All’indomani dell’inaugurazione del presidente Trump, il museo dell’International Center of Photography di New York ha inaugurato l’anno del cambiamento sociale, dedicato all’esplorazione dell’impatto della fotografia e delle arti visive sulla società e sulla cultura. L’ICP museum si è di recente trasferito nel Lower East Side, su Bowery, dalla sua storica location di Midtwon. E si è subito messo in sintonia con un quartiere che ha una lunga tradizione di movimenti e di cultura underground.
Il programma prevede tre eventi nel corso dell’anno, il primo è Perpetual Revolution: the imagine and social change. L’esposizione organizzata dalle curatrici dell’ICP Carol Squiers e Cynthia Young, in collaborazione con Susan Carlson, Claartje van Dijk, Joanna Lehan e Kalia Brooks, esplora attraverso la fotografia e le immagini video, e la loro diffusione online, alcuni degli argomenti maggiormente discussi in questi anni. “Oggi milioni di persone hanno accesso a dispositivi capaci di fare fotografie e video. La fotografia è diffusa immediatamente e viralmente. L’arte sta diventando qualcosa di diverso, di nuovo”, sottolinea Mark Lubell, direttore dell’International Center of Photography. Gli fa eco l’introduzione di Carol Squiers, “Quello che succede ora con Internet è un cambiamento e le fotografie di questa esposizione ne sono testimoni. Le foto possono mostrare dei cambiamenti ma allo stesso tempo esse stesse possono suscitare cambiamenti”.
Esaminando sei criticità della nostra epoca, in un crescendo tumultuoso che va dal problema dei cambiamenti climatici all’emergenza profughi, dalle discussioni sulla razza e sul gender fino al pericolo dell’ISIS e all’ultima campagna elettorale americana con le sue preoccupanti derive, la mostra porta il visitatore in giro per il mondo, in un susseguirsi di emozioni e riflessioni in cui si genera l’idea del cambiamento sociale e dell’importanza della diffusione delle immagini attraverso la comunicazione moderna e i social network.
Scatti sul clima

In questo lungo percorso interattivo il primo argomento affrontato è Climate Changes, il cambiamento climatico. Curata da Cynthia Young, questa prima parte si occupa di evidenziare, attraverso scenari futuri, i problemi legati all’impatto dell’uomo sul clima. Video e fotografie trasportano l’osservatore tra la criticità dell’Artico, rappresentando la drammaticità degli effetti del surriscaldamento globale e cercando di introdurre l’osservatore ai rischi dell’aumento delle temperature. Guardando i video e le foto lo spettaore si sente coinvolto, è portato a riflettere e a condividere questi eventi drammatici. “Vediamo molte immagini bellissime dell’Artico, gli stessi video presenti nell’esposizione parlano dell’Artico e delle sue straordinarie dimensioni. Se tutte le persone collaborassero e si focalizzassero sul problema sarebbe incredibile. In questo senso internet può fare molto, ma poi bisogna andare avanti, non fermarsi a guardare. Le persone si devono attivare”, spiega la curatrice.
Raccontare i migranti

Il secondo step è The Flood: Refugees and Representation. L’inondazione, il termine con cui vengono caratterizzate le migrazioni di massa dal Medio Oriente e dal Nord Africa verso l’Europa, rende perfettamente l’idea di ciò che le popolazioni europee vivono, uno stato di paura e perdita di controllo di fronte a questo numero enorme di persone. Anche su questa crisi tutta europea, la conversazione globale vive l’influenza della diffusione delle immagini. “Quando ho affrontato per la prima volta questo argomento, sul quale riceviamo informazioni e immagini ogni giorno sui nostri device, ho iniziato a pensare a quale linguaggio utilizzare”, racconta la curatrice Johana Lehan, “Il linguaggio visivo è un modo di rappresentare i rifugiati. Ma noi come facciamo tesoro di queste immagini? Una delle cose che più mi ha colpita della crisi in Europa è la foto di questo bambino di tre anni, Aylan, trovato morto sulla spiaggia. Ci sono molti elementi della foto che evidenziano l’unione o la disunione di un bambino con questo mondo. Ma qual è l’impatto che l’umanità sta sperimentando? Ho iniziato a pensare a quali diverse immagini rappresentano i rifugiati, a come loro stessi rappresentano la loro terra, a qual è la relazione tra cosa sono loro e come sono rappresentati. Spesso sono ritratti di sopravvissuti e proprio per questo talora sembrano felici e sorridono”.
Rappresentazioni di genere
Al piano inferiore si prosegue con The Fluidity of Gender. In questo spazio, organizzato da Carol Squiers in collaborazione con Quito Ziegler, le immagini ripercorrono la creatività, l’impatto sociale e politico, l’espressione e la rappresentazione della comunità transessuale. In un continuum visivo si esplorano i vantaggi della connettività digitale per favorire e far evolvere le rappresentazioni del gender attraverso le fotografie, i filmati, i video musicali e le dirette streaming. In un lavoro di centinaia di immagini trovate online, le curatrici hanno evidenziato l’emergenza di affrontare il problema di una comunità sotto attacco, che si fa forte della propria identità e grazie al web riesce a connettersi e non sentirsi più sola. “Ho iniziato a pensare a come Internet ha reso tutto più facile, a come ha affrontato la questione transgender — spiega Quito Ziegler — L’argomento del gender è sempre stato legato all’arte underground. È vero, Internet è libero e tu puoi essere chi vuoi. Per questo motivo le persone si connettono tra loro riducendo l’isolamento da chi è diverso. Quando si è iniziato a parlare di gender i media hanno enfatizzato l’argomento. Poi Internet ha permesso di rendere il tutto più facile, lasciando spazio a ognuno di rappresentare il proprio essere”.

Fotografie di razza
Black Lives (Have Always) Mattered, curata da Kalia Brooks, tratta invece il legame tra il digitale e gli effetti di questo tipo di messaggi contro il razzismo negli Stati Uniti. Nello specifico si occupa di analizzare le immagini e i video che hanno spinto il movimento #BlackLivesMatter dai social media verso le proteste di strada. “L’idea è di capire ciò che ha generato il movimento per l’abolizionismo nel 1960. Questa esposizione ha tre elementi principali: ci sono immagini della collezione di LIFE, ci sono varie immagini video connesse alle strategie di descrizione dell’abolizionismo e infine ci sono degli schermi che spiegano come oggi il movimento si sia evoluto — spiega la curatrice — Tutte le immagini riproducono la verità di quei periodi. Ci sono immagini che richiamano il senso di impotenza e innocenza, sono quindi essenziali per questa collezione e per farci riflettere sul futuro”.

Approfondendo il discorso sul razzismo Kalia Brooks aggiunge: “Il razzismo è un problema culturale e quindi richiede un cambiamento culturale totale per essere superato. Il movimento dei diritti civili qui negli USA cerca di migliorare il rapporto tra bianchi e neri. Non è facile ma credo che sia importante. Siamo divisi per molti motivi, religione, sesso, politica. Se tu hai dei diritti civili hai più potere perché ti vedi in connessione con altre persone che condividono le tue stesse idee. Se generi una comunità puoi raggiungere un obiettivo più facilmente. Anche la televisione può aiutare perché genera opinione. Le foto stesse possono suscitare cambiamento. Nonostante le cose siano cambiate negli anni penso ci sia ancora molto da fare”.
Immagini di propaganda
Propaganda and the Islamic State è la quinta tappa dell’esposizione all’ICP. A cura di Carol Squiers con la collaborazione di Akshay Bhoan, ricrea l’idea e l’effetto della propaganda dell’ISIS e dello sforzo mediatico che gira intorno ad essa. Qui la fotografia lascia spazio alle immagini video: una serie di schermi trasporta l’osservatore nel mondo mediorientale, introducendolo alle dinamiche quotidiane delle popolazioni locali e il loro rapporto con l’ISIS.

Gli ogetti in mostra esplorano la violenza politica del gruppo e il suo linguaggio di propaganda con filmati, fotografie e testi online. “Gender è un esempio di buon cambiamento sociale, questa esposizione è l’opposto — spiega Carol Squiers — L’ISIS utilizza molto i video e le fotografie per la sua propaganda, sfrutta i media e li manipola. Ci sono video che mostrano l’ISIS costruire un’economia, un mondo migliore, una speranza. L’ISIS fornisce una particolare interpretazione del mondo di oggi e se guardate i vari video, vedrete come il Corano sia spesso usato come giustificazione. Spiegano alla popolazione perché deve lottare per loro. La morte per la causa è ritenuta migliore della vita. Il loro modo di diffondere i video è diverso da quello occidentale, non usano parole chiave da cercare online né titoli accattivanti, anzi spesso il titolo non dice nulla sul contenuto. Mandano i video alle persone che potrebbero essere interessate”.
Icone di destra
A chiudere il percorso di Perpetual Revolution c’è un’ultima sala dedicata a The Right-Wing Fringe and the 2016 Election. A cura di Susan Carlson e Claartje van Dijk, pone l’accento sull’utilizzo e l’efficacia dei social network nella diffusione delle visioni estremiste del gruppo Alt-Right grazie all’utilizzo di una delle forme di comunicazione più dirette e memorizzabili dei social media: i meme. La star del meme in questione è Pepe the Frog, una rana creata da Matt Furie nel 2005 nel fumetto Boy’s Clu, divenuta indebitamente simbolo dei bianchi nazionalisti antisemiti di Alt-Right.

Con alcune vignette mirate ad ottenere consensi, questa frangia dell’estrema destra americana si è fatta strada fino ad arrivare alla corsa per la Casa Bianca approfittando della metodologia comunicativa di Donald Trump. Così nell’ottobre 2015 Trump, incurante del politically correct, twitta un’immagine di Pepe come President Trump, sfruttando la notorietà della rana verde e acquisendo con una semplice mossa online una notevole popolarità tra i gruppi di estrema destra. “Credo che Trump sia molto facile da capire mentre la Clinton usa un linguaggio più politico e difficile – spiega Claartje van Dijk – Le persone vogliono sentire cose più dirette e Trump è schietto, usa un linguaggio quotidiano, fatto anche di meme e di social network. Trump risulta così più onesto perché è quello che dice di essere. Il linguaggio che usi è fondamentale, specie nel digitale e su Internet”.
Due mondi in movimento
Attraverso l’analisi di questi sei temi di interesse globale, Perpetual Revolution si pone l’obiettivo di esaminare il rapporto tra il mondo che pensiamo di avere di fronte e quello che le immagini rispecchiano. Una rivoluzione appunto, in perpetuo movimento, che tocca gli ambienti politici e sociali, passando per le nuove tecnologie e i nuovi media, sempre più fruibili da un maggior numero di utenti nel mondo.
Uno scambio tra opera e osservatore, impregnato di dinamismo e di fruibilità del messaggio. Esplorare l’online significa per questa mostra guardare oltre, affrontare i temi caldi che ci toccano da vicino con occhi diversi, con sguardo critico e spesso disincantato. La fotografia non è più strumento per mostrare la realtà, ma diventa il mezzo per far immergere lo spettatore in un ambiente sociale e spingerlo a informarsi e a testimoniare a sua volta, con i propri mezzi, il mondo che gli sta intorno.
La rivoluzione perpetua parte dall’ICP e arriva fino alle menti dei suoi visitatori. Fino al 7 maggio.
Traduzione delle interviste a cura di Chiara Donà.