanno critiche? Non c’è qualche specifico target group che si sente più scontento di altri?
“Eccome! A parte la mia “amica” Silvia da Montreal, a scrivere è solo e soltanto chi ci muove delle critiche per questo o quel programma. Se le prime volte mi sono un po’ scoraggiato, ben presto ho capito che proprio queste critiche (per fortuna sempre più sporadiche) sono molto utili per correggere i nostri errori. Ho anche capito, e accettato, che dirigere Rai Italia è un po’ come essere genitore: qualche errore lo devi mettere nel conto. Anche perché non puoi pensare di accontentare sempre tutti: stiamo parlando di milioni e milioni di spettatori, diffusi in ogni angolo del globo, diversissimi tra loro per età, censo, professione, livello di integrazione con il Paese che li ospita. È logico che ognuno abbia i suoi gusti e le sue idiosincrasie. È quindi molto difficile parlare di “target group”: temo sia una categoria poco applicabile alla specificità del nostro servizio, non diversamente da quella di “italiani nel mondo”. Non esiste un “italiano nel mondo”: esistono italiani che vivono in Canada, negli USA, in Brasile, in Sud Africa, in Australia… Bisogna, semmai, fare un discorso diverso: per molti anni, Rai International (allora si chiamava così) aveva come target primario se non esclusivo la “vecchia” emigrazione, cioè quei connazionali che da più tempo risiedevano all’estero. Una scelta logica e necessaria. Oggi come oggi, invece, Rai Italia parla anche alle generazioni più giovani, che negli anni hanno riscoperto l’orgoglio delle proprie radici e quale valore aggiunto esse rappresentino”.
Durante le campagne elettorali italiane come si regola il canale Rai Italia?
“Durante le campagne elettorali, Rai Italia ha due compiti ben precisi: il primo è quello di informare sui contenuti della consultazione. Quindi, se pensiamo a titolo di esempio al recente referendum costituzionale, si trattava di fornire ai nostri spettatori informazioni sulle ragioni del “Sì” e sulle ragioni del “No”. Per far questo, ci siamo basati sui regolamenti previsti dal Parlamento e dalla Rai: ovvero, imparzialità assoluta e par condicio. Ma questo, del resto, vale per qualunque rete Rai. Se invece pensiamo alla specificità di Rai Italia, c’è un secondo compito, che è quello di informare sulle modalità di registrazione e di voto, che naturalmente sono assai diverse per chi vive all’estero rispetto a quelle per chi risiede in Italia. Rai Italia ha però una ulteriore specificità, che è quella di informare – come è avvenuto lo scorso anno – sulle elezioni dei Comites, i Comitati degli italiani all’estero: anche in questo caso, e grazie alla collaborazione costante che abbiamo con il Ministero degli Esteri, abbiamo realizzato una campagna massiccia sulle modalità di voto”.
Qual è il futuro di Rai Italia? È ipotizzabile una sua evoluzione in un canale come la BBC International? Diventerete mai il canale della bellezza, della cultura, del cibo, del design, della moda, del saper vivere, dell’arte, ecc. come paradigmi italici universali e non semplicemente, sia pur doverosamente, turistici?
“In questo preciso momento storico, abbiamo la fortuna di avere un vertice aziendale particolarmente sensibile all’offerta per l’estero: questo significa che una evoluzione dei canali Rai per il mondo nella direzione che lei auspica è sicuramente possibile e, anzi, probabile. D’altra parte bisogna però fare attenzione: come spiegavo, le linee-guida del nostro operato discendono dalla convenzione tra la Presidenza del Consiglio e la Rai, e questa ci ha detto fino ad oggi che Rai Italia doveva rivolgersi principalmente agli italiani fuori dal nostro Paese. Saremmo tutti ben felici di affiancare a questo canale un’altra offerta – complementare, non alternativa – che si rivolga invece a chi non è italiano, ma ama l’Italia e ne vuole scoprire le sue meraviglie, a cominciare dalla lingua. E credo, da quello che leggo, che la nuova concessione del Servizio Pubblico alla Rai stia muovendo proprio in questa direzione”.
Niccolò d’Aquino. Giornalista. Vive tra Roma e Milano. Ha lavorato a lungo a New York, per l’Ansa e per il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Si occupa da decenni di italiani all’estero e, in particolare, del modo e degli strumenti informativi con i quali questi comunicano. Sull’argomento ha scritto almeno un paio di libri/ricerche: I media della diaspora (1994) e La rete italica (2014).