Palermo fino alla prima metà del ‘900 si adagiava sulla pianura della Conca d’Oro, una distesa verde e dorata di agrumeti, attraversata dal fiume Oreto, che si sviluppava lussureggiante , scendendo dolcemente dai monti che circondano la città fino al mare. Un grande, incantevole giardino di limoni, aranci, mandarini reso fertile e fecondo già dall’ingegnosa arte arabo-normanna.
Così quando Johann Wolfgang Von Goethe arrivò a Palermo il 2 aprile 1787 rimase incantato dalla bellezza della natura, tanto da raccontarne l’emozione con frasi ormai divenute famose e che vengono ancora oggi orgogliosamente ripetute a celebrazione di una dimensione che, invero, appartiene tristemente al passato.
Ben poco è rimasto infatti delle “fresche verzure di gelsi, oleandri sempre verdi, spalliere di limoni…” (Goethe, viaggio in Italia). Quasi nulla del paradisiaco giardino (così venne definito dallo storico Fernand Braudel). Residuali le produzioni agricole che avevano reso ricca e rinomata la città di Palermo.
Oggi, soprattutto per le giovani generazioni, la “Conca d’oro” è semplicemente il nomedel più grande e affollato centro commerciale cittadino, frutto di una straordinaria variante urbanistica approvata nel 2006 che ha riguardato un’area di verde agricolo e di verde storico – Fondo Raffo – estesa circa 300 mila metri quadrati che circondava con colture arboree di rara bellezza l’antica villa Raffo; la villa è rimasta, ma il parco ha lasciato il posto ad un immenso parcheggio grigio al servizio dei numerosi padiglioni commerciali. Gli edifici sono gialli, irrispettoso ricordo dei limoneti abbattuti.
La variante urbanistica, del resto, è stata, negli anni, uno strumento usuale di intervento, unitamente ad altri strumenti di pianificazione, ideati dal legislatore per la riqualificazione del territorio, ma trasformati a Palermo in altrettante formule per “innovative” cementificazioni del territorio. Così dal 1962 ad oggi, tra Piani per l’Edilizia Economica e Popolare, Programmi costruttivi, lottizzazioni, contratti di quartiere, PRUSST, PRU, e via continuando la politica del mattone ha mantenuto vigore e coerenza .
La campagna è stata gradualmente inghiottita da una colata inarrestabile di cemento, devastata dall’edificazione selvaggia e scriteriata, privata della sua antica bellezza e del profumo di zagara dei suoi agrumeti. Il primo attacco al territorio, determinato dalla necessità di garantire l’alloggio agli aventi diritto, calcolati alla fine degli anni ‘60 in relazione ad una popolazione di circa 900 mila abitanti, che Palermo non ha mai avuto, ha comportato la creazione di interi quartieri di “edilizia residenziale”, realizzati incentivando l’abbandono del Centro storico verso zone periferiche che, da verde agricolo, venivano destinate dal Piano regolatore generale del 1962 in altrettante aree PEEP (Piani per l’Edilizia Economica e Popolare); il più famoso è il quartiere ZEN, espressione di una politica urbanistica ed architettonica ambiziosa, ma rivelatasi nel tempo fallimentare, costituito una serie di “insulae” separate dal resto della città, ed ancora sprovvisto di opere di urbanizzazione (ad esempio, di impianti fognari, aree di verde, piazze che non siano ricoperte da materiale da risulta, eccetera, ed i cui edifici sono a tal punto irreparabilmente degradati che, sempre più spesso, se ne invoca la demolizione e ricostruzione.
Esaurite buona parte delle aree PEEP, l’edificazione, vissuta come unica forma di economia possibile per la città, è continuata con i Programmi costruttivi per la realizzazione di alloggi di edilizia popolare, in deroga allo strumento urbanistico, in aree di verde agricolo della Conca d’oro e con lottizzazioni .
Inverosimilmente, nonostante l’impegno edificatorio delle diverse Amministrazioni comunali che si sono succedute nel tempo (in questi anni sono stati realizzati 50.000.000 di metri cubi, oltre quanto necessario in rapporto alla popolazione e nel 2009 erano circa 150 mila le case vuote) il problema degli alloggi è rimasto irrisolto; nel 2014 si registravano circa 1000 nuclei familiari di senza tetto e migliaia di istanze di alloggi inevase.
Alla fine degli anni ‘90 gli interventi sulla città si sono raffinati e si è proceduto con strumenti speciali di pianificazione (PIAU, PRUSST, PRU- Contratti di quartiere etc) ufficialmente rivolti alla riqualificazione del territorio, nei fatti utilizzati come altrettante varianti urbanistiche, per costruire anche sul verde e in alcuni casi in aree sottoposte a vincoli , diversamente insormontabili .
Gli anni 2000, poi, si caratterizzano per la creazione dei tre grandi centri commerciali – di uno, la Conca d’Oro si è già detto – su vaste aree del territorio, per lo più in variante, non sempre accompagnati da adeguate urbanizzazioni e imposti alla città senza un’analisi del rapporto costi-benefici. Centro commerciali che, nel tempo, hanno sicuramente contribuito alla crisi economica della piccola imprenditoria locale ed artigianale.
L’attrazione edificatoria non ha risparmiato nessuna Amministrazione comunale ed anche il Governo regionale è intervenuto utilizzando anacronistici poteri d’imperio per realizzare grandi opere pubbliche su vaste aree fino a quel momento inedificate. Così è avvenuto per la “Cittadella della Polizia”, una struttura polifunzionale dove ospitare tutti gli organismi della Polizia di Stato, da realizzare, in variante, nell’area di Boccadifalco, su una superficie a verde di circa 150 mila metri quadrati; o, ancora, poco lontano, per la realizzazione di un grande Centro direzionale regionale, sul Fondo Luparello, poco compatibile con le caratteristiche dell’area che rappresenta un prezioso patrimonio storico, naturalistico e culturale.
L’attacco al territorio non si ferma ed arriva fino ai nostri giorni, con le previsioni, anche in variante, su ciò che resta della Conca d’Oro di un enorme cimitero a Ciaculli (70 mila metri quadrati, oltre alle aree di rispetto, oggi agrumeto, da utilizzare per i servizi) e dei mercati generali (220 metri quadrati per il mercato ittico, ortofrutticolo e florovivaistico unificati), progetto prospettato come “riqualificazione” dell’area che circonda la storica villa “Trabia-.ampofiorito” con la sua dimenticata, meravigliosa fontana cinquecentesca.
E se ciò non bastasse, anche l’abusivismo edilizio ha avuto la sua parte, investendo vaste parti del territorio e contaminando anche l’arco collinare. Ad esito dei tre condoni che, dal 1985 si sono succeduti, risultano ancora circa 60 mila istanze di sanatoria inevase .
In sintesi, il consumo del territorio a Palermo ha raggiunto livelli allarmanti con conseguenti ricadute sul delicato equilibrio dell’eco-sistema. Nel dopoguerra il territorio urbanizzato era pari a 600 ettari su una superficie di 11.000 ettari (il 5%); nel 2006 era pari a 7.000 ettari (il 70%); infine secondo studi recenti, oggi il consumo complessivo del territorio supererebbe l’80%.
Come arginare il fenomeno? Indubbiamente con l’adozione di un nuovo ed efficace strumento di pianificazione urbanistica che riorganizzi il territorio finalizzando gli interventi al recupero dell’esistente, mettendo fine ad ogni ulteriore forma di consumo del suolo per salvare i preziosi tesori naturalistici ed ambientali che ancora conserva. Invero nel 2013 il Consiglio comunale cittadino ha adottato le linee guida per il nuovo Piano regolatore generale, ispirandosi esattamente a questi principi, ma da allora il processo di pianificazione sembra essersi arrestato e anche le successive scelte urbanistiche sembrano avere dimenticato questi valori.
Nel frattempo Palermo, ancora ricca, nonostante tutto, di fascino e suggestioni, riposa sul suo guanciale di cemento. Ma mi piace pensare che chissà, forse un giorno si desterà da questa lunga sonnolenza e guardandosi attorno cercherà la sua bellezza, scoprendo fino a che punto sia intervenuto il mutamento. Allora con la regale eleganza della sua storia saprà scrollarsi di dosso tanti posticci mattoni, spazzandoli e radendo al suolo il brutto ed il superfluo, per ridare alle nuove generazioni la luminosa freschezza dei suoi limoneti.