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June 7, 2014
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June 7, 2014
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Speciale Open Roads / In grazia di Dio: Intervista al regista Edoardo Winspeare

Chiara BarbobyChiara Barbo
Time: 6 mins read

Un quadro familiare: il ritorno obbligato alla terra di quattro donne, diverse per generazione, carattere, con le complessità della convivenza femminile, tanto più se familiare.

Un racconto classico con personaggi reali, tempi dilatati, pause sui dettagli della vita quotidiana. Il ritratto di un Salento in chiave minima, fatto di terra, identità, religione e il suo contrario, per raccontare l'Italia di oggi.

In grazia di Dio è il film più compiuto di Edoardo Winspeare, il suo racconto più profondo e più narrativamente e stilisticamente riuscito. E' un film emozionante, che nasce come gli altri suoi film dalla realtà del Salento, dalla vita delle persone, da una verità profonda dei personaggi e della narrazione, come racconta lo stesso Winspeare: “Parto sempre dalla realtà, e poi la manipolo, la racconto. In questo caso sono partito dal personaggio principale, che è quello di mia moglie Celeste, quindi era facile! E' una donna che ha fatto un po' tutte le cose che si vedono nel film, ci sono molti elementi biografici come l'emigrazione del fratello in Svizzera, la campagna dei genitori, la fabbrica di famiglia, anche se naturalmente poi è tutto 'drammatizzato'. Celeste viene da una famiglia contadina, la fabbrica raccontata nel film è appunto la fabbrica di mio cognato, dove abbiamo effettivamente girato alcune scene”.

A proposito del personaggio di Adele (interpretato da Celeste Casciaro) – una donna all'apparenza dura ma molto complessa, con le sue fragilità – e degli altri personaggi: sono tutti magnificamente interpretati da non-attori. Come li hai scelti, e come hai lavorato con loro?

Sono partito da mia moglie, e da sua figlia, che interpreta Ina. Dovevo lavorare sulle relazioni, sui rapporti familiari, tra sorelle, tra madre e figlia, tra generazioni diverse all'interno di una stessa famiglia, quindi era importante che ci fosse complicità, intimità, ma anche conflitto, quando necessario. Ho quindi scelto una cara amica di mia moglie, per il ruolo della sorella, mentre la madre è interpretata da una signora che fa la cuoca in una mensa, è la moglie di un pescatore, ha lavorato la terra. E poi altre persone che conosco, amici, per esempio l'impiegato di Equitalia è un mio compagno di scuola, poi ci sono un camionista, un pescatore, tutte persone di queste parti.

Come hai proposto loro la parte, hai fatto un provino, c'è stato qualcuno che, per timidezza per esempio, si è tirato indietro?

No, non ho fatto un cast, diciamo che più che aver proposto loro una parte li ho obbligati. (Ride).

Non è facile lavorare con un cast fatto tutto di attori non professionisti.

E' meno difficile di quel che si pensa. A me piace molto il termine inglese 'to play', per dire recitare, perché è molto esatto: è un gioco, per quanto sia un gioco serio, e richieda intelligenza. Ho l'impressione che a volte in Italia la recitazione sia troppo impostata, troppo enfatica, così come viene data troppa enfasi al lavoro del regista, bisogna ridimensionare le cose… senza sminuire con questo in nessun modo il lavoro dell'attore.

/Qui sotto Laura Licchetta, figlia della moglie del regista, che nel film recita se stessa, racconta come è stato recitare per la prima volta./

Il Salento è in qualche modo uno dei personaggi del film. Non il Salento per turisti, ma una terra fatta di lavoro duro, di crisi economica, di disoccupazione, così come di religione, di ritualità, ma anche di adolescenti superficiali e annoiati, di uomini che passano le giornate al bar. C'è un forte senso di verità, ma è una verità raccontata facendo leva sulle emozioni più che sull'osservazione entomologica perchè, come afferma Winspeare, il film è prima di tutto un racconto. Dove è stato girato In grazia di Dio?

Alcune scene a Corsano (vicino a Leuca), dove abito io. E gran parte del film a Giuliano, nel leccese.

Come descriveresti la Puglia, in poche parole?

La Puglia non ha un'identità omogenea: il Salento è diversissimo dalla zona di Bari, per esempio, per paesaggio, dialetto, tradizioni musicali, e così altre zone. E' una regione che è stata scoperta da relativamente poco tempo, anche in senso cinematografico, perché non è facile da caratterizzare, da etichettare in un solo modo: è Sud ma è vicina all'oriente, e questa presenza si sente. Come dico sempre: è una nave che solca il Mediterraneo con la prua rivolta a oriente. E' una regione a sé, è lontana dai centri di potere italiani, noi ci sentiamo italiani naturalmente, e siamo felicissimi di esserlo, ma al tempo stesso vediamo oltre al mare le montagne dell'Epiro, e più in là, a sinistra, l'Albania… questa presenza, di paesi e culture orientali, si avverte, anche a livello inconscio: noi sentiamo di essere una terra di confine, in questo senso mi sento per esempio più vicino ai friulani, ai triestini, che non al resto del sud. Anche nel film, la musica diegetica è una musica che viene dalla Grecia, dall'Albania. Il Salento che racconto nei miei film è questo, che parla salentino, che è ha in sé il senso del confine, che è sud ma è anche oriente.

In grazia di Dio nasce anche da un senso di responsabilità rispetto alla società di oggi, a quel che sta succedendo in Italia al lavoro, alla vita delle persone: ci sono il ritorno alla terra, il baratto, una nuova emigrazione. Quale ruolo ha o potrebbe avere il cinema?

Credo molto nella responsabilità, individuale e anche del cinema, ma non credo ai film a tema, il mio film non è un manifesto politico, perché un film prima di tutto deve trasmettere emozioni. Il mio è un racconto che spero contribuisca a far passare un'idea, ma non proclamo il ritorno alla terra in modo assoluto, non lo farei mai. Ho voluto raccontare, nel film, qualcosa che amo molto: la terra, intesa come valore identitario, spirituale, ma i miei personaggi non sono una famiglia borghese che un giorno molla tutto e si ritira in una campagna idilliaca, i miei personaggi vengono dalla campagna e proprio per questo non amano la terra, la terra è fatica, è lavoro duro, però sanno che la terra è necessaria e, ciascuno a suo modo, prima o dopo, ne riconosce il valore.

In grazia di Dio è un film a basso budget, prodotto grazie al sostegno della Apulia Film Commission, del tax credit esterno e di alcuni investitori privati. Dall'idea iniziale alla presentazione del film al Festival di Berlino è passato solo un anno, un tempo record, anche perchè finanziamenti e produzione vengono dal territorio, e il film ha poi meritatamente ottenuto grandi riconoscimenti di critica, ha avuto 5 candidature ai Nastri d'argento e 3 ai Globi d'oro. Quali sono state le reazioni del pubblico?

Sono state ottime, soprattutto fuori dal Salento! – dice ridendo. I salentini a volte sono stati un po' polemici, perché nel film racconto alcuni aspetti e non altri, ma è naturale, non è che pretendo di raccontare tutto il Salento, io racconto solo una storia. Il film è andato bene anche nel resto d'Italia: è stato distribuito in 23 copie, ha fatto circa 50.000 spettatori, ed è un buon risultato, se pensiamo che è un film in dialetto, senza attori di nome. All'estero ho avuto una straordinaria accoglienza, anche perché c'è un giudizio più libero forse. Quello di cui sono contento è che il pubblico si emoziona guardando il film, e per me è il regalo più grande. Non mi interessano lo sperimentalismo, i tecnicismi fini a se stessi, quello che voglio, con ogni film, è raccontare una storia, un po' come un vecchio cantore, un aedo di un tempo…

Quale sarà la prossima storia da raccontare?

Un film ambientato in Alto Adige, liberamente tratto dal romanzo Eva dorme, di Francesca Melandri. É un film che parla di amore e odio, comprensione e incomprensione, tra le due anime, quella italiana e quella tedesca, dell'Alto Adige.

E la tua storia newyorchese, se mai dovessi raccontarla?

La storia di New York sarebbe un'epopea! E' una città che adoro, dove c'è tutto, ogni tipo di storia possibile: è una città che è stata costruita sulla violenza, ci sono storie di successo, c'è il mondo della finanza, è tutto molto romanzesco. E poi ci sono i quartieri, diversi tra loro, con gente di tutti i tipi, che parla tutte le lingue… Mi ricordo di una vecchia signora italiana, a Bensonhurst (ti parlo di trent'anni fa!), che parlava in un dialetto del sud strettissimo, e facevo fatica a capirla, non parlava quasi inglese, e quando le ho chiesto dov'era nata mi ha risposto: qui, a New York! Negli anni sono tornato a New York molte volte, anche per lunghi periodi, ho fatto un po' di tutto, ho vissuto in diversi quartieri, nel Queens, a Brooklyn. Amo molto Harlem, per tante ragioni, ma direi prima di tutto per il suo senso di calore. Sarebbe difficile raccontare una sola storia… il problema è che New York non è una città, è un continente!

In grazia di dio (Quiet Belss) viene proiettato al Lincoln Center, all'interno del festival Open Roads, sabato 7 giugno alle 18.00 e lunedì 9 alle 13.00.

 

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Chiara Barbo

Chiara Barbo

Scrivere di cinema o scrivere il cinema? Possibilmente tutti e due. Dalla critica cinematografica alla sceneggiatura passando per la produzione, al di qua e al di là dell'oceano, collaboro con La VOCE di New York e con Vivilcinema, con la Pilgrim Film e con Plan 9 Projects. E anche con altri. Ma per lo più penso, immagino, ricerco, scrivo, organizzo in modalità freelance. Insieme a tanti altri, faccio parte della giuria del David di Donatello. New York è stata una scelta. New York è intensa, vitale, profonda e leggera, pacchiana e intellettuale, libera, creativa, è difficile, è bellissima, ed è la città più cinematografica del mondo.

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