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Raffaele Esposito, lo chef napoletano che deliziò i Kennedy e Frank Sinatra

Originario di Torre Annunziata, oggi gestisce un locale accanto all'ONU. I suoi ricordi della "città che non dorme mai"

Filomena TroianobyFilomena Troiano
Raffaele Esposito, lo chef napoletano che deliziò i Kennedy e Frank Sinatra

Raffaele Esposito (foto di Terry W. Sanders)

Time: 4 mins read

La sua storia varrebbe un libro. Lo chef napoletano Raffaele Esposito – a New York da oltre quarant’anni – con la sua arte ha preso per la gola i Kennedy, Frank Sinatra e persino la mafia italoamericana. Per John Gotti – ultimo capo della famiglia  Gambino – ha cucinato in diversi ristoranti e nightclub di lusso. “Era un’ottima forchetta, apprezzava il mio lavoro…”. Tra i primi a far assaporare la cucina italiana autentica agli americani, conosce i labirinti della New York che non dorme mai. “La fama di city that never sleeps, iniziò negli anni del mio arrivo”.

Lo incontriamo a Manhattan nell’attuale ristorante di proprietà, “Da Raffaele“, a pochi passi dalla sede delle Nazioni Unite. Alle pareti, enormi quadri astratti del suo amico artista Busser Howell abbelliscono un ambiente spazioso con soli 12 tavoli. “La privacy è importante, conta quanto un buon piatto”, puntualizza, con sguardo vivace.

Raffaele Esposito in cucina (foto di Terry W. Sanders)

Raffaele il mestiere lo ha scelto da piccolo. Nel 1966 lascia la natia Torre del Greco – fuori Napoli – per una scuola alberghiera di Roma. “Fu il primo passo verso il sogno: emigrare in America e cucinare per gente importante”. Dalla gavetta nella capitale, passando per le cucine delle navi da crociera, nel 1979 arriva a Bensonhurst, la Little Italy di Brooklyn, con moglie e figlia piccola. “L’impatto fu difficile. Il freddo toglieva il respiro e le ferrovie erano in sciopero. Mi aspettavano a Manhattan da Nanni il Valletto, noto ristorante su Park Avenue, invece rimasi bloccato per un mese”.

Gennaio 1980, finalmente New York City. “Fu amore a prima vista. Le recensioni ottime. Gli chef dall’Italia erano molto richiesti, pertanto cambiai di lì a poco. Avviai “Il Mulino” nel Greenwich Village, dei fratelli Fernando e Gino Masci, oggi una catena”.

Tra gli anni ‘70 e ‘80, ristoratori come i Masci, Luigi Nanni e Sirio Maccioni mettono in atto una rivoluzione: istituire la cucina italiana autentica negli Stati Uniti partendo da New York. “All’epoca la nostra era la tradizione più rappresentata, con duemila ristoranti nella sola Manhattan. Nonostante questo, gli americani masticavano pietanze italiane riadattate, intrise di intingoli; una gastronomia monotona e priva di idee. Nella mia cucina portai lo zafferano, i porcini e addirittura il tartufo”.

Le cronache dell’epoca descrivono una città violenta, con alto tasso di criminalità e sull’orlo della bancarotta. Il tartufo appare fuori contesto. “Ma da queste parti – Sutton Place – e nell’Upper East Side  si percepiva tutt’altro. La zona era sicura e i ristoranti erano frequentati da gente ricca. Donne in pelliccia e uomini in abiti su misura si spostavano in limousine con autista. Il conto a tavola non si portava mai perché le carte di credito erano segnate su un quaderno. L’atmosfera era godereccia senza limiti”.

Quella della città che non dorme mai. “Negli anni Ottanta e Novanta, era vero. Si cenava tardi, le cucine chiudevano a mezzanotte. Poi, tutti al nightclub. In posti come “Le Club” su Park Avenue incontravi anche i Kennedy e i Vanderbilt”.

Mentre a sud si respirava l’aria lybertine e sex and drugs, la zona più a nord era glamour. “Al Régine bisognava essere iscritti. Costava così tanto che ti davano la tessera in un astuccio di Cartier. Hanno negato l’entrata a Mick Jagger perché senza cravatta. I ricchi sperperavano nei locali di lusso fino al mattino e chi non poteva permetterselo, usciva per il timore di perdersi qualcosa. All’alba, solo per colazione, si mischiavano tutti al diner”.

Raffaele Esposito (foto di Terry W. Sanders)

Nel 1984, un altro capitolo, quello con John Gotti. “Con i suoi affari io non c’entravo nulla. Ero capo in cucina. Facevo impazzire John con i miei rigatoni imbotti con brasato di vitello e spinaci – ride –. Mi propose di cucinare anche all’Indigo Nightclub. Fu unoUno spasso. Tony Renis e Julio Iglesias erano habitué, come Claudio Villa che veniva a cantare. Qualche volta ho incontrato anche Renato Zero e Walter Chiari”.

Dopo il  nightclub sono arrivati i ristoranti……Chiuso l’Indigo  è arrivato “ll Giardinetto su Park Avenue” ma l’apertura fu lentissima…” .

Prima della fine dei lavori, avvenne l’assassinio di Paul Castellano, all’epoca capo della famiglia Gambino. “Era il 1985. Un amico mi portò nel Queens da Park Side, il ristorante di Anthony Salerno, il boss della famiglia Genovese. John gotti voleva a tutti i costi  i mei piatti mi fece fare un patto con Salerno: sarei rimasto fino all’apertura del  ristorante. Nell’86 Anthony fu arrestato. e dal carcere mandava a dire quanto sognava la mia pasta alla frutta secca”.

Il Giardinetto chiuse presto ed è stata la volta di “Da Noi”, sulla 74esima e York Avenue. “Il nome lo scelsi io. Con l’FBI di mezzo, ci vollero due anni per la licenza degli alcolici. Eravamo sempre al completo. Frank Sinatra e Anthony Queen, di casa. Miky Rourke spesso cenava con John Gotti. Ricordo che tanti clienti, pur di farsi notare da John, prenotavano il tavolo peggiore della sala, attiguo all’entrata”.

Gotti fu arrestato nel 1990. Grazie alle confessioni di Salvatore Gravano, suo braccio destro poi collaboratore di giustizia, due anni dopo fu condannato all’ergastolo e rinchiuso in una prigione dell’Illinois. “Prima del processo, a New York, quando in carcere incontrava gli avvocati, mandava Gravano a prendere da mangiare. Si raccomandava che gli avvocati mangiassero solo panini – ricorda Raffaele  ridendo – e il suo ultimo piatto prima della condanna è stato , capellini al sugo di aragosta”.

Ristorante “Da Raffaele” (foto di Terry W. Sanders)

Finita l’era Gotti, lo chef Esposito ha avviato ristoranti di proprietà – “Raffaele” – a Manhattan e in Florida. “La prima sede rimase in attività per circa venti anni. New York era ancora vibrante. Caroline Kennedy cenava con le amiche e Frank Sinatra portava tutta la famiglia. Pasteggiava con il Jack Daniel’s. Una sera, dopo una violenta litigata con la moglie, venne a sedersi al tavolo con me e i camerieri. Divorò dal mio piatto linguine con cavolo verza e salsiccia”.

Dopo l’11 settembre, il trasloco al caldo della Florida. “Il mio settore ha subito molto. È nata la moda del delivery. Una volta i tavoli per due erano pochi anche a San Valentino, ora quelli grandi servono solo per occasioni speciali”. Finita la parentesi in Florida, il ritorno a New York. “Nel 2017 sono ripartito con ‘Da Raffaele’. La città che non dorme mai è un magnifico e lontano  ricordo, ma io vado avanti….”.

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Filomena Troiano

Filomena Troiano

Originaria di Anzano, in provincia di Foggia, è una ghostwriter e scrive di moda da New York City, dove vive da 18 anni

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