“Il nonno di papà si imbarcò a Napoli nel 1890 e, dopo giorni di navigazione, arrivò a New York. In quel periodo, nel novembre del 1890, gli emigranti sbarcavano al Barge Office di Battery Park…” racconta Maurizio Igor Meta, attore, scrittore e regista che dal 2014 lavora a Ellis Island.
Ellis Island è un progetto multidisciplinare che inizia dalla storia del suo bisnonno Domenico, partito, come tanti, alla volta dell’America quando l’Italia era un Paese povero in cui si moriva di malaria, di colera e di fame. Tanto più in quella provincia d’Italia che allora si chiamava provincia di Terra di Lavoro (regione storico-geografica dell’Italia Meridionale oggi divisa tra Campania, Lazio e Molise, ndr).
La prima volta Domenico Meta partì solo. Negli anni successivi fece avanti e indietro da New York a Napoli sei volte, con altri paesani, parenti e, nell’ultimo viaggio, portò con sé il figlio che, dopo qualche anno in America, volle però tornare in Italia. L’America era troppo diversa e poi gli affetti e la terra li aveva lasciati laggiù in Italia. Dopo anni di duro lavoro, anni fatti di fatica e nostalgia, Domenico riuscì a mettere da parte un po’ di soldi per comprare un pezzo di terra, e un pezzetto di quella terra tramandata negli anni è arrivata a Maurizio, che ne ha avuto cura.
È da lì che è nata l’idea di ripercorrere il viaggio del suo bisnonno, di cui fino a quel momento aveva sentito solo frammenti di storia raccontati dalle zie e dagli altri parenti. Voleva saperne di più su quell’uomo che gli aveva lasciato quella terra che ancora dava frutti, del suo viaggio di emigrante e della sua vita in una Paese straniero. Tanto più oggi, guardandosi attorno, quando centinaia di migliaia di emigranti sbarcano nel nostro paese in cerca di lavoro e di una vita migliore, o semplicemente di una vita.
Domenico Meta nacque nel 1869 a San Giorgio a Liri (oggi provincia di Frosinone, ndr), rimase orfano da bambino e così venne cresciuto da uno zio che abitava sul monte Fammera. Da lassù Domenico vedeva il mare e, con gli anni, crescendo si rese conto che per lui lì non c’era futuro. Decise di andare in America, per lavorare, per fare un po’ di soldi e un giorno tornare a casa.
“Le ricerche sul suo viaggio e i suoi anni in America – racconta Maurizio – sono state molto difficili. Partendo dai racconti della mia famiglia ho cominciato a ricostruire, ma a volte per mancanza di documenti e informazioni certe non è stato facile farlo con esattezza. È stato necessario ricorrere all’interpretazione, all’immaginazione”. Tutto ciò è parte del fascino del lavoro di Maurizio Igor Meta, che in questa sua ricerca incrocia la storia del suo bisnonno (e di tanti altri migranti) con la propria, quando decise di compiere anche lui lo stesso viaggio per mare, imbarcandosi su un cargo a Napoli, il 19 novembre 2015. “Dovevo impiegare diciannove giorni, ma ci fu una tempesta e quindi ce ne misi ventuno, proprio come il mio bisnonno… già questo mi sembrò importante”.
Maurizio si mise quindi sulle tracce di Domenico. Un’investigazione degli affetti, un’investigazione d’amore che è stata un’investigazione vera e propria, documentata con appunti, immagini, riprese fatte con una GoPro, atta a rintracciare i passi di Domenico nei quartieri dove visse. “Sapevo che all’inizio abitava nel Lower East Side. Avevo due indirizzi certi: 110 Mulberry Street, che era il cuore di Little Italy, e 311 Rivington Street, poco lontano. Sono partito da lì, sono andato più volte a questi indirizzi per cercare informazioni e per documentarli, anche perché nel mio viaggio ho cercato di ripercorrere le strade del mio bisnonno, immaginare le vie, i marciapiedi dove camminò anche lui. Facendo questo ho tenuto un diario di viaggio: il 110 Mulberry Street esiste ancora, sono riuscito a entrare grazie a una giovane coppia che usciva in quel momento a cui ho detto la ragione per cui ero lì. Sono stati gentilissimi, “take your time”, mi hanno detto, e così ho fatto. Il Tenement di Rivington Street invece non esiste più, mi sono rifatto a mappe e fotografie che ho trovato in biblioteca”.
Domenico per un periodo lavorò alla Pennsylvania Railroad, come molti altri italiani, ma è quasi impossibile trovare documentazione a riguardo: “Quelli che lavoravano lì erano fantasmi, non è rimasto nulla nei registri”. Maurizio ha quindi consultato archivi, biblioteche, musei, “singoli archivisti e curatori mi sono stati di grande aiuto, anche al Tenement Museum, appena gli ho raccontato il motivo della mia visita e la ricerca sul mio bisnonno. Mi hanno permesso di girare lì, cosa che non fanno mai”. E lo stesso è successo a Ellis Island e con la compagnia di navigazione con cui Maurizio ha viaggiato. Questo forse fa ben sperare, nonostante i tempi cupi in cui stiamo vivendo, che ci siano moltissime persone in giro per il mondo che in quel viaggio forzato e doloroso si ritrovino, o almeno lo capiscano, che sia un viaggio di allora o di adesso.
Domenico dopo i primi tempi lasciò New York, probabilmente lavorò a Pittsburgh e a Newark. Dalle sue ricerche Maurizio ha scoperto che “tutti quelli che erano con lui, i suoi compaesani, erano andati a Newark e ci erano rimasti, ma di lui non sono certo. Credo fosse un solitario, forse anche per questo è più difficile trovare sue notizie. Sicuramente è andato a Newark una prima volta nel 1905 e poi nel 1916 a lavorare alla ferrovia. Quella ferrovia è stata abbandonata molto tempo fa, ma è curioso che si trovi ora, 30 metri sotto il livello stradale, a due passi dal posto dove abita mia zia, emigrata anche lei successivamente in America […]. Quel pezzetto di ferrovia abbandonata è un luogo meraviglioso ed estremamente evocativo”.
Si sa che Domenico Meta attraversò l’oceano un’ultima volta nel 1916, per poi tornare in Italia dopo la guerra, e che in America non tornò mai più. Comprò, per poi lasciarlo a figli e poi ai nipoti, un pezzo di terra, quella stessa terra che Maurizio si è ritrovato ad avere e da cui tutto è partito.
Il viaggio è stato il primo e necessario tassello di un progetto artistico più ampio qual è Ellis Island, che è fatto di uno spettacolo teatrale, di un documentario, di una mostra fotografica e forse, chissà, di un libro, che raccontano la storia di Domenico, ma non solo (vedi video a fondo pagina).
“Ascoltando racconti di nonni e zii più anziani, racconti di famiglia, di generazioni, racconti di emigranti, di fame, di guerra, racconti d’amore. Io sono cresciuto così”, dice Maurizio. E non vuole che questi racconti siano dimenticati: il suo timore è che questi racconti si perdano, come rischiano di perdersi le vite degli emigranti di allora e di adesso, dimenticate fra tante, perse tra i milioni di racconti costruiti sulle pagine e sullo schermo apposta per intrattenere.
Ecco quindi che il lavoro artistico di Maurizio Igor Meta è al tempo stesso documentaristico ed evocativo, in cui l’autore racconta e interpreta, rappresentando un’intera generazione.
“Abbastanza presto sarà pronto lo spettacolo teatrale, vorrei esordire nel 2017.Ho potuto lavorarci grazie a una residenza teatrale offertami dal prestigioso La MaMa Experimental Theatre Club di New York, alle residenze presso La Corte Ospitale, Kilowatt Festival, La MaMa Umbria International, e un’altra mi è stata offerta presso Qui e Ora Residenza Teatrale, per il maggio 2017. Per ora ho creato 25 minuti dello spettacolo, che è in versi: io lavoro con la parola e con il corpo, le storie sono raccontate attraverso il suono delle parole, l’evocazione mi ricollega a quell’epoca e al viaggio.
““Posso morire pur di vivere” nella mia immaginazione sono state le parole del mio bisnonno Domenico quando decise di partire. Questo vale per tutti gli emigranti, valeva allora come adesso. Ci sono anni di studio e lavoro dietro ai miei testi – prosegue Maurizio – nello spettacolo unisco la storia del mio bisnonno alle storie di tanti altri emigranti dell’epoca”. Che potrebbero essere le storie di tanti migranti di adesso perché, come Maurizio Igor Meta ha ben sottolineato, “il sentimento è lo stesso”.
Potete seguire il progetto Ellis Island di Maurizio Igor Meta su Instagram.