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L’immensa bellezza della città eterna: Roma e Campo de’ Fiori

Viaggio a puntate alla scoperta della capitale d'Italia, tratto dagli stralci de "La grande guida di Roma", del nostro critico d'arte Mauro Lucentini

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
L’immensa bellezza della città eterna: Roma e Campo de’ Fiori

Campo de’ Fiori, a Roma

Time: 5 mins read

Quello che segue è uno stralcio da ‘La grande guida di Roma’ di Mauro Lucentini, il nostro critico d’arte; più precisamente, è uno stralcio da quella parte del libro che è intitolata ‘Prima di andare,’ ossia che può esser letta prima di visitare il luogo, cioè dovunque, mentre le parti che si riferiscono alla visita vera e propria sono denominate ‘Sul posto’. Questa divisione è tipica del libro di Lucentini  e unica nel settore delle guide, particolarmente adatta a Roma dove è utilissima per assorbire la quantità enorme dei dati d’informazione occorrenti per avere un’idea della ‘Città eterna’ e dei suoi 2700 anni di storia. Tutti gli stralci che seguiranno provengono dalle parti ‘Prima di andare’; per avere il libro completo, ossia anche i gruppi di pagine che vi occorreranno una volta ‘Sul posto’, acquistatelo direttamente da Amazon.

Campo de’ Fiori prende il suo nome da un prato abbandonato; in tale stato era ridotto il luogo durante il Medioevo. Ma già nell’antichità romana era una delle parti meno nobili della città, essendo occupata in parte dalle rimesse delle factiones, le squadre degli aurighi del Circo Massimo, rimesse i cui resti sono stati ritrovati in tutta la zona, da piazza Farnese fino alla vicina piazza della Cancelleria. Fu alla fine del Quattrocento che i papi decisero di urbanizzare l’area, l’unica, sulla strada per il Vaticano proveniente da sud, ancora in stato campestre; e fecero ciò aprendo una nuova via che venne chiamata appunto via del Pellegrino (tuttora esistente), dalla categoria che in futuro l’avrebbe maggiormente usata, e portando nella zona le fognature e altri servizi essenziali. La piazza fu subito densamente popolata e nel Cinquecento era già considerata uno dei luoghi cittadini più importanti, dalle funzioni paragonabili a quelle delle parti più commerciali del Foro nella Roma antica: mercato, punto d’incontro e di pubbliche discussioni, luogo di lettura degli annunci pubblici. Campo de’ Fiori fu però anche assai spesso teatro di pubbliche torture ed esecuzioni. Ve n’era dunque abbastanza per assicurare grande movimento, aumentato dal frequente passaggio di papi, re e ambasciatori perché la piazza faceva a volte parte della ‘via Papalis’ tra San Pietro e San Giovanni. Bolle e altri proclami papali contro ribelli e eretici venivano letti ed affissi nella piazza. Uno degli ultimi, nel 1860, inveiva contro gli elementi liberali impegnati nella riunificazione d’Italia.

Campo de’ Fiori, con un palo per il “tormento della corda” che slogava le spalle a quelli che venivano appesi, in una stampa settecentesca di Giuseppe Vasi

Fino a epoca recente quasi ogni fabbricato intorno alla grande piazza includeva un’osteria e altre erano nelle strade adiacenti. Tra le più famigerate era la Taverna della Vacca, aperta da Vannozza Catanei nel 1513, dopo la morte del suo amante pressochè “ufficiale”, il papa Alessandro VI Borgia. Vannozza, nobildonna di minor rango, vedova e superstite di tre mariti, provvista di buon fiuto in affari, aveva deciso in tarda età di investire in immobili, alberghi e pubblici esercizi una parte del suo considerevole patrimonio; la “Vacca”, frequentata, si dice, specialmente da prostitute, era tra le sue imprese di maggior successo. Peraltro la vecchia peccatrice alla sua morte avvenuta solo cinque anni dopo l’apertura della taverna lasciò tutti i suoi beni a istituti religiosi e benefici. Il suo emblema araldico, consunto dai secoli, è tuttora sul muro del vicolo  in cui l’osteria era situata.

La piazza era un centro importante di commercio e d’artigianato, come attestato dal nome della maggior parte delle strade che la circondano: le vie dei Baullari, degli Staderari, dei Cappellari, dei Giubbonari, dei Balestrari (cioè fabbricanti di balestre, armi portatili azionate a molla), dei Chiodaroli ecc., tutti nomi che esistono qui ancora.

Fino al 1798 era dominata da un alto patibolo che serviva per la punizione di piccoli reati mediante il “tormento della corda”, una sospensione per le braccia che produceva una penosissima dislocazione delle scapole. Via della Corda, che si apre su questo angolo della piazza è un ricordo di questa tortura e non, come si dice qualche volta, dell’arte dei cordai (che avevano la loro via dei Funari a non grande distanza). Le esecuzioni capitali sulla piazza non erano frequenti, ma alcune hanno avuto grande risonanza. La più famosa ebbe luogo nell’anno 1600, quando il maggior filosofo del Rinascimento, Giordano Bruno vi fu arso sul rogo per la sua moderna, materialistica concezione di Dio come anima universale del mondo. Quattrocento anni dopo, nel 2000, la Chiesa ha ufficialmente riconosciuto la propria colpa e chiesto di essere perdonata per questo e altri delitti contro il libero pensiero.

In un’altra occasione tre monaci vennero bruciati vivi sulla piazza per aver cercato di far morire il papa con arti di magia nera.

Ciò che resta oggi delle multiformi attività del Campo è un vivacissimo mercato all’aperto di frutta e verdure, il più grande di Roma, che si svolge qui tutte le mattine dal 1869 a eccezione della domenica. Alcuni popolari ristoranti, caffè e negozi di alimentari hanno preso il posto delle osterie.

A pochi passi da Campo de’ Fiori s’innalza il Palazzo della Cancelleria, di architetto ignoto, il più splendido esempio di architettura civile del primo Rinascimento a Roma. È anche il documento di un costume sempre fiorentissimo a Roma, quello del nepotismo, con particolare costanza praticato dai papi nei confronti dei loro nipoti e altri parenti stretti, tanto che l’uso stesso della parola risale a loro. Spesso questi giovani ricevevano anche il titolo di cardinale, quasi ufficializzato nell’espressione “il cardinal nepote”. Tra i numerosi palazzi che a Roma debbono la loro origine all’arricchimento di questi privilegiati parenti uno dei più belli e grandiosi è senza dubbio quello della Cancelleria. Fu costruito alla fine del Quattrocento dal cardinale Raffaele Riario, uno dei nipoti di Sisto IV, il papa che si vede ritratto nel meraviglioso quadro di Melozzo da Forlì nella IV Sala della Pinacoteca Vaticana con intorno Raffaele e altri nipoti, tutti già cardinali o destinati a diventarlo (un altro palazzo di questi Riario non è molto distante, un altro ancora è in Trastevere).

Il giovane cardinale Raffaele aveva investito nel palazzo non solo il danaro proprio, ma anche quello tolto al nipote del papa che era succeduto a suo zio, Innocenzo VIII, in una notte di gioco ai dadi. Papa Innocenzo cercò di recuperare il danaro perduto da suo nipote, 14.000 ducati d’oro, ma invano, perché esso era già stato incamerato dagli appaltatori della costruzione. Il cardinale Raffaele non poté comunque godere a lungo i frutti della sua vincita. Pochi anni dopo il completamento il palazzo fu confiscato da un nuovo occupante del soglio papale, Leone X, come punizione per la partecipazione dei Riario a una congiura contro di lui.

Quando Michelangelo arrivò a Roma all’età di ventun anni, fu presentato appunto al cardinale Raffaele, che gli permise di alloggiare in un annesso del palazzo ma non gli dette altro aiuto. Fu però attraverso la corte del cardinale che Michelangelo ricevette da un cardinale francese la commissione per il suo primo, favoloso lavoro a Roma, la Pietà.

Inaugurazione del monumento a Bruno nel 1889. Foto T. Fabbri, Museo di Roma

L’interno del palazzo è magnifico ma non è accessibile al pubblico. Gli elementi che più colpiscono sono il cortile attribuito a Bramante e un ciclo di affreschi del pittore fiorentino Giorgio Vasari, il biografo degli artisti del Rinascimento. Costretto a completare il suo lavoro in soli cento giorni, Vasari era terribilmente insoddisfatto dei risultati e andò da Michelangelo a sfogarsi. (La storia secondo cui egli si sarebbe invece vantato con Michelangelo per aver eseguito il lavoro in tanto poco tempo, e che Michelangelo gli avrebbe laconicamente risposto «si vede», è apocrifa).

Per oltre quattro secoli il palazzo è stato usato dall’amministrazione pontificia per i suoi uffici (donde il nome di ‘Palazzo della Cancelleria’) e come sede del tribunale ecclesiastico della ‘Sacra Rota’ gestito ancor oggi dal Vaticano. Questo tribunale è tuttora in funzione, sebbene l’introduzione del divorzio in Italia gli abbia tolto gran parte dell’attività rivolta all’annullamento dei matrimoni religiosi. Il palazzo è una delle proprietà della Chiesa situate fuori del Vaticano ma che, oltre al Vaticano, godono del diritto di extraterritorialità, cioè non possono essere toccate dal governo italiano, ai termini del Concordato del 1929.

L’edificio della Cancelleria racchiude una delle chiese paleocristiane di Roma, San Lorenzo in Damaso, la cui grande antichità tuttavia non può essere apprezzata date le successive alterazioni. Scavi del 1988 hanno rivelato fondazioni vecchie di oltre 1600 anni. Epigrafi precedentemente trovate sotto la chiesa indicano anche che in epoca pagana la zona serviva per le caserme e le stalle della squadra Verde degli aurighi del Circo Massimo, la squadra delle corse dei carri ippotrainati favorita dal popolino romano durante l’Impero.

[1- CONTINUA]

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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