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I segreti della Città Eterna: Roma e la tripla Chiesa di S. Clemente

Nuovo capitolo alla scoperta della storia della Capitale italiana, ripercorrendo i ventidue secoli di un edificio tutto da scoprire

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
I segreti della Città Eterna: Roma e la tripla Chiesa di S. Clemente

San Clemente, Rome

Time: 8 mins read

Quello che segue è uno stralcio da ‘La grande guida di Roma’ di Mauro Lucentini, il nostro critico d’arte; più precisamente, è uno stralcio da quella parte del libro che è intitolata ‘Prima di andare,’ ossia che può esser letta prima di visitare il luogo, dovunque; mentre le parti che si riferiscono alla visita vera e propria sono denominate ‘Sul posto’. Questa divisione è tipica del libro di Lucentini  e unica nel settore delle guide, particolarmente adatta a Roma dove è utilissima per assorbire la quantità enorme dei dati d’informazione occorrenti per avere un’idea della ‘Città eterna’ e dei suoi 2700 anni di storia. Tutti gli stralci che seguiranno provengono dalle parti ‘Prima di andare’; per avere il libro completo, ossia anche i gruppi di pagine che vi occorreranno una volta ‘Sul posto’, acquistatelo direttamente da Amazon. Gli stralci precedenti possono essere riletti cliccando qui.

Nei monumenti romani, la confusione storica procede spesso di conserva con la complessità strutturale. Nessun edificio dimostra ciò meglio della chiesa di San Clemente, un’incredibile sovrapposizione di quattro livelli di costruzione che abbracciano ventidue secoli..

San Clemente, una personalità doppia. I problemi cominciano con il nome. Chi era san Clemente? La tradizione parla di un “martire e papa del I secolo”. Due cristiani vissuti in quel secolo con quel nome hanno lasciato traccia di sé nella storia.

Uno era il console Tito Flavio Clemente, cugino dell’imperatore Domiziano, ucciso per la sua fede; indubbiamente un martire, ma non papa.

Un altro era papa Clemente, terzo successore di san Pietro, noto soprattutto per un’energica epistola con cui stroncò un caso di insubordinazione ecclesiastica. Era certamente un papa, ma non un martire.

La figura di san Clemente sembra un ibrido di queste due persone, dovuto forse anche a una relazione che esisteva tra loro. Basandosi sull’usanza secondo cui gli schiavi liberati assumevano spesso il nome degli ex padroni, alcuni studiosi hanno ipotizzato che Clemente il papa fosse un ex schiavo di Clemente il console; e che egli fosse cristiano perché la maggior parte della “famiglia” del console – comprendente servitori e schiavi – si era convertita insieme a lui.

La chiesa di S. Clemente nella sua ultima incarnazione, in una stampa settecentesca di G. Vasi

San Clemente, una costruzione quadrupla. La complicata storia di san Clemente uomo trova il suo riflesso nella complicata storia di San Clemente l’edificio. Dei quattro livelli di costruzione che lo compongono, tre sono antichi romani. L’ultimo sul fondo, tuttora non scavato, appartiene a case distrutte dall’incendio di Nerone nel 64 d.C. Il penultimo era parzialmente occupato da una vasta residenza privata nota per aver dato rifugio a cristiani nel I secolo e più tardi; residenze che sono state in seguito chiamate ‘ecclesiae domesticae’ (chiese domestiche) o tituli (perchè messi come una specie di titolo sotto la protezione del loro fondatore o di un prelato ecclesiastico, un costume passato in seguito al rapporto tra le chiese ufficiali e i cardinali). L’esistenza di questo circolo religioso privato è storicamente documentata. Si deve dunque supporre che l’originale ecclesia domestica appartenesse a un benefattore di nome Clemente, forse il console o un suo discendente.

Soltanto nel IV secolo, quando l’imperatore Costantino permise ai cristiani di praticare il loro culto apertamente, una vera e propria chiesa, a pianta basilicale, venne costruita sopra alla ecclesia domestica (secondo livello a partire dalla superfcie). A quel tempo, il nome cessò di essere interpretato come quello del vecchio benefattore, e cominciò a essere ritenuto quello del vecchio papa, che aveva avuto un ruolo importante, come terzo successore di san Pietro, nel consolidamento della nuova religione. Ma papa Clemente, come titolare di una nuova, importante chiesa, mancava di un requisito importante, soprattutto se paragonato al suo omonimo, il console: non era un martire.

A quanto difettava nella realtà si poteva sopperire con l’immaginazione. Una complicata leggenda nacque nel IV secolo per conferire a papa Clemente l’aureola del martirio (dopodiché il vero martire, il console Clemente, venne praticamente dimenticato). Vale la pena di riferire questa leggenda non solo in se stessa, ma perché dette origine ad alcuni memorabili episodi nella vita di questa chiesa, e anche perché è il soggetto di affascinanti affreschi nella chiesa stessa.

Dice la leggenda che papa Clemente era oggetto di persecuzione sotto l’imperatore Traiano. Quando il capo della polizia di Roma, Sisinnio, andò per arrestarlo, lui e i suoi uomini furono miracolosamente accecati dall’intervento divino, cosicché scambiarono una colonna per Clemente e trascinarono la colonna in carcere. Ma Clemente non poté salvarsi per molto tempo. Catturato, venne condannato a lavorare nelle temute miniere della Crimea; qui cominciò a convertire le guardie e gli altri prigionieri. Il martirio era inevitabile. Venne legato a un’ancora e gettato nel Mar Nero. Qualche tempo dopo, le acque si divisero spontaneamente, rivelando una splendida tomba; quella di Clemente, costruita dagli angeli. Da allora in poi le acque si dividono ogni anno, permettendo ai fedeli di andare a pregare sulla tomba del martire. Una volta, un bambino annegò perché la madre non fece in tempo a tirarlo indietro al ritorno delle acque. Ma lo ritrovò miracolosamente vivo l’anno dopo nello stesso punto, quando tornò per pregare!

Alcuni affreschi nella chiesa di S. Clemente. L’ultimo in basso contiene le famose frasi in italiano arcaico

Tutto questo è il soggetto nella chiesa di straordinari affreschi, famosi anche perchè contengono una scritta le cui  parole sono le prime documentate in lingua italiana dopo il suo distacco dal latino. Quando gli agenti di Sisinnio, accecati, portano via una colonna credendo che sia Clemente, Sisinnio li sprona con questa frase: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite, falite deretro colo palo, Carvoncelle» (‘Figli di puttane, tirate; Gosmario, Albertello, tirate, e tu Carvoncello fattigli dietro a spingere col palo’). (Papa Clemente se la svigna borbottando in latino, evidentemente la lingua ancora in uso tra le persone decenti: «Voi gente dal cuore di pietra, è giusto che trasciniate una pietra»).

Un solo isolato, due dèi. Prima di continuare occorre far ritorno all’originale ecclesia domestica insediata nella casa privata del penultimo livello. Per circa un secolo, questo luogo d’incontro di primi cristiani era coesistito con un analogo luogo di culto situato appena una porta più in là nello stesso isolato, praticato dai fedeli di un’altra religione orientale, il mitraismo. I sacerdoti di Mitra, chiamati patres come quelli cristiani, debbono essersi chissà quante volte incontrati con i preti del titulus Clementis. Non sappiamo quali fossero i rapporti tra loro, ma è probabile che se i cristiani trattavano sprezzantemente i mitraici, com’era loro costume i verso i praticanti di religioni diverse, il sentimento venisse abbondantemente ricambiato, non foss’altro perché la religione mitraica era molto più antica. Era infatti già affermata al tempo di Alessandro Magno, tre secoli prima di Cristo. Tra le due religioni esisteva qualche rassomiglianza. Come il cristianesimo, il mitraismo era un culto monoteista basato su rigorosi criteri morali, anche se non tanto sull’amore del prossimo e la castità quanto sulla lealtà e sul coraggio (per questa ragione, era particolarmente popolare presso i militari). Anch’esso celebrava l’arrivo di un redentore, il dio Mitra, forza cosmica identificabile con il Sole, fonte di ogni vita e bene. Diffuso a Roma dai soldati di ritorno dall’Oriente, il culto vi aveva preso radice più o meno allo stesso tempo del cristianesimo. (Mitra era solitamente rappresentato nell’atto di uccidere un toro, simbolo della primeva forza procreatrice; il gesto dava inizio al creato terre-stre, anche se cattivi spiriti, sotto forma di uno scorpione, un serpente e un cane, cercavano di impedirlo).

Ampi resti di questo tempio mitraico o mitreo esistono sul penultimo livello, confinanti con quelli della ecclesia domestica. Quando il secondo livello dall’alto – la chiesa cristiana del IV secolo – fu costruito sopra le rovine della ecclesia domestica, il mitreo continuò a funzionare lì accanto, seppure su un livello più basso, ancora per qualche decennio. Solo nel 395, quando, ultimo tra tutte le religioni pagane, anche il mitraismo venne proibito, il tempio venne chiuso e poco tempo dopo il culto scomparve a Roma completamente. La basilica sul livello superiore venne allora estesa con l’aggiunta di un’abside costruita proprio al disopra dell’ex mitreo, come in un gesto di finale trionfo.

Il rapporto con l’Oriente: Cirillo e Metodio. In seguito alla leggenda per cui cui papa Clemente sarebbe sparito tra le onde del Mar Nero, questo santo e anche la sua chiesa divennero oggetto di particolare venerazione nel Medioevo da parte degli abitanti bizantini e degli altri residenti orientali di Roma. Ciò a sua volta dette luogo a memorabili sviluppi nella vita della basilica, a diversi secoli di distanza dalla sua fondazione. Nel IX secolo l’imperatore bizantino aveva chiesto a due illustri sacerdoti cristiani, i fratelli Cirillo e Metodio, di civilizzare le tribù barbariche che vivevano a nord del Mar Nero. I due fratelli svolsero la loro missione con eccezionale successo. Cirillo, linguista, inventò anche un nuovo alfabeto adatto all’idioma di quelle popolazioni analfabete, il “cirillico”, che è tuttora in uso.

La civilizzazione e conversione delle popolazioni slave inclusa quella della presente Russia da parte dei santi Cirillo e Metodio (per usare il loro titolo attuale) costituisce uno degli eventi veramente determinanti della storia mondiale. Quando i due fratelli, molti anni dopo e ormai sulla soglia della vecchiaia, decisero di tornare a Roma, simili credenziali avrebbero dovuto essere più che sufficienti per assicurare loro accoglienze trionfali. Ma a quanto pare essi ritennero di aver bisogno di qualcosa di ancor più drammatico, perché prima di partire per il centro della cristianità annunciarono di aver compiuto una nuova impresa: avevano ritrovato il corpo di san Clemente su un’isola del Mar Nero, completo dell’ancora a cui era stato originariamente legato (secondo una leggenda, come ricorderete, nata già diversi secoli dopo la morte di papa Clemente)!

I due arrivarono a Roma nell’anno 867 insieme al supposto corpo del supposto martire (dell’ancora non viene fatta più menzione), ricevendo un entusiastico benvenuto. Le reliquie vennero condotte in festosa processione alla chiesa di San Clemente, come illustrato da affreschi che potrete vedere, e ivi sono rimaste fino a oggi. Cirillo stesso morì a Roma poco tempo dopo e fu solennemente sepolto in San Clemente. Suo fratello ritornò in Oriente.

Nei secoli successivi le ossa di san Cirillo subirono notevoli vicissitudini, anche se meno spettacolose di quelle incontrate dal corpo di san Clemente. Scomparse nel 1798, quando Roma sottostò brevemente a un regime repubblicano anticlericale ispirato dalla Rivoluzione francese, furono considerate perdute fino a quando una scatola che ne conteneva una parte fu ritrovata nel 1963. Furono allora nuovamente sepolte nella chiesa.

Il livello superficiale. Si potrebbe pensare che tutto questo sia sufficiente come saga della chiesa di San Clemente. Ma non lo è. La chiesa di cui abbiamo parlato fino a questo momento, quella situata sul secondo livello dall’alto, non è quella in uso oggi. Quella in uso è naturalmente situata alla superficie, anche se essa stessa è tutt’ altro che moderna, trovandosi dov’è da novecento anni.

Ecco quello che è accaduto. Nel XIII secolo la basilica del secondo livello, costruita al tempo di Costantino, stava crollando. Fu allora riempita di terra e pietrisco, così come era stato fatto 700 anni prima per la ecclesia domestica sottostante, e usata come fondazione di una nuova basilica, simile alla precedente ma un po’ più piccola.

Trascorsero i secoli. Nel 1677 la chiesa, fino ad allora officiata dai frati agostiniani, fu ceduta ai frati irlandesi domenicani fuggiti dalla persecuzione protestante in atto nel loro paese (essi la gestiscono tuttora). A quell’epoca l’esistenza di una chiesa inferiore era stata completamente dimenticata. Ancora nella seconda parte dell’Ottocento tutti, inclusi gli studiosi, ritenevano che la chiesa visibile sul piano stradale fosse quella di cui già san Gerolamo aveva scritto nel IV secolo, un errore facilitato dal fatto che molti arredi della chiesa precedente, come la preziosa cantoria di marmo, erano stati trasferiti dalla chiesa inferiore a quella superiore.

Nel 1857 l’erudito priore dei Domenicani irlandesi, padre Joseph Mullooly, ebbe il sospetto di una precedente vita della basilica e, sfondato un muro, iniziò un lungo ciclo di scoperte che sono ancora in corso, una delle grandi avventure archeologiche di tutti i tempi. Oggi lo scavo del secondo livello (la basilica originaria) è completo, quello del penultimo livello (la casa romana con l’ecclesia domestica e il mitreo) è a buon punto mentre dell’ultimo livello (le case romane precedenti l’incendio neroniano) si sono scorti soltanto i vestigi. L’opera dei frati irlandesi è stata immensa. Oltre 130.000 vagoni di terra e detriti sono stati rimossi e un canale sotterraneo che dalla chiesa arriva fino al Colosseo è stato costruito per dare scarico alle acque che avevano invaso i livelli inferiori.

Il fantasma della papessa. San Clemente prospettava con un lato sull’antico Vicus Papissae, in vicinanza del luogo dove la leggenda colloca la misera fine della immaginaria Papessa Giovanna nell’VIII secolo. Secondo una guida di Roma del 1518, un antico tabernacolo marmoreo sorgeva accanto alla chiesa per ricordare il punto in cui «quella donna  arrivata alla dignità papale con il nome di Giovanni VIII aveva partorito, e dove era stata sepolta senza onori». Un antichissimo tabernacolo marmoreo, sicuramente precedente l’anno Mille, sorge ancor oggi in effetti presso la chiesa, ma nessuno sa se sia quello menzionato dalla guida. Oggi è dedicato alla Vergine Maria e è in deplorevoli condizioni.

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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