Pare facile, in effetti. Basta sostituire i “motivi umanitari” con i “casi speciali”. Un gesto d’altruismo (certo non scontato, di questi tempi) con un “atto di particolare valore civile”. Parlare di “emergenza” per riferirsi a esodi che si consumano da almeno un decennio. Di “invasione”, anche laddove l’incursione non c’è e non c’è mai stata. Agire in difesa della sacrosanta “sicurezza” per ricevere ovazioni e consensi. Relegando alla “clandestinità” chi altro non chiede che il diritto a esistere, a essere riconosciuto e tutelato in quanto essere umano e, da un giorno all’altro, questo diritto se lo vede negato. Il diritto a un nome, a un’identità, il diritto all’assistenza minima, alla possibilità di un futuro che non sia un’eterna attesa. Attesa di rimpatrio, di finire per strada, di diventare preda di questo o di quel sistema criminale.
Ci sono le leggi, e le leggi vanno rispettate. In barba ai principi e ai valori sanciti dalle principali carte fondamentali e da accordi e convenzioni internazionali sottoscritte. Ma che cosa succede se ciò che è considerato normale in una società evoluta e civile diventa l’eccezione in Italia?
A innescare la miccia è stato Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo ha infatti dato disposizione all’ufficio anagrafe del Comune di non applicare alcune delle norme contenute nel decreto Sicurezza targato Matteo Salvini: in particolare quelle che, all’articolo 13 della 132/2018, negano la possibilità per chi in possesso di regolare permesso di soggiorno come richiedente asilo di iscriversi all’anagrafe e di ottenere, in tal modo, un documento d’identità e una residenza. Una condizione che preclude o rende a queste persone molto più difficile l’accesso a servizi fondamentali, come l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale e ai Centri per l’impiego.
Prima ancora, all’articolo 1, il Decreto “Salvini” cancella i permessi di soggiorno per motivi umanitari, che fino a ieri potevano durare due anni e consentivano l’accesso al lavoro, all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale: al loro posto vengono introdotti permessi di soggiorno della durata massima di un anno, rilasciati per “protezione speciale”, “calamità naturale nel Paese d’origine”, “condizioni di salute gravi” (e solo per il tempo necessario), “atti di particolare valore civile” o “casi speciali” (vittime di violenza grave o sfruttamento lavorativo).
Il provvedimento votato dal Parlamento violerebbe diversi articoli della Costituzione tra cui, nello specifico, il numero 10, che recita: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. In base a ciò, un ridimensionamento del diritto d’asilo sarebbe, dunque, da considerarsi illegittimo. Ma sarebbero diversi gli elementi per potere adire la Corte Costituzionale, dicono gli esperti.
Senza contare che per chi aveva già ottenuto il permesso per motivi umanitari (tra i sei mesi e i due anni a seconda dei casi) vale ancora la normativa precedente e alla scadenza del permesso non può ottenerne il rinnovo sulla base dei requisiti che aveva soddisfatto in precedenza, ma deve soddisfare i nuovi, più stringenti. E così, se il migrante in questione non rientra in una delle situazioni eccezionali previste dal Dl, la sua domanda viene rigettata e la persona si trova a soggiornare illegalmente in Italia, di fatto commettendo un reato, senza poter peraltro proseguire i percorsi d’integrazione sociale e lavorativa avviati. La norma colpirebbe anche i minori non accompagnati, in gran parte in Italia proprio con permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Per di più, la legge – già ribattezzata da molti Decreto “Insicurezza” – va a depotenziare i centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Centri di seconda accoglienza che, diffusi su tutto il territorio nazionale, prevedevano corsi d’italiano, orientamento alla cittadinanza, ai servizi, alla formazione e al lavoro e tirocini, fondamentali per rendere il migrante autonomo e inserito nella società. D’altro canto, il Dl Sicurezza allunga la durata massima del trattenimento degli stranieri nei Centri di permanenza per il rimpatrio, che passa da 90 a 180 giorni: un sistema, quello delle espulsioni, che a oggi si è dimostrato quasi del tutto irrealizzabile.
Per una buona parte dei migranti già sul territorio si prospetta verosimilmente un futuro in strada e da irregolari (attualmente gli irregolari sono 500 mila in Italia ma con il Decreto Salvini potrebbero aumentare di altre 130 mila unità): circostanze che porteranno più reati e delinquenza. Esattamente ciò che il ministro dell’Interno assicura di poter debellare e che però, nei fatti, si tradurrà in problemi veri, sociali e di sicurezza, cui si troveranno a far fronte principalmente Comuni e cittadini, ripetono i sindaci contrari.
“Il nostro non è un atto di disobbedienza civile né di obiezione di coscienza, ma la semplice applicazione dei diritti costituzionali che sono garantiti a tutti coloro che vivono nel nostro paese”, ha motivato la propria presa di posizione Leoluca Orlando, precisando: “Siamo davanti ad un provvedimento criminogeno. Ci sono migliaia, centinaia di migliaia di persone che oggi risiedono legalmente in Italia, pagano le tasse, versano contributi all’Inps e fra qualche settimana o mese saranno senza documenti e quindi illegali. Questo significa incentivare la criminalità, non combatterla o prevenirla”. Un’affermazione parzialmente inesatta, quella di Orlando, dal momento che il numero di migranti che corrispondono a tali requisiti è inferiore, ma che comunque descrive degli scenari molto probabili per quanto concerne l’incentivo alla criminalità, anziché la sua prevenzione.
Questi i fatti ad oggi. Fatti cui sono seguiti gli appoggi totali o parziali di chi, pur condividendo motivazioni e timori di Orlando, non ne sposa il modus operandi e la contravvenzione di una legge dello Stato; gli avvertimenti e le accuse di Salvini ai sindaci “ribelli”(“ne risponderanno penalmente e personalmente”; “chi difende i clandestini, è traditore degli italiani”); il colorito “Suca” indirizzato al ministro dell’Interno dall’addetto stampa del Comune di Palermo.
E poi, fuori di bacheca, la richiesta del presidente dell’Anci, Antonio Decaro, di un tavolo fra sindaci e Governo per ridiscutere il decreto, e gli annunci di diversi governatori, ultimo quello del presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che si dicono pronti a ricorrere alla Corte Costituzionale.
Ancora, le mezze aperture di un Luigi Di Maio sempre più in difficoltà sull’altro argomento caldo e strettamente correlato, quello dei migranti a bordo della nave Sea Watch da 14 giorni (“Faremo sbarcare solo donne e bambini”), di contro ai sonori “Non cedo di un millimetro” del leader della Lega, nonché gli appelli di Roberto Saviano a Salvini: “Smetti di fare il pagliaccio, apri i porti!”. Non mancano certamente le prese di posizione a favore del governo: cittadini scatenati su Facebook incitano il “Capitano” Salvini ad andare avanti per il bene dei loro figli, sindaci leghisti (e non) danno pieno sostegno sia al decreto che alla decisione di non far sbarcare i 49 sventurati, e ricordano che chi si oppone è in netta minoranza.
Intanto ieri, in piazza sono scesi i cittadini comuni di Palermo, insieme alle associazioni come Libera, nomi e numeri contro le mafie. Italiani e stranieri a manifestare in sostegno della decisione impopolare del loro sindaco, un Orlando insultato persino per gli attacchi che a suo tempo riservò a Giovanni Falcone, tacciato di voler instaurare una “Musulmopoli” in una città sommersa dai rifiuti, accusato insieme agli altri primi cittadini “in rivolta” di puntare solo all’appropriazione dei fondi derivanti dal sistema dell’accoglienza e che adesso i Comuni si vedranno decurtati.
A manifestare senza toni violenti è stata la Palermo che si dice “città dell’accoglienza”, Capitale della Cultura, frutto delle mille contaminazioni che nei secoli l’hanno resa “città aperta”, centro del Mediterraneo. Attanagliata da piaghe vecchie e nuove, le mafie, lo spopolamento, la povertà, l’incuria, ma mai trincerata in se stessa. Mai arida. Un modello, da questo punto di vista, per un’Italia che chiusa, certo, non può permettersi di esserlo.
Un Paese a natalità prossima allo zero, con un invecchiamento che pare irreversibile, e cittadini italiani con un’età media di 45 anni. Un’Italia che, a dispetto di ogni proclamo, non è fra le prime nazioni in Europa per incidenza di stranieri, i quali costituiscono l’8,5 percento della popolazione del Belpaese. 5,3 milioni sono gli stranieri regolari che contribuiscono al 9 percento del nostro Pil e hanno un’età media di 33 anni. Volti di un’Italia che pure esiste e arricchisce chi sceglie di farne parte, sebbene non trovi spazio nella narrazione quotidiana.
Limitare i diritti di queste persone, ridurle a fantasmi, o tantomeno chiudere totalmente porti – piuttosto che erigere mega muri anti-migranti come è determinato a fare a ogni costo Donald Trump in un’America in shut down – difficilmente metterà al riparo dall’insicurezza che ogni giorno avvertiamo come pressante. E in un Paese come l’Italia, dove nessun governo si è mai prodigato di combattere fino in fondo problemi quali mafie, clientelismo e corruzione, la prospettiva concreta è che di fronte a provvedimenti che escludono, che non tutelano, che non riconoscono dignità e diritti fondamentali, i più vulnerabili e disperati diventino vittime, manovalanza, se non parte integrante di quello stesso sistema, che continua a proliferare e ad alimentarsi di sfruttamento e ribellioni mancate.