E' la star del momento. E la sua denuncia pesa come un macigno: "Le associazioni antimafia non mi hanno sostenuto". A parlare è Giuseppe Cimarosa, nipote del boss super latitante, Matteo Messina Denaro, che in questi giorni è sotto i riflettori di tutti i media per avere rinnegato pubblicamente il suo ingombrante zio (in realtà è figlio di una cugina del boss, anche se è indicato come il nipote).
La Voce di New York lo ha intervistato a Dicembre, e al nostro giornale, ha raccontato per filo e per segno la sua storia e il perché delle sue scelte. Non solo. Già allora, parlando con la nostra collaboratrice, Valentina Barresi, Cimarosa aveva puntato il dito contro "l'ostruzionismo subito da parte delle associazioni che si dicono in prima linea contro la mafia".
Ma, se fino ad ora aveva confidato questa paradossale verità a qualche singolo giornalista, adesso la sua denuncia conquista l'attenzione del pubblico nazionale e, chissà, magari anche oltre lo Stretto, cominceranno a porsi qualche interrogativo in più su una questione già nota in Sicilia: l'antimafia di facciata.
La storia di Giuseppe entra nelle case di tutti gli italiani lo scorso weekend: la racconta dal palco della Leopolda Siciliana, alias la riunione dei renziani a Palermo cui, ovviamente, i grandi giornali e le tv, sempre estremante 'carini' col Premier e i suoi seguaci, hanno riservato 'il dovuto' spazio.
Ma, stamattina, intervistato da Agorà, seguitissima trasmissione televisiva in onda su Rai 3, ha fatto di più. Il nipote del boss ha puntato il dito, senza timori e senza eufemismi, contro qell'antimafia che si è fatta sorda:
"Le associazioni antimafia non mi hanno, ascoltato, né sostenuto. Non so perché. Forse non mi hanno creduto, certo ho avuto difficoltà a fare conoscere la mia storia" ha detto al conduttore del noto talk show.
La denuncia arriva in un momento particolarissimo in Sicilia. Un momento in cui, dopo anni di omertoso silenzio, cominciano a venire fuori gli scheletri nell'armadio del mondo dell'antimafia. Ovvero, l'uso improprio della bandiera della legalità per fini diversi da quelli dichiarati. Affari e contributi pubblici in primis.
Va da sé che nel mondo dell'antimafia e dell'antiracket ci sono tante perle, ma accanto ad esse, non mancano associazioni di varia natura che hanno abusato dello status per esercitare un potere che altrimenti non avrebbero mai avuto.
Emblematico è un caso di scottante attualità: l'indagine per concorso esterno in associazione mafiosa che ha colpito il leader degli industriali siciliani, Antonello Montante, che per anni, con la sua Confindustria Sicilia, è stato considerato 'il paladino dell'antimafia' e che ha conquistato non pochi posti di potere (a lui fanno riferimento un assessore regionale, ovviamente alle Attività produttive e diversi presidenti, più o meno titolati, di enti economici).
Le indagini sono in corso e le conclusioni fuori luogo. Non è da escludere neanche che, più che di 'mafia', si possa trattare di scontro tra lobby per questioni di affari.
In questo momento, ad esempio, l'annunciata privatizzazione degli aeroporti siciliani sta scatenando più di un appetito.
In ogni caso, al di là di questa inchiesta e dei suoi sviluppi, quello che è certo è che l'Antimafia siciliana è sotto osservazione, se non sotto accusa.
E le dichiarazioni di Giuseppe Cimarosa, lo confermano.
Così come, ancora una volta, trovano conferma le parole di Leonardo Sciascia, che con il suo celeberrimo articolo sui 'professionisti dell'antimafia', pubblicato nel 1987 dal Corriere della Sera, aveva denunciato il rischio di abusi che poi si sono puntualmente verificati.