Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi l’altro ieri ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Repubblica.
Le interviste… Pensate che mi sono formato in un’epoca (parliamo degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta) nella quale a noi neo-cronisti o aspiranti cronisti (o aspiranti-aspiranti!), caporedattori, capiservizio, redattori già abbastanza collaudati, ci ripetevano, usando grosso modo le seguenti parole, che “l’intervista in sé, l’intervista com’è intesa da voi che avete ancora tutto da imparare e tuttora ‘un si sa se la stoffa per fare i giornalisti vu ce l’avete o no; ecco, le interviste di cui vi sognate d’essere artefici, in genere servono solo all’intervistato, sono un favore all’intervistato il quale cerca casse di risonanza e perciò cerca bischeri come voi: noi, invece, vogliamo notizie, notizie in continuazione, notizie che diano lustro al giornale e che al giornale facciano aumentare le vendite! Delle interviste ‘un ce ne frega nulla”!. A quell’epoca era davvero così. Ma questo è un altro discorso.
Bene, con quell’aria, insopportabile, di chi si porge, si esprime col timbro “as a matter of fact”, Renzi ha affermato che sotto il suo Esecutivo, gli indagati rimarranno al loro posto, non verranno affatto “messi alla porta”. Non è che questa uscita da parte di uno degli uomini più potenti e più in vista d’Italia, ci stupisca, ci prenda di sorpresa. Ormai lo conosciamo il presidente del Consiglio. Abbiamo una ben precisa idea della sua mentalità, degli ambienti in cui è cresciuto e s’è formato; del percorso politico intrapreso, delle tappe che egli ha bruciato. Nessuna sorpresa in noi, no; nessuno sbalordimento. Nessuno sbigottimento: saremmo persone di nessun “peso specifico” se le dichiarazioni di Matteo Renzi a La Repubblica ci lasciassero allibiti. Piuttosto, esse c’impauriscono. Ci rattristano. Ci mettono in imbarazzo: in imbarazzo coi nostri giovani figlioli, in imbarazzo con altri popoli e governi i quali seguono con costanza fatti e personaggi della politica italiana e con la politica italiana non sono affatto teneri.
Grazie al mio mestiere di giornalista e di rugbista, incontro spesso parecchia gente, molta della quale istruita, anche colta; fornita di senso pratico; donne e uomini animati dal senso di giustizia. Ebbene, in tutti questi anni, francesi, tedeschi, inglesi, m’hanno sempre domandato, delusi, perplessi, com’è stato possibile che, a più riprese, gli italiani abbiano votato per Prodi e Berlusconi, e com’è possibile che, in tempi ancor più recenti, ci siamo ritrovati con presidenti del Consiglio non eletti dal Popolo. Vaglielo a spiegare…
L’affermazione da parte di Renzi sugli indagati “intoccabili”, è una presa di posizione enorme, assai sconcertante, eccome; sconcertante e pericolosa… In essa si riscontrano anche protervia e tracotanza. Vi si riscontra lo specchio di un animus che a noi non sembra animus tanto democratico. È la natura di chi, in altre parole, ci viene a dire: qui comando io, perciò si fa come dico io, voi pensate piuttosto a rigar dritto. Discorso chiuso.
Il presidente del Consiglio è fuori strada. Vabbè che l’Italia ci ha dato un Giolitti (…), ci ha dato un Nitti, un Facta, un Vittorio Emanuele Orlando. Ci ha dato leader che nulla realizzarono, sia sul piano sociale che su quelli morale ed economico: capi tuttavia bravissimi in una ben precisa arte: quella di dividere gli italiani, di porre italiani contro italiani, e lasciare che un paese sfibrato scivolasse verso la rovina. Ma quello che di recente è venuto a dirci tramite La Repubblica, Matteo Renzi, ci scoraggia assai più dell’arrendevolezza di Orlando al Congresso di Versailles poco dopo la fine della Grande Guerra; assai più delle trame parlamentari imbastite da Giolitti, assai più dell’inconcludenza manifestata da Nitti e Facta all’indomani, appunto, della Prima Guerra Mondiale.
Non è pensabile che uomini pubblici finiti sotto inchiesta rimangano ai loro posti comodi e scintillanti; mantengano il proprio potere, che è notevole; seguitino a incidere sulla res publica, continuino a determinare il destino degli italiani, cioè di un popolo che da troppi anni ormai viene ingannato, raggirato, sfruttato, impoverito. Un uomo politico, quindi un personaggio pubblico (lo ribadiamo), anche se soltanto sfiorato, sfiorato da un’ombra di sospetto, ha il dovere di dimettersi, il dovere di passare la mano, di congedarsi senza clamore, e nell’uso del minor numero di parole possibile.
L’ex-ministro Lupi travolto dall’inchiesta Grandi Opere in questi giorni s’è dimesso, e ha fatto benissimo. Un’altra manciata di giorni, al massimo una settimana, e avrebbe trovato pronta per lui la ciambella di salvataggio…