Questo è il quinto capitolo del mio racconto Federico (qui potere leggerei capitoli precedenti).
Dalla prima telefonata erano passati quattro anni. E, sembrava incredibile!, non erano ancora riusciti ad incontrarsi. E dire che nel mese di maggio di quell’anno si erano dati appuntamento a Roma. Ferdinando aveva chiesto qualche giorno di ferie per partecipare al matrimonio di sua cugina. Federico avrebbe fatto un salto con il treno. Ma il pomeriggio, appena arrivato all’hotel, gli venne recapitato un biglietto. Era Federico che annunciava una telefonata alle otto di sera.
Il telefono della stanza dell’albergo dove Ferdinando alloggiava squillò con cinque minuti di anticipo. Federico si scusava: sua madre, ormai su con l’età, stava male. Ancora una volta, incontro rinviato.
Così si erano dati appuntamento nel mese di agosto alle isole Eolie. Si sarebbero finalmente conosciuti a Lipari. Ferdinando sarebbe dovuto partire con Eliana. Invece andò da solo. La settimana precedente avevano litigato. Di brutto. Eliana era andata a Capo d’Orlando. Da sola.
Un po’ frastornato, Ferdinando si era recato a Milazzo. E aveva preso il traghetto per Lipari. Nella fretta, o forse per il nervosismo, aveva dimenticato l’agendina con il numero di telefono dell’abitazione di Lipari dove Federico alloggiava. Un bel casino.
Ricordava ancora l’avvertimento dell’amico, al telefono:
“Mi raccomando, Ferdinando: segnati questo numero e non lo perdere. La nostra abitazione non è nel centro di Lipari, ma dall’altra parte del centro abitato dell’isola. Senza il numero di telefono sarà impossibile incontrarci”.
E infatti non si incontrarono. Appena messo piede a Lipari Ferdinando si era accorto di non aver portato con sé l’agendina. Rimase un giorno a Lipari. Passeggiava nervosamente per il centro abitato dell’isola nella speranza di incontrare l’amico. Tutto inutile. Un po’ pensava a Federico che non riusciva a vedere di persona. E un po’ pensava ad Eliana.
L’indomani mattina prese il traghetto per Milazzo. E tornò a Palermo. Arrivò a casa ad ora di pranzo. Cercò l’agendina. Non la trovò. L’aveva lasciata al giornale? Si recò in redazione tra la sorpresa dei colleghi.
– “Non dovresti essere alle Eolie con Federico?”, gli disse Vittorio.
– “Ci sto andando”, rispose Ferdinando.
Vittorio, che un po’ lo conosceva, con aria quasi profetica, gli chiese:
– “Hai litigato con Eliana”.
– “Come fai a saperlo?”.
– “Ce l’hai scritto in faccia”, gli rispose.
– “Abbiamo avuto qualche discussione”.
– “Dove si trova?”
– “Non lo so e non m’interessa”.
– “Vuoi che la chiami io?”.
– “Meglio di no”.
Quel giorno andò a pranzo con Vittorio. Ferdinando si guardò bene dal raccontare il mancato incontro di Lipari e la storia dell’agendina. Tornò a casa nel primo pomeriggio. Si sdraiò sul letto per cercare di ricordare dove poteva trovarsi l’agendina. Dopo qualche minuto, l’illuminazione: si ricordò di averla lasciata accanto al telefono.
Era lì. La aprì nervosamente. Compose subito il numero. Al terzo squillo sentì una voce femminile:
– “Pronto, chi parla?”.
– “Sono Ferdinando, un amico di Federico. Ci saremmo dovuti incontrare ieri. Ma ho avuto un contrattempo”.
– “Lo so, il signor Federico l’aspettava. Ieri non si è mosso da casa. Attendeva la sua telefonata”.
– “Ora dov’è?”.
– “Sono andati in giro. Torneranno tra due giorni. Se vuole può raggiungerli lì. Mi ha lasciato un numero di telefono. Deve chiamare la sera dopo le nove”.
Ferdinando passò tutto il pomeriggio in casa dormendo e leggendo. Alle nove di sera in punto compose il numero che gli aveva dato la signora. Qualche minuto dopo sentì la voce di Federico:
– “Che è successo?”.
– “Un casino – rispose -. Ho litigato con Eliana. Sono andato solo a Lipari. Appena arrivato, mi sono accorto di aver dimenticato l’agendina con il numero di telefono. Sono rimasto a Lipari un giorno. Ora sono a casa e non ho voglia di fare niente”.
– “Chiama Eliana e raggiungeteci. Sono qui con la mia famiglia. Le ferie sono appena cominciate. C’è il tempo per riannodare tutti i fili. Dai, almeno provaci”.
Invece non ci provò. Era nero. Ce l’aveva con Eliana. Era la prima, vera lite di un rapporto che durava da quasi sette anni. Non gli andava di fare niente. Non voleva vedere nessuno.
La sera dopo avvertì Federico che sarebbe tornato a Sciacca. Anche questa volta l’incontro con l’amico era rinviato.
Nella piccola casa di Sciacca Ferdinando non aveva il telefono. Per rintracciarlo bisognava telefonare alla pizzeria che stava a pochi metri dalla sua casa. L’orario migliore era la mattina alle undici. A quell’ora Ferdinando era in casa a scrivere. In pizzeria c’erano solo gli addetti alle pulizie. La sera, così raccomandava Ferdinando agli amici, era meglio evitare. Troppa confusione.
Federico lo chiamò l’indomani mattina.
– “Ferdinando, al telefono. C’è il tuo amico di Napoli”, gli disse il titolare della pizzeria.
Federico era una delle tre o quattro persone che sapevano come rintracciare Ferdinando a Sciacca.
– “Come va?”, gli chiese l’amico.
– “Va, va. E anche se non dovesse andare facciamo in modo che vada lo stesso”.
– “Appena torno a Napoli ti chiamo e mi racconti tutto”.
Si salutarono dandosi appuntamento nei primi giorni di settembre.
Settembre arrivò. E ricominciarono le telefonate con l’amico.
– “Tutto ancora in alto mare?”, gli chiese Federico.
– “Tutto in un dolce mare”, rispose Ferdinando.
– “Oh che piacere! Finalmente ti sento tonico. Era ora. A proposito, il servizio sui lavori della diga bloccati per salvare un vecchio ponte ha fatto furore. Mi ha chiamato il direttore in persona. Ti fa i complimenti”.
Da qualche settimana Ferdinando aveva ripreso a lavorare. E si era sparato l’inchiesta sulla diga. Il solito invaso artificiale lasciato a metà per problemi burocratici. Nella Sicilia della seconda metà degli anni ’80 se una diga era piena d’acqua si scopriva che mancavano le canalizzazioni per irrigare le campagne o per le città. Se invece c’erano le canalizzazioni mancava l’acqua. Nell’un caso o nell’altro erano dighe inutilizzabili.
– “Legge di Murphy allo stato liquido”, aveva commentato Federico.
Nella storia raccontata da Ferdinando c’era una variazione sul tema: i lavori per la realizzazione della diga in questione erano stati bloccati perché bisognava cercare di salvare un vecchio ponte che sarebbe stato sommerso dall’acqua. Dopo circa tre mesi di acceso dibattito si era arrivati alla conclusione che non sarebbe stato agevole spostare l’invaso artificiale per salvare un ponte. Che fare, allora?
La soluzione venne prospettata da un ingegnere: racchiudere il vecchio ponte in una campana di vetro. Ovviamente, c’era chi obiettava che, anche se protetto da una campana di vetro, il ponte, una volta sommerso dall’acqua, non sarebbe più stato visibile. La contro-obiezione era che, per vederlo, ci si sarebbe potuti immergere nelle acque dell’invaso. E, in ogni caso, l’obiettivo era salvaguardare il ponte che un giorno, a invaso prosciugato, sarebbe stato visibile e disponibile per le generazioni future.
Ferdinando scrisse il servizio mentre infuriava questo intelligente dibattito. Aveva pure inviato a Napoli, via posta, due fotografie. Che erano state pubblicate con la didascalia sbagliata. Cosa che Ferdinando aveva subito fatto notare all’amico:
– “Federico, ti sei accorto che il sottopupo era sbagliato?”.
– “Il sotto che?”, aveva chiesto Federico.
“Qua da noi al giornale le didascalie che vanno sotto le fotografie le chiamano sottopupi”.
– “E perché?”.
– “Questo non lo so. So che le chiamano così”.
– “La fotografia sarebbe il pupo e la didascalia che l’accompagna il sottopupo”, aveva detto sorridendo Federico.
“Una cosa del genere”, aveva risposto Ferdinando.
In pratica, la didascalia che avrebbe dovuto accompagnare la fotografia della diga siciliana era finita sotto la foto del pezzo del grande economista. E viceversa.
Il grande economista, così lo chiamavano Ferdinando e Federico, era un commentatore del supplemento economico del giornale napoletano. Ferdinando non si perdeva mai l’articolo del grande economista.
– “Quando vieni a Napoli te lo presento, così vi fate una bella chiacchierata sulla questione meridionale”, gli aveva promesso l’amico.
La settimana successiva, la fatalità. Aveva composto il solito numero di telefono della redazione napoletana. Se Federico stava seduto al suo posto di lavoro rispondeva subito. Gli accordi erano che, dopo il quarto squillo, Ferdinando avrebbe dovuto lasciar perdere e riprovare dopo.
Quel pomeriggio si era già consumato il terzo squillo a vuoto. Ferdinando aspettava il quarto squillo per mettere giù il ricevitore. Fu un attimo. Proprio mentre stava per posare la cornetta del telefono sentì una voce profonda, decisamente meridionale:
– “Pronto?”.
La voce non era quella di Federico.
– “Pronto – rispose -. Sono Ferdinando. Chiamo da Palermo. Cerco Federico”.
“Federico si è allontanato – gli rispose l’interlocutore dall’altra parte del filo -. Io sono qui di passaggio. Ho sentito il telefono squillare e ho alzato la cornetta. Lei è un giornalista?”.
– “Sì, scrivo dalla Sicilia per ‘Lettera Sud’. Chiamavo per proporre un servizio”.
“Bene, anche io scrivo per ‘Lettera Sud’. E si presentò con il suo nome e cognome”.
Al telefono, dall’altra parte del filo, c’era il grande economista. Nel sentire quel nome Ferdinando saltò dalla sedia per l’emozione.
– “Lei è il commentatore di economia? Anzi, l’economista”.
– “I titoli lasciamoli stare”, rispose con un’inflessione napoletana.
– “Io la leggo ogni settimana – disse Ferdinando -. I suoi interventi sono sempre puntuali. Sa che con Federico parliamo spesso di lei?”.
Il grande economista sembrava divertito. Ferdinando lo tempestava di domande. Sulle banche. Sulle infrastrutture. Sull’Agensud. Sul turismo. Sul fallimento delle politiche industriali nel Mezzogiorno. Sull’Alfa Sud di Pomigliano d’Arco. Sull’Italsider di Taranto. A un certo punto la discussione scivolò sulla Sicilia.
– “La Sicilia – disse il grande economista – è una terra bellissima e complicata. E’ grandiosa in tutto, nel bene e nel male”.
– “In che senso?”, aveva chiesto Ferdinando.
– “I beni culturali che avete laggiù in Sicilia non ce li ha nessuno. Avete cose incredibili. Aree archeologiche di una bellezza indescrivibile. Centri storici incantevoli, palazzi e monumenti unici. Il mare con le spiagge dell’Agrigentino e del Ragusano. Il verde dei Nebrodi e dei Peloritani. Le saline di Trapani. Le distese di grano dell’Ennese e del Nisseno. I giardini di agrumi di Palermo”.
– “Guardi che la Sicilia non è tutto Paradiso”, aveva osservato Ferdinando.
– “Infatti – replicò il grande economista -. Accanto al Paradiso avete anche l’Inferno. Ma è grande anche quello”.
– “Agostino Depretis non la pensava come lei”, aveva obiettato Ferdinando.
– “In che senso?”, gli aveva chiesto incuriosito il grande economista.
– “Depretis, come lei certamente saprà – aveva risposto Ferdinando – conosceva la Sicilia. Era arrivato dalle nostre parti con Garibaldi, al seguito dei celebri mille. E a proposito del rapporto tra Sicilia, Paradiso e Inferno, Depretis aveva maturato un’idea”.
– “Che idea?”
– “Depretis diceva che la Sicilia gli era sembrata un Paradiso governato da Satana”.
“Non conosco così bene la tua terra per commentare un giudizio così drastico – aveva replicato il grande economista -. Ma di una cosa sono certo: tra la malavita delle mie parti e la mafia c’è una profonda differenza”.
– “Cioè?”, aveva chiesto Ferdinando.
– “Voi lì in Sicilia avete, per l’appunto, la mafia, che è una cosa maestosa. Noi qui a Napoli abbiamo la camorra, la merda”.
Il grande economista si stava cimentando in un’iperbole. O quanto meno era quello che a Ferdinando piaceva pensare. In ogni caso, si limitò ad obiettare che la mafia, anche se maestosa, non faceva meno schifo della camorra. Considerazione che trovò d’accordo il grande economista. La telefonata si chiuse con un saluto e con l’impegno di risentirsi.
Federico lo chiamò al telefono l’indomani. Ferdinando stava seguendo le vicissitudini legate alla chiusura di una delle più grandi miniere della Sicilia.
– “Perché la chiudono?”, gli aveva chiesto l’amico napoletano.
– “Ma, dicono per fatti di mafia – aveva risposto Ferdinando -. A me, però, la storia non convince. C’è qualcosa sotto che non riesco ancora a capire”.
– “Intanto prepara un bel servizio. Fai centoventi righe più un appoggio di sessanta righe. Vedi se riesci a intervistare il signore delle miniere”.
Dall’altra parte del filo Ferdinando scoppiò a ridere:
– “Lo sai benissimo – disse rispondendo a Federico – che il signore delle miniere siciliane non ne vuole sapere di farsi intervistare”.
Il riferimento era a un personaggio affascinante e un po’ misterioso che stava dietro a tutte le operazioni minerarie andate in scena in Sicilia dagli anni Cinquanta in poi. Ferdinando aveva scritto vari articoli su di lui. Una volta si era pure beccato una querela che era ancora in corso. L’uomo delle miniere, un avvocato che conosceva tutto delle miniere siciliane, non amava la ribalta. Non rilasciava mai interviste. Parlava solo attraverso i suoi avvocati. Precisando e querelando. Un tipo tosto.
– “Riprovaci. Chissà, magari questa volta ci rilascia l’intervista”.
– “Lo farò, ma sappi che è tempo perso”.
E così fu. Al telefono, la segretaria della società della quale era titolare il signore delle miniere gli disse che l’avvocato era fuori sede. Particolare molto siciliano: non lo invitò a riprovare. Il messaggio era chiaro: con lei non parla.
Con questo personaggio Ferdinando era riuscito a parlare solo una volta. Dopo aver pubblicato a sua firma un’inchiesta piuttosto pesante su un contenzioso in cui era coinvolto il signore delle miniere, era stato chiamato al telefono ed invitato in azienda. Voleva conoscerlo? No. Voleva capire chi poteva avergli dato certe notizie così ricche di particolari. Ferdinando aveva mangiato subito la foglia ed era rimasto sulle sue. Era stato invitato per parlare e lui, per tutta risposta, cercò di far parlare il signore delle miniere. Che dopo un po’, piuttosto stizzito, lo liquidò.
Ferdinando scrisse i due pezzi per i napoletani. Ma questa volta non calcò la mano. Federico se ne accorse subito. La sera lo chiamò a casa.
– “Ci siamo andati leggeri. Che è successo?”.
– “Te l’ho detto: la tesi della magistratura non mi convince. Nella chiusura di questa miniera c’è qualcosa sotto. Qualcosa che mi sfugge. Che non capisco. Lo so, il servizio è un po’ interlocutorio. Ma voglio lasciare la porta aperta. Tra sei mesi circa, quando verrà fuori un certo atto giudiziario, conto di saperne di più. Per ora teniamoci larghi”.
– “Qualcosa l’avrai ‘naschiata’, ne sono sicuro – aveva replicato l’amico napoletano, citando un modo di dire di Ferdinando -. Dimmi almeno quello che hai intuito e che per ora non vuoi scrivere”.
Federico conosceva ormai troppo bene Ferdinando. Sapeva che l’amico siciliano aveva intuito qualcosa. Non a caso aveva usato la parola “naschiato”: che significa avere intuito, a naso, qualcosa.
Ferdinando non si tirò indietro:
– “Sai, ancora è troppo presto per parlarne. Ma ho la sensazione che i poteri forti vogliano bloccare l’estrazione di sali potassici della Sicilia”.
– “Perché? Chi può avere interesse a bloccare l’attività di un settore economico così importante per la tua Isola?”, aveva chiesto l’amico napoletano.
– “Non lo so. Non sono in grado di essere preciso. Questo mercato è controllato dai tedeschi. Così mi dicono. Ma, come ti ho detto, in questa fase è troppo presto per elaborare congetture. Dobbiamo aspettare. Qualche mese. O forse qualche anno”.
– “Addirittura!”, aveva esclamato Federico.
– “Quando in queste operazioni economiche s’infila la magistratura i tempi si allungano. In Sicilia è così”.
Federico si fidava di Ferdinando. Soprattutto sulle cose siciliane. Da quando erano rientrati dalle ferie le telefonate tra i due amici erano diventate brevi. Sempre affettuose. Ma con una netta prevalenza di argomenti di lavoro. A tenersi chiuso era Ferdinando. Non gli andava di parlare delle cose personali.
Federico, nelle ultime settimane, aveva provato a stanarlo. Ma Ferdinando aveva risposto picche. Quella sera l’amico napoletano era stato più determinato del solito. Non mollava.
– “Uè – gli aveva detto – da quando siamo rientrati al lavoro sono già passati più di tre mesi. Tra poco sarà Natale e tu, dopo tanto tempo che ci conosciamo, non mi hai ancora detto che cosa è successo l’estate scorsa. Ti vedi sempre con Eliana? O stai con un’altra guagliona?”.
Fu un attimo. Improvvisamente Ferdinando decise di raccontare tutto. Del resto, per quattro anni Federico era stato un caro amico. E lo era ancora. Conosceva i suoi problemi di lavoro e le storie intime. Gli voleva bene. Si fidava. Se, a un certo punto, aveva deciso di non parlare più della sua vita privata era perché nemmeno lui era d’accordo su quello che stava facendo. Prima di parlarne a Federico avrebbe voluto capire qualcosa in più di se stesso. Fatica vana. Perché i dubbi che nutriva su di sé non si diradavano. Anzi.
Ma quella sera decise di parlare lo stesso con l’amico.
– “Ce l’hai un po’ di tempo?”, chiese a Federico.
“Tranquillo, sono in redazione. Mia moglie rientra a casa tra un’ora”.
Parlarono. Anzi, parlò Ferdinando.
– “Ti ricordi l’estate scorsa, quando ho litigato con Eliana?”.
– “Fino a qui ci sono. Quando mi hai dato la buca alle isole”.
– “Ma che buca! Ero nero. Sai cosa ha combinato la stronza? A metà luglio mi ha detto: ‘Tu vai in ferie dal quindici agosto in poi. E io sono felice di passare le ferie con te. Ma siccome ho sostenuto tutti gli esami della sessione estiva all’Università vado a passare qualche giorno a Capo d’Orlando con una mia amica”.
– “E te la prendi perché la tua ragazza va a passare qualche giorno a Capo d’Orlando con una sua amica? Via…”.
– “Aspetta. Non è per questo che me la sono presa”.
– “Che è successo ancora?”.
– “Il sabato successivo ci vediamo a Sciacca. E mi comunica la novità: ‘Sai – mi dice – ho conosciuto un ragazzo a Capo d’Orlando. Siamo diventati amici. Quando torniamo dalle isole mi verrà a trovare. Siccome tu sarai ancora in ferie dormirà a casa tua’. Ti rendi conto, Federico? Non solo conosce un ragazzo, ma lo invita pure a Sciacca! E mi propone di farlo dormire a casa mia. E’ troppo!”.
– “Tu che gli risposto?”.
– “L’ho mandata a quel paese. Era sabato. Ed ero appena entrato in ferie. Il lunedì ci saremmo dovuti incontrare alle isole. L’ho piantata e sono tornato a Palermo. Due giorni dopo sono partito da solo per Lipari. Il resto lo sai”.
– “Ma da allora non vi siete più sentiti?”.
– “No. Cioè sì e no”.
– “Che significa sì e no?”.
– “Beh, la situazione poi si è incasinata. Appena tornato dalle isole ho passato una settimana a Palermo. Da solo. Poi sono tornato a Sciacca e l’ho incontrata con quello. L’ho mandata di nuovo a quel paese e poi mi sono incasinato io”.
– “In che senso?”.
– “Federì, qui la storia si complica. Ne parliamo la prossima volta”.