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January 7, 2019
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January 7, 2019
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Orlando contro Salvini: o è un pretesto, o è un’occasione

Lo scontro sul decreto sicurezza tra il sindaco di Palermo e il ministro degli Interni dovrebbe far riflettere su quella ferita mai rimarginata

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Ci voleva un “sindaco stronzo” per la Palermo liberata? La parola a Orlando

Leoluca Orlando nel suo studio a Villa Niscemi: è stato eletto sindaco di Palermo per la quinta volta

Time: 5 mins read

Leoluca Orlando è una ferita. Non rimarginata. Perciò non può stupire, non deve, che il solo nome susciti dolore, veli lo sguardo, riscuota memorie insopite. Anzi, a ben considerare, è un buon segno. Significa che, in quanto comunità, siamo ancora vivi, ordinati intorno ad una coscienza morale. Se così non fosse, nessuna sofferenza sarebbe possibile.

“Il sospetto è l’anticamera della verità”. A questa rovinosa invettiva Orlando ha legato la sua figura pubblica, in quelle parole fu racchiuso un seme di gramigna.

Porsi come fonte di una superiore conoscenza; mutilare le complessità di ampi fenomeni sociali e storici, ricavando il monolite di un Gran Nemico; suscitare e fomentare uno spirito pubblico liquidatorio: ecco l’infelice semina di una mai lontana stagione.

Tuttavia, si vorrebbe che una sorta di ergastolo morale seppellisse chi sparse quel seme. Che ogni parola, ogni azione che recasse quel nome, fosse preclusa in eterno all’onor del mondo.

Pretesa che sarebbe ancora sentimentalmente comprensibile, benché non giustificabile: essendo qualsiasi forma di ergastolo una porta chiusa sul fluire della vicenda umana.

Senonché, anche su un piano puramente sentimentale, dunque, irrazionale, una reductio ad Orlandum sarebbe insoddisfacente.

Perché, oggi, ricordando il seme, dobbiamo però guardare alla gramigna. Giacché, ignorare la gramigna, sarebbe, sotto ogni profilo, non meno grave che averla seminata. Qual è, la gramigna?

Vediamo. Com’è ormai noto, Orlando afferma che la cd Legge-Sicurezza, voluta dal ministro Salvini, deve essere disapplicata. Il Comune di Palermo iscriverà nella sua anagrafe gli immigrati che ne facciano richiesta, anche se la nuova Legge nega formalmente che il permesso di soggiorno costituisca titolo per tale iscrizione. Questo perché, si prosegue, senza iscrizione anagrafica, non sarebbe possibile fruire dei servizi comunali, anche di quelli essenziali. Dunque, conclude Orlando, la Legge-Sicurezza è “inumana e criminogena”.

Tale giudizio politico sulla Legge è del tutto condivisibile.

Perché si pasce di ostilità; definisce un “Noi, Loro” sulla chiave di una irriducibile alterità; alimenta paura, autorizza un’attitudine collettiva alla semplificazione liquidatoria di fenomeni complessi. Vale a dire, è impastata della stessa materia di quello che abbiamo definito “il seme di Orlando”. Con una differenza, però: lo fa su una scala infinitamente maggiore. Perciò, è gramigna, è il frutto velenoso e politicamente dissolutivo del seme.

Questo è il punto essenziale, il nodo politico, posto da Orlando con quello che è un chiaro espediente. Ed è un nodo che si rivolge alla cd Sinistra, come alla cd Destra.

Alla prima: poiché, con un solo atto, dice più lui di quanto non dica l’intera serie dei trastullatori pre-congressuali del PD; e dei vari “mi si nota di più se resto, o se vado?”. Purtroppo, tutti quarantenni. Il seguito di Sindaci che sembra ne sia venuto, aggiunge sconfessione, alla sconfessione. Renzi? Calenda? Martina? Questo è il primo “atto” di opposizione di una qualche intellegibilità, munito di autentico valore politico. Un “atto”, non una posa para-amletica.

Essendo, però, il nostro, un Paese dove la retorica e il gusto per la discettazione secentesca trovano perenne ricetto, ne è venuto un rovescio di rovelli laterali.

Se un Sindaco possa considerarsi una legittima istanza per un sindacato di costituzionalità (e non lo è, ovviamente); illustri costituzionalisti hanno così incrociato i commi, sui “passaggi” che possono condurre alla Corte Costituzionale (solo il Prof. Cassese ha svolto l’argomento più lineare: quello della sovrapposizione di leggi, senza che la successiva abbia abrogato la precedente, così permettendo “l’espediente”, peraltro ritenuto legittimo).

Se la sua sia o meno “disobbedienza civile”, con varie deduzioni e interpretazioni sulla ortodossia dell’eresia (avrebbe dovuto agire da privato, si è rilevato, ed esporsi alla qualificazione di illiceità della sua condotta; oppure, avrebbe dovuto violare attivamente e programmaticamente la norma, e non inosservarla solo omettendo; e via così, in punta di esegesi).

Altri ancora, ha ritenuto che il “motivo” di Orlando, cioè, quanto attiene al suo scopo personale, sia di distogliere la pubblica opinione dalle sue insufficienze amministrative; o, insieme, di lanciare una campagna elettorale, o, comunque, altrimenti strumentale ad indurre consenso politico; ed è, quest’ultima, una ovvietà, in un qualsiasi agire politico (come se “Il Governo dei social” altro facesse che stare in vetrina).

Tutto, insomma; pur di schivare il “cosa” della questione, avviluppandosi al “come”. La quale, come dicevo, diventa ancora più eloquente, se ci volgiamo alla cd Destra.

Ed è: se il Governo della Repubblica, la maggioranza che lo sostiene, siano o no quella gramigna; siano o no, portatori di una degenerazione culturale, civile, costituzionale, in una parola, “liberale”, del corso politico italiano.

Per cogliere questo fondamentale aspetto della questione, basterà fermarsi brevemente alla “lettera” del “seme orlandiano”: “la politica mafiosa”.

Quando si scagliò su Falcone, straparlando di “cassetti chiusi”, e investendo anche il CSM di una audizione-inquisizione che prontamente fu ordita da una consenziente “sensibilità democratica” dell’Apparato, Orlando che fece? Che disse?

Complice Michele Santoro e mezza Italia (a quindici mesi da Capaci, Novembre 1993, sarebbe stato eletto Sindaco col voto diretto del 75% dei suoi concittadini –e l’insulto, come minimo, alla DC, al PSI e alleati, era, già da almeno vent’anni, lo slang di vastissime moltitudini, malpensanti e benpensanti), definì una cornice: la classe politica era macchiata di orribili responsabilità; aveva le mani sporche di sangue; era consustanziata di essenza mafiosa; di corruttela sistemica; di inemendabile immoralità. I partiti politici nei quali si esprimeva, altro non erano che “Regime”, e via andando.

Questa cornice si riempì di un quadro, grazie alle azioni coordinate della magistratura post-stragi. E avemmo i Grandi Processo storico-politici sulla “Vera Storia d’Italia”. Lo ricordiamo tutti.

La summa di questa idea, che è anche un filo-rosso tuttora pendente, è stata l’epopea della cd Trattativa Stato-mafia, e relativa veste giudiziaria.

Ora: chi è stato il Massimo Beneficiario di questa corriva epopea? Del mito della “malattia insanabile”, se non con una palingenesi digital-plebiscitaria, e con l’urto del “cambiamento”? Il MoVimento 5S.

Chi inneggia al trionfo di “una verità a lungo occultata”, e “disvelata”? Il MoVimento 5S.

Chi ha reso possibile l’accesso al Governo di questo Massimo Beneficiario? Matteo Salvini.

Che distinzione reale è possibile, pertanto, in termini di metodo democratico, di propaganda, di cultura liberale, di spirito costituzionale, fra le due gambe dello stesso Governo? Nessuna.

Chi ha promosso e approvato, vessillo fra i vessilli, la Legge cd “Spazzacorrotti”, la cui “ultima verità” è la parificazione fra La Corruzione, cioè, “La Politica”, e “La mafia”?

Chi, se non il Partito Unico Lega-5S? Chi, se non il Governo in carica, la maggioranza che lo esprime, e di cui Salvini è parte essenziale?

Allora, noi, oggi, di questo, dobbiamo occuparci.

E l’uscita di Orlando? Orlando, di cui non sfugge il silenzio sulla “unicità” del Partito Unico, alla fine, però, o è un pretesto, o è un’occasione.

Può essere un pretesto per cecità presenti, tutelate in nome di una memoria resa muta ad ogni insegnamento.

O può essere un’occasione, per consolidare una memoria viva, proprio perché non la si rende alibi per cecità presenti.

Come sempre, la scelta, quando è una scelta, è personale e senza paracadute. 

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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