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February 16, 2014
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February 16, 2014
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Le mani sulla città: come la criminalità organizzata sta rubando l’anima a Roma

Marco Di TillobyMarco Di Tillo
Time: 4 mins read

Nel 1963 un bellissimo film italiano vinse il Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia. L’autore, Francesco Rosi, era un giovane brillante e molto preparato, destinato a diventare uno dei più grandi registi italiani. In quel suo lavoro scritto insieme a Raffaele La Capria e interpretato tra gli altri da un gigantesco Rod Steiger, aveva voluto filmare una chiara e particolareggiata denuncia sociale sugli scandali edilizi che, in quei primi anni sessanta, stavano continuando ad infestare il nostro paese, con il favore di politici corrotti e l’azione delle mafie organizzate.

La città mostrata era una Napoli tetra, sporca, alla mercé di tutti, destinata a finire come tutti sappiamo, preda della Camorra e, in fondo, del suo stesso disinteresse a reagire, a combattere, a difendere sé stessa.

Lo stesso attacco criminale si è oggi spostato su Roma. Ma ciò che avviene adesso ha origine lontane. Qualche anno fa, infatti, la stessa Camorra aveva stretto un accordo storico con l’Ndrangheta per quanto riguardava la capitale, accordo destinato a spartire la torta sul piatto in modo razionale e scientifico. Alle cosche calabresi sarebbe spettata la giurisdizione del centro storico della città eterna mentre ai campani toccava la giurisdizione su tutti i centri commerciali, i supermercati e i discount della periferia. La mafia calabrese, nel frattempo, era diventata la più forte e feroce mafia organizzata di tutto il mondo, con ramificazioni un po’ ovunque, dal Canada all’Australia, dalla Germania al Sud America. In Italia lavora oggi attivamente in tutte le nostre regioni, nessuna esclusa. Il suo giro d’affari è calcolato attualmente in circa 70 miliardi di euro l’anno. Verso la metà degli anni Novanta i calabresi avevano stretto un altro importante accordo, quello con la Mafia Cinese.

L’accordo prevedeva il facile ingresso clandestino di persone dalla Cina attraverso il porto di Gioia Tauro, ormai completamente controllato dalle cosche, in cambio di manodopera cinese per i negozi dell’associazione.

Ma come si colloca tutto questo con Roma? Facile. Una volta stabilito l’accordo, come nel gioco del Monopoli i vari capo-bastone, ovvero i capo-famiglia della 'ndrangheta, in particolare quelli delle 'ndrine dei Gallico, degli Alvaro, dei Pesce e dei Bellocco hanno cominciato a comprare. E per comprare s’intende comprare tutto, ma proprio tutto. Ecco dunque arrivare nelle loro mani famosi locali di Via Veneto come il Cafè de Paris, grandi bar di piazza Montecitorio, via Bissolati e zona del Vaticano come il Gran Caffè Chigi, il Bar California e l’Antico Caffè delle mura, prestigiosi ristoranti come il George’s di via Marche, grandi alberghi come l’Hotel Gianicolo. E poi via all’acquisto dei negozi, di qualunque grandezza o importanza. Oggi basta essere un romano di una certa età e camminare un po’ a piedi per il centro di Roma per rendersene conto. I negozi in questione sono molto facili da scoprire. Tanto per cominciare partiamo da quelli di souvenir. Ormai ce ne sono a centinaia in città. E sono tutti uguali. Avete presente quelle mutande boxer con raffigurato sul davanti il membro maschile? Quelle che si vendono in quei buchetti infestati di Pinocchi di legno, magliette contraffatte di Totti e Balottelli, papi Francesco di plastica e Colossei di varia dimensione? I venditori sono in genere giovani cinesi e sempre cinesi sono coloro che producono ogni giorno per le cosche calabre, proprietarie del negozio stesso, questi miserabili oggetti, lavorando indefessamente anche venti ore al giorno in qualche scantinato di Torre Angela oppure di Tor Bella Monaca.

E poi ci sono i bar, i ristoranti, i kebab, le gelaterie, tutti acquistati soldi alla mano per riciclare il denaro sporco fatto con la droga, soprattutto con lo spaccio di cocaina e di crack. Ci sono strade del centro di Roma, intorno a Fontana di Trevi, Piazza Barberini e piazza di Spagna, completamente in mano delle cosche calabre. Se ne sono andati per sempre negozi bellissimi che avevano fatto la storia di questa città, tutti spazzati via dalle viscide e untuose mani che si sono impossessate delle loro mura, dei loro prodotti e anche della loro anima.

Per non parlare delle decine e decine di appartamenti che, in questo momento di crisi e di necessità per tutti, vengono acquistati ogni giorno per ripulire il denaro, ristrutturati e poi lasciati vuoti magari per anni. E per ogni attività illecita scoperta, per ogni bene confiscato, ecco subito nuovi acquisti, nuove appropriazioni. I prestanome girano per i quartieri con la loro spocchia, la faccia tosta e, soprattutto, la forza delle armi e del potere criminale.

“Mi hanno detto che vuoi vendere il tuo negozio”

“Ma io veramente no”

“Ma si che vuoi vendere. Carino il tuo bambino. L’abbiamo visto oggi uscire dalla scuola. Lo sai che è proprio carino?”.

Tutto questo sta purtroppo trasformando l’aspetto stesso della città più bella del mondo. Non si possono comprare i monumenti, o diciamo che finora non hanno ancora trovato il modo, ma tutto quello che c’è intorno sì. Lo stanno comprando e tra poco avranno finito e passeranno ad un’altra città, ammesso che ce ne sia rimasta una su cui mettere le mani.

 

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Marco Di Tillo

Marco Di Tillo

Ho scritto per televisione, radio, cinema e fumetti. Sono usciti in Italia i libri gialli “Destini di Sangue”,“Dodici Giugno”, “Il palazzo del freddo”, della serie con protagonista l'ispettore romano Sangermano, “Tutte le strade portano a Genova” con l’ispettore genovese Canepa e in Usa il thriller storico “The Other Eisenhower”. Per i ragazzi ho scritto “Il ladro di Picasso”, “Due ragazzi nella Firenze dei Medici”, “Tre ragazzi e il sultano” e le favole illustrate “Mamma Natale” e “Mamma Natale e i pirati”. Sopravvivo a Roma con moglie, tre figli maschi e un cane femmina.

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