C’è chi, avendo sentito che i guadagni non mancano, si improvvisa. Si avvicina ai cassonetti di immondizia senza ‘strumenti di lavoro’, privo di ‘professionalità’. Te ne accorgi da come utilizza le mani: certo, indossa i guanti, ma tocca tutto con circospezione. E poi si vede che non sa ‘scavare’: cerca ma non trova nulla. Poi ci sono, invece, i professionisti del cassonetto d’immondizia. Ce n’è di tanti tipi. I più bravi – ma è una nostra impressione – sono muniti di bastone a punta, forse un chiodo. O forse con un gancio. Cercano con ‘professionalità’ tra l’immondizia: veloci, efficaci, vanno a colpo sicuro: una volta individuato ‘l’articolo’ da prendere, o lo infilzano o l’agganciano e, con un uno-due, lo infilano nel contenitore che si portano dietro. Facile come bere un bicchiere d’acqua.
E’ anche questa, la Palermo del 2015: una città sempre più ciabattona, sempre più povera, sempre più in difficoltà. Con i poveri che aumentano di giorno in giorno. E che, ogni giorno, debbono inventarsi il modo per sbarcare il lunario. A Roma chi cerca nei cassonetti d’immondizia – così almeno si leggeva sui giornali qualche anno fa – commette reato. Nel luglio del 2013 il Codacons precisava quanto segue su Affari italiani: “Le persone che frugano nei cassonetti commettono un reato e rappresentano una forma di degrado inaccettabile. Una città civile e attenta ai bisogni di tutti, specie dei più poveri, non può permettere che nel 2013 si assista ancora a tali scene, che potrebbero oltretutto configurare veri e propri reati, sul fronte della violazione della privacy e della sottrazione di beni altrui. Senza contare i rischi sul piano sanitario”, sottolineava il presidente Carlo Rienzi. A Redattore Sociale Pietro Bassotti, avvocato del Codacons, aggiungeva: “Le persone che frugano nei cassonetti della Capitale commettono il reato di furto di immondizia con l'aggravante per cose esposte per consuetudine o necessità alla pubblica fede".
Tutto quello che viene gettato nei cassonetti dovrebbe diventare proprietà del Comune e della società che poi si occuperà della raccolta dei rifiuti. Non solo. La raccolta dei rifiuti dai cassonetti potrebbe configurare la violazione dei dati personali. Anche se a Palermo, con tutti i problemi che ci sono, viene molto difficile pensare ai cittadini che denunciano per violazione della privacy coloro i quali cercano nei cassonetti dell’immondizia. Negli Stati Uniti d’America, negli anni ’50 e ’60 del secolo passato, gli uomini delle forze dell’ordine, per incastrare i boss di Cosa nostra, rovistavano scientificamente nell’immondizia. Lo racconta Gay Talese nel libro Onora il padre, uno spaccato molto efficace e interessante della mafia americana di quegli anni. A Palermo il controllo dell’immondizia da parte delle forze dell’ordine non è mai andato di moda. Non si frugano i covi del boss quando vengono presi, figuriamoci scavare nell’immondizia!
Secondo il Codacons – parliamo sempre del 2013 – a rovistare nei cassonetti ora sono anche le persone che fino a qualche tempo fa appartenevano al ceto medio e non avevano particolari problemi economici. “Non abbiamo dati certi su quanti rubano i rifiuti. E' un fenomeno sommerso, difficile da monitorare, ma sospettiamo che negli ultimi quattro anni il loro numero si sia quintuplicato".
A questo punto – ribadiamo: siamo nel 2013 – arriva la segnalazione su Palermo: “A Palermo abbiamo registrato un dato allarmante: italiani e stranieri hanno iniziato a contendersi i rifiuti. Si litiga per un sacco della spazzatura, per stabilire quale cassonetto svuotare”. E oggi? Non sappiamo se si litiga. Ma sappiamo – lo si osserva ogni giorno – che la ricerca nei cassonetti, un tempo prerogativa degli zingari, è diventata un’attività quasi ordinaria tra i poveri della città. Con molta probabilità, un’attività legata ai tanti mercati dell’usato che sorgono come funghi in tanti angoli della periferia e del centro storico.
A questo punto consentiteci una digressione. Ieri la rete è stata inondata da un video che ritrae Mario Draghi, il ‘filosofo’ della Banca centrale europea, mentre viene improvvisamente preso di mira da una ragazza. Draghi sta esponendo le sue ‘dotte’ teorie sull’euro e sul rilancio dell’economia europea ad un convegno. La ragazza, velocissima, si catapulta sul suo tavolo e lo inonda di coriandoli. Ai lettori sembrerà un’iperbole ma, riflettendo, il legame tra la ragazza che cosparge di coriandoli Draghi (e, metaforicamente, le banche che Draghi rappresenta) e le persone ridotte in povertà che ormai, in Italia, contendono agli zingari la ricerca di oggetti nei cassonetti d’immondizia, è fortissimo. Si rischia di non comprendere la povertà del Sud Italia, e di Palermo in particolare – aumentata spaventosamente dall’avvento dell’euro in poi – se non si coglie il nesso connettivo tra le ‘intelligenti’ politiche di austerità imposte dall’Europa dell’euro e la stessa povertà.
La povertà ci riporta ai cassonetti dell’immondizia di Palermo, che oggi sono un fenomeno quasi-epistemologico. A Palermo la presenza dei ‘professionisti del cassonetto’, con bastoni a spillo (o a uncino), infatti, dà l’esatta misura non soltanto del degrado sociale ed economico della quinta città d’Italia, ma anche del vero ‘spirito europeo’ che oggi, da Strasburgo e da Bruxelles, soffia nel Sud Europa. Insomma, per provare a comprendere gli effetti dell’euro non c'è solo la Grecia: c'è anche l'Italia, o meglio, profondo Sud del Belpaese. E Palermo, di questo profondo Sud, è una materializzazione importante, anche se non gettonata dalla grande infoirmazione. Però bisogna andare al di là della semplice raccolta dei rifiuti nei cassonetti con bastoni a chiodo o a uncino. Per scoprire una città ‘altra’. Andando ben oltre la denuncia del Codacons.
Nei giorni scorsi, per esempio, un consigliere comunale di Palermo, Angelo Figuccia – un veterano di Palazzo delle Aquile, sede dell’assemblea cittadina del capoluogo siciliano – denunciava, per l’ennesima volta, che in alcuni angoli del centro storico della città, improvvisamente, spuntano mercati dell’usato, ma di un usato molto particolare: oggetti rubati e, spesso, oggetti trafugati nei cassonetti dell’immondizia, ripuliti e rimessi in circolazione.
In realtà, fino a qualche tempo fa, la distinzione tra mercato del rubato e mercato dell’usato era, se non netta, almeno visibile; ma, da qualche tempo, le due tipologie di ‘articoli’ si fondono e si confondono. Girando per Palermo, infatti, si incontrano sempre più spesso i contenitori degli abiti vecchi saccheggiati, magari capovolti. Che succede? Spieghiamo. In questi contenitori vengono raccolti i vestiti vecchi che dovrebbero andare ai poveri. Ma ormai, a Palermo, la povertà ha raggiunto livelli così elevati che gli stessi poveri non hanno più il tempo di aspettare che qualcuno – di solito sono volontari – raccolgano questi vestiti dai contenitori per distribuirli. Così giocano d’anticipo e si servono da soli. A quanto pare, durante le ore del giorno, c’è chi fa la guardia a questi contenitori per vedere quanti indumenti si accumulano. Dicono che già con una decina tra giacche pantaloni, borse e indumenti vari accumulati il 'boccone' diventa appetibile. Così, quando le ombre della sera hanno già avvolto la città, il cassonetto viene svuotato. Gli indumenti trafugati, invece di venire distribuiti, vengono – così si sussurra – venduti in questi mercatini ‘volanti’.
In pratica, Palermo, a prescindere dall’amministrazione comunale, sta sperimentando una raccolta differenziata dei rifiuti. Il principio è lo stesso: recuperare i materiali che altrimenti finiscono in discarica e riutilizzarli. Certo, non è la filosofia dei “Rifiuti zero”, cioè del recupero integrale di tutti i rifiuti. Ma già è un primo passo, come dire?, una prima selezione. La seconda selezione dovrebbe essere fatta dalla pubblica amministrazione. Ma qui ci fermiamo per evitare di scantonare. Diciamo soltanto che in Sicilia mafia e antimafia hanno trovato un accordo: gestire insieme le discariche. Questo spiega perché non decolla la raccolta differenziata dei rifiuti. Ma questo è un altro tema che non riguarda solo Palermo, ma tutta l’Isola.
Un discorso a parte meritano le biciclette. A Palermo bisogna avere molto coraggio per avventurarsi con le biciclette. La prima difficoltà è rappresentata dalle strade, che sono tutte, ma proprio tutte scassate. Il fenomeno non è nuovo: già ai tempi del Conte Arturo Cassina – il titolare delle imprese che nella Prima Repubblica gestiva la manutenzione delle strade della città – l’asfalto era un optional. Le amministrazioni di Leoluca Orlando – sia quelle degli anni ’90, sia l’attuale – sono specializzate nello sfascio delle strade cittadine. A quanto si racconta, il sindaco ha la grande capacità, tutta keynesiana, di trovare fondi pubblici per farsi finanziare lavori che comportano lo sfascio delle strade cittadine. In questa particolare attività Orlando è insuperabile. Come le sfascia la sua Amministrazione comunale, le strade di Palermo non le ha mai sfasciato nessuno. Inimitabile. Da qui le difficoltà per i ciclisti, che per salvare la schiena debbono imparare l’arte della gimkana…
Il massimo del suo ‘splendore-gruviera’ Palermo lo sta vivendo negli ultimi due anni tra appalti stradali antichi & moderni: allo sfascio ordinario si sono sommati, infatti, i lavori per tre demenziali linea di Tram. Qui c’è un passaggio stradale-epistemologico che solo i ‘panormiti’ riescono a cogliere. Per studiarlo in tutti i suoi anfratti ‘filosofici’ bisogna recarsi nella centrale via Notarbartolo, dove la follia panormita ha partorito due linee di Tram. Ma il particolare che non sfugge agli studiosi di Palermo è che, da un anno e forse più, la parte di carreggiata non invasa dalla strada ferrata, e quindi rimasta strada per gli automezzi, viene lasciata con tutte le buche. Un non-palermitano si potrebbe porre una domanda dalla logica stringente, quasi olimpica: ma se in questa parte di carreggiata non si lavora più, se migliaia di cittadini passano ogni giorno da questa striscia di via Notarbartolo, perché lasciarla tutta buche? Perché non asfaltarla? La domanda di un ingenuo non-panormita provocherebbe, nei panormiti, un sorriso. Perché il tratto di via Nortarbartolo lasciato così, pieno di buche, contiene in sé risposte meta-psicanalitiche che milanesi o e torinesi, ancorati a una superata logica aristotelica non capirebbero mai.
Dietro questa lunga striscia della carreggiata di via Notarbartolo lasciata a tipo gruviera ci sono, infatti, tante risposte. C’è il senso della sofferenza che il Comune di Palermo commina a panormiti: tra le difficoltà di una strada tutta buche (alcune molto profonde, destinate, se troppo distratti, a incidere in profondità sugli ammortizzatori di un’automobile, o di una moto, o, ancora, di una bicicletta e, soprattutto, sulla schiena) il panormita ritrova il senso profondo della vita. C’è anche un assist ai riparatori di automobili (anche loro debbono campare!). E c’è, soprattutto, un invito a non utilizzare le biciclette, di certo il mezzo più a rischio-schiena-rottura di collo in queste strade-gruviera. Le biciclette, a Palermo, città pianeggiante, sarebbero il toccasana. Ma appunto per questo, per un’oscura legge del contrario, debbono fare i conti con lo spirito di una città che ha ormai ‘capitalizzato’ l’idea e la prassi delle biciclette. Siamo arrivati all’economia. Ovviamente sommersa.
Qui, cari lettori americani dovete avere un po’ di pazienza. Consideratela un’iniziazione. Seguiteci con pazienza: e pazienza se alcuni passaggi vi saranno poco comprensibili. Dovete sapere che ormai quello che a Palermo viene chiamato “spirito spataiuolo e zaffigno” si è impossessato delle ‘anime’ delle biciclette. I palermitani, ormai, sanno che acquistare una bicicletta e mantenerne il possesso è una lotta, quasi darwinistica, contro le stesse ‘anime’ delle biciclette.
I lettori americani diranno: ma che cos’è questo “spirito spataiuolo e zaffigno”e che cosa s’intende per ‘anime’ delle biciclette? Gli spataiuoli e i zaffigni, a Palermo, sono due condizioni dell’essere. Per esempio: tu sei proprietario di un oggetto e a me piace? Bene, io, se posso, me lo prendo. In pratica te lo rubo, però non è proprio rubare: o meglio, è rubare, ma è un rubare quasi accettato da entrambe le parti: lo so che me lo vuoi rubare, fa parte del gioco: io proverò a non farmi derubare, ma se tu sei bravo, beh…
Da qui l’anima delle biciclette di Palermo. Tu hai acquistato il ‘corpo’ della bicicletta, ma non l’anima. Perché l’anima decide poi se è il caso di rimanere con te, o se cambiare possessore (e non proprietario, perché sono pochi a Palermo i proprietari delle biciclette: e cioè i vecchi ciclisti, quelli che vanno da sempre in bicicletta, magari in bicicletta da corsa: gente che si è autonomamente auto-esentata da questo gioco del possesso-spossesso con una presa di posizione anti-spataiuola e anti-zaffisgna: “Io a bicicletta un m’a fazzu futtiri” (Io la bicicletta non me la faccio rubare).
Tolti i non partecipanti al gioco, tutti gli altri panormiti partecipano. In media, a Palermo una bicicletta rimane al possessore un paio di settimane. Ovviamente, il panormita prova a opporsi alla volontà dell’anima della bicicletta: prova con catene e lucchetti. E se entra in un bar sorseggia il caffè affacciandosi tre o quattro volte. Ma c’è un attimo di distrazione, qualche minuto appena – capita a tutti di distrarsi, no? – e, zact!, la bicicletta non c’è più. Quando l’anima della bicicletta decide di cambiare possessore è impossibile opporsi: gli zu’ Totò che un tempo, a Palermo, ti facevano ritrovare le cose che ti avevano rubato non hanno voce in capitolo sulle due ruote. Per provare a ritrovare la bicicletta che ha deciso di cambiare possessore bisogna armarsi di santa pazienza e fare il giro dei mercatini ‘volanti’. Dove, tra immondizia riciclata, vestiti usati (trafugati rigorosamente dai contenitori) e altri ‘articoli’, se hai fortuna, puoi ritrovare la bicicletta che ti hanno rubato qualche giorno prima.
Però poi ci ripensi e ti chiedi: ma con tutte le strade sfasciate mi conviene ricomprarla?
p.s.
News: sventato un tentativo di ‘esportare’ un carico di biciclette rubate. Le ‘anime’ volevano emigrare? Boh…
Foto tratta da decrescita.com