Quello del palcoscenico è un mondo in cui tutto è possibile e un mondo in cui tutti possono trasmettere le proprie emozioni ed energie. Ed è attraverso il teatro che, l'attore e regista, Dario D'Ambrosi, ha voluto dare la possibilità di esprimersi a coloro i quali nella vita hanno da sempre avuto difficoltà: soggetti affetti da disturbi psichiatrici e della personalità, soggetti con disabilità psichiche e problemi relazionali.
Tramite il suo progetto Teatro patologico, D'Ambrosi ha creato non solo un'unica e speciale corrente teatrale, ma soprattutto è riuscito a collegare la recitazione ad una finalità terapeutica. Noto ormai anche fuori dall'Italia e in tutti gli Stati Uniti, D'Ambrosi torna a New York, dove ha vissuto a lungo, con il suo spettacolo Medea, un adattamento della tragedia di Euripide, verrà presentato a La MaMa, dal 8 al 18 Ottobre 2015.
Da nove è nata l'idea del Teatro patologico? Cosa connette le due realtà che vengono unite: teatro e disturbi mentali?

Dario D’Ambrosi (a destra) saluta il pubblico insieme ad un attore, dopo una replica di Medea. Foto: by Lee Wexler/Images for Innovation
“L'idea del Teatro patologico nasce un po' per caso, quando alla fine di un mio spettacolo del '79, Tutti non ci sono, un critico teatrale usò questa espressione per definire la mia esibizione. Il percorso che mi ha portato a creare questa nuova forma di teatro nel 1991, è strettamente connesso con la mia gioventù ed esperienza di vita: cresciuto a San Giuliano Milanese, mi son ritrovato a passare la mia giovinezza con un gruppo di personaggi ben noti nella scena criminale di Milano, tra cui anche Renato Vallanzasca, i quali hanno fortemente inciso sulla mia crescita. Fortunatamente ho trovato la mia salvezza dapprima nello sport, giocando per tre anni nella squadra del Milan, e successivamente nella recitazione. La mia curiosità nei confronti di quei personaggi con i quali sono cresciuto, e nei confronti delle loro storie, mi ha spinto a ricercare e conoscere il mondo delle malattie psichiatriche: ho così deciso di affrontare un'esperienza difficile e molto profonda attraverso un internamento di tre mesi all'istituto psichiatrico Paolo Pini di Milano. È stato come un viaggio all'interno di quel mondo malato, che spesso viene emarginato e temuto: ne sono rimasto talmente tanto affascinato che il mio istinto mi ha portato a realizzare una realtà in cui questi soggetti potessero esprimere le loro emozioni, frustrazioni e personalità. Il Teatro patologico nasce nel 1991, con l'intento, appunto, di instaurare un rapporto terapeutico tra il paziente e la recitazione”.
Quali sono le sensazioni che si esprimo recitando? Ci sono degli studi che hanno approfondito il tema della comunicazione corporale attraverso il teatro?
“La recitazione è un intenso processo di conoscenza del proprio corpo ma, soprattutto, delle proprie emozioni: il doversi relazionare con altri attori, interpretare dei personaggi e affrontare il pubblico sono tutte esperienze che richiedono un controllo emotivo, attraverso il quale è possibile, per questi soggetti, controllare i proprio stati d'animo, dalla rabbia alla felicità, fino alla frustrazione. Tramite la mia idea del Teatro patologico, entro quest'anno, in collaborazione con l’Università degli Studi di Tor Vergata, ed il benestare del ministro dell’Istruzione, Giannini, verrà inaugurata la prima facoltà al mondo di Teatro integrato dell’emozione, che sarà frequentata da attori e studenti diversamente abili”.
Oltre che come regista, hai già avuto esperienza negli Stati Uniti anche come attore: cosa pensi del teatro americano? E gli americani, pensi siano interessati al teatro italiano?
La mia prima visita negli States risale al 1980 e da quel momento sono riuscito a mettere in scena 27 spettacoli teatrali nella metropoli. L'interessamento degli americani alla mia forma teatrale è andato sempre aumentando e, se all'inizio erano portati a fare delle analogie con altre tipologie teatrali italiane, da un po' di tempo a questa parte finalmente riconoscono la tipicità del Teatro patologico. Quello americano è un pubblico aperto e curioso della novità ed anche un pubblico abbastanza fedele. La recitazione ha da sempre fatto parte di me e della mia personalità: recitare a fianco di grandi attori come Mel Gibson in Passion o ritrovarmi a recitare in Romanzo Criminale, dove ho girato scene che avevo già in qualche modo vissuto durante la mia giovinezza, sono esperienze indimenticabili. L'impegno per il Teatro patologico, negli ultimi anni, è molto intenso e sfortunatamente mi ha un po' allontanato dal mondo della recitazione, anche se rimane sempre una tra le mie attività preferite”.

Scene dello spettacolo Medea, in corso a La MaMa
In Medea sono presenti parti recitate sia in greco che in inglese. Credi che la lingua sia un limite per l'esportazione del teatro?
“È tuttora curioso vedere come il pubblico americano preferisce e apprezza maggiormente una recitazione da parte di attori italiani, i quali non hanno la stessa dimestichezza di un madrelingua. Come se, essendo il mio un teatro italiano, si aspettino che la tradizione della lingua e dei gesti sia rispettata. Ho notato cenni di delusione in alcuni show in cui hanno recitato madrelingua inglesi e, all'opposto, ho notato che gli applausi aumentano quando recito con il mio inglese”.
Quali sono i punti forti dello spettacolo Medea che verrà presentato all'Ellen Stewart Theatre de La MaMa a New York?
“La collaborazione con La MaMa risale alle mie prime visite a New York. In tutti questi anni, come accennato, La MaMa ha ospitato tantissime tra le mie opere. Medea, viscerale adattamento della tragedia di Euripide, è stato presentato la prima volta nel 2011 per il cinquantesimo anniversario de La MaMa. La compagnia di attori comprende, oltre ai soggetti psichiatrici, attori professionisti, tra cui la protagonista Celeste Moratti, scelta per il suo stile di recitazione istintivo e profondamente espressivo. Il tutto accompagnato dalla parte musicale curata da Papaceccio e Francesco Satnalucia, e seguito dal coro vocale. L'adattamento della tragedia si concentra sul rapporto tra linguaggio e il corpo umano: il corpo stesso diventa linguaggio e un mezzo di comunicazione, anche attraverso la scelta dell'uso l'originale della lingua greca che rappresenta un elemento strutturale chiave”.
Progetti futuri?
Tantissimi: dopo l'apertura dell'università di Tor Vergata, focalizzerò la mia attenzione su un documentario commissionato da RAI, in cui verrà interpretata la nostra cara Divina Commedia. E soprattutto diffondere sempre di più la filosofia del Teatro patologico”.
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