Avevo da poco compiuto dieci anni quando quella gelida mattina del primo gennaio 1961 passò a prendermi mio zio Marcello, con gli occhi ancora rossi e assonnati per i lunghi festeggiamenti fatti durante la notte precedente.
«Andiamo, che è tardi!», disse, senza neanche togliersi il cappotto.
«Ma dove andiamo, zio?»
«Aspetta e vedrai.», rispose lui, prendendomi per la mano.
Salimmo a bordo della sua piccola Dauphine bianca, un’utilitaria francese tristemente famosa all’epoca perché in curva, spesso e volentieri, si cappottava. Nonostante questo, io non avevo paura di salirci sopra, anzi, ero contento. Potenza dell’infanzia! Ad ogni curva chiudevo gli occhi e già pensavo che il mondo intero mi si rivoltasse addosso, facendomi rotolare sopra e sotto come un barattolo di latta, come diceva appunto quella buffa canzone “Il barattolo” del cantante Gianni Meccia, 45 giri uscito in estate e primo in classifica per diverse settimane di seguito. Lo zio Marcello guidava a velocità sostenuta sul Lungotevere, guardando di continuo l’orologio.
«Mannaggia, mancano pochi minuti a mezzogiorno» borbottava.
«Ma che succede a mezzogiorno? Me lo vuoi dire, zio?»
Ma lo zio non mi rispose. Parcheggiò la sua utilitaria vicino al Ponte Cavour e mi invitò a scendere di corsa. Arrivammo sul ponte dove si era radunata una piccola folla di gente. Sembrava che, da un momento all’altro, stesse per accadere qualcosa di molto importante.
Io non riuscivo proprio a comprendere cosa esattamente ma l’adrenalina dentro di me stava già salendo alle stelle. Se zio mi aveva portato lì così di fretta, probabilmente, qualunque evento stesse per succedere, forse ne valeva la pena davvero.
Improvvisamente, da qualche parte, esplose un gran colpo, una specie di tuono.
«E’ il cannone del Gianicolo ! E’ mezzogiorno in punto!», disse lo zio.
Io controllai sul mio piccolo orologio con l’immagine di Topolino. Entrambe le mani del mitico topo di Walt Disney erano puntate sul numero dodici. In effetti era proprio mezzogiorno. “E allora?”, pensai “Che accidenti succede a mezzogiorno?”
Fu allora che lo vidi. Era un uomo anziano non molto alto, il viso simpatico, praticamente nudo. Indossava un minuscolo costume da bagno e in testa portava un cappello a cilindro, di quelli che usavano nell’ottocento i gran signori, per uscire la sera e andare all’Opera oppure a qualche ballo importante.
Il signore, incurante del gran freddo che faceva quella mattina, era salito sul parapetto di marmo del ponte e, dopo aver sorriso alla folla, si era gettato giù, a volo d’angelo, con le mani allargate verso l’alto, le gambe perfettamente chiuse. Semplicemente perfetto. Un tuffo da campione.
Io lo guardavo a bocca aperta, pensando che fosse matto. E, in effetti, un po’ matto lo era davvero, anche se sembrava sapere il fatto suo in fatto di tuffi, non era proprio l’ultimo arrivato. Arrivò giù in pochissimi istanti in quel Tevere, allora molto più pulito e balneabile di oggi e, quando riemerse, cercò dapprima il suo cappello, poi alzò la testa verso la gente, me compreso, che dall’alto continuavamo ad applaudirlo, entusiasti. Da laggiù sollevò verso il cielo il dito pollice della mano destra, nel tipico gesto tutto americano che significa okay, è tutto a posto.
«Ma quello chi è?», domandai allo zio.
«Non lo vedi? Quello è Mister Okay !», fu la risposta.
Appresi così che il signor Rick De Sonay, dai romani soprannominato appunto Mister Okay, era un signore di origine belga di circa sessant’anni il quale dal 1946 aveva deciso di festeggiare così l’inizio dell’anno e anche il proprio compleanno, visto che era nato proprio il primo gennaio. L’anno in cui aveva iniziato quel divertente rituale il “biondo” Tevere era meravigliosamente pulito, non inquinato come oggi.
C’erano dei barconi ormeggiati lungo gli argini che fungevano da stabilimenti balneari con tanto di cabine, sedie a sdraio e baretti che vendevano bibite e gelati.
I ragazzi andavano lì a prendere il sole, a fare il bagno e a rimorchiare le ragazze e qualcuna di queste, di certo tra le più spregiudicate, indossava già i primi costumi da bagno bikini, inventati proprio in quel 1946 dal sarto francese Louis Réard.
Se voi lettori di oggi che avete in mente l’immagine dell’attuale fiume color marrone e pieno di schifezze varie non ci credete, andatevi a guardare i vecchi film in bianco e nero, come ad esempio il celebre “Poveri ma belli” di Dino Risi, con Marisa Allasio, Maurizio Arena e Renato Salvatori. Scoprirete gli stabilimenti sul Tevere di cui scrivevo prima ma anche, e soprattutto, un mondo semplice e magico nello stesso tempo, un mondo che purtroppo non c’è più.
L’ultimo tuffo nel Tevere di De Sonay fu negli anni ottanta. Da allora il suo posto fu preso da Maurizio Palmulli, ex bagnino dello stabilimento Kursaal, che aveva conosciuto il belga proprio sul pontile di Ostia, quando era bambino.
Per venticinque anni è stato lui il nuovo Mister Okay, gettandosi dai diciotto metri d’altezza del ponte, mentre la gente si affollava ovunque per assistere all’ormai storico evento, amato dai romani in modo incredibile e atteso puntualmente dai giornalisti e le televisioni di tutto il mondo. Ma nel 2013 anche Palmulli si è dovuto arrendere, per ormai raggiunti limiti d’età, passando il testimone ad un suo amico più giovane, Marco Fois. Sarà lui il nuovo Mister Okay, quello che i nostri figli e i nostri nipoti vedranno negli anni a venire saltare a volo d’angelo giù da quello storico ponte, tra le acque di uno dei fiumi più celebri e belli del mondo.