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March 25, 2022
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La benzina è cara, negli Usa i cittadini chiedono di essere più morbidi con i “nemici”

Lo vuole il 62% dei democratici e il 41% dei repubblicani, disposti ad andare oltre i propri ideali pur di non incorrere in sanzioni economiche

James HansenbyJames Hansen
La benzina è cara, negli Usa i cittadini chiedono di essere più morbidi con i “nemici”

Motorists wait in line to fill their cars with gasoline at a filling station in Alexandria, Virginia, USA - ANSA/EPA/SHAWN THEW

Time: 2 mins read

Al diavolo gli ideali, qui la benzina costa troppo! È questo il messaggio inequivocabile mandato da una larga fetta dell’elettorato americano ai propri leader attraverso un interessante sondaggio Morning Consult/Politico. In breve, il 62% degli elettori Dem interpellati ritiene che gli Usa dovrebbero ammorbidire le proprie politiche verso alcuni dei governi più detestati dagli americani – quelli dell’Iran, dell’Arabia Saudita e del Venezuela – a patto che ciò portasse a una riduzione del prezzo della benzina, che attualmente viaggia mediamente su (Oddio!) un euro al litro negli Stati Uniti.

I Repubblicani, al 41% invece, si “vendono” un po’ meno facilmente in queste circostanze. Forse è solo perché sono più dubbiosi sul fatto che i prezzi petroliferi abbiano molto a che fare con la “simpatia” tra nazioni e condividono meno la speranza secondo cui: “Se li trattiamo meglio, forse ci fanno lo sconto…” Intanto, mezza Europa è in guerra con Vladimir Putin, ma non esita ad andare a Mosca per piatire qualche litro di greggio o pochi metri cubi di gas in più.

A filling station in Alexandria, Virginia, USA – ANSA/EPA/SHAWN THEW

È possibile vedere nel sorprendente risultato del sondaggio americano un’indicazione di come entrambi i partiti di massa del Paese comincino lentamente ad abbandonare la confortante visione “da Baci Perugina” di cosa sia la democrazia – non più la fiera dell’alta moralità e del “volemose bene”, ma uno strumento fondamentalmente cinico per conoscere la vera volontà popolare, cosicché si possa governare a favore del “bene maggiore per il maggior numero di persone”.

Da qualche decennio, la politica un po’ ovunque è stata dominata da una sorta di teatrino morale perenne, una gara di perbenismo tra le parti. Sentivamo di poterci permettere il lusso di andare in giro a svendere il benessere della maggioranza a favore di minuscole minoranze e di problemi geograficamente molto distanti – e perfino di chiamare “democratica” tanta generosità sbilanciata. L’idealismo è certamente una cosa magnifica, ma forse non quando ostacola necessità concrete e immediate.

Motorists wait in line to fill their cars with gasoline at a filling station in Alexandria, Virginia, USA – ANSA/EPA/SHAWN THEW

L’idea alla base della democrazia – un’idea “forte” – è che la gente, votando, voterà grettamente per i propri interessi e vantaggi personali. Invece, abbiamo scoperto negli ultimi decenni di prosperità che, quando la popolazione sta mediamente bene, è perfettamente capace di scegliere di trascurare il proprio vantaggio e di spendere il voto a favore di cause e ideali certamente nobili, anche se lontani dalla vita quotidiana: per il benessere degli orsi polari o per promuovere generi sessuali finora sconosciuti. Poi arrivano i conti, sociali o fiscali, e la popolazione resta insoddisfatta delle scelte della politica.

Trattare la democrazia come se fosse la perfezione – e tutte le scelte democratiche come se fossero dunque “perfette” – è una ricetta per ottenere l’insoddisfazione generale quando gli elettori smettono di tenere conto dei propri interessi e a favorire invece altri che ingoiano risorse senza generarne di nuove. Restano solo i buchi nei bilanci statali—come gli altri buchi che s’incontrano per le strada dissestate. Per il bene di tutti, potrebbe paradossalmente convenire che diventassimo meno generosi, meno globali, meno idealisti, più meschini e meno magnanimi – anche a costo di dover fare la beneficenza trovando i soldi nelle nostre tasche anziché in quelle dello stato ignavo.

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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