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July 4, 2013
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Servizi segreti, spie e spionaggio. Un’attuale riflessione di Leonardo Sciascia

Valter VecelliobyValter Vecellio
Nikita Kruscev con John F. Kennedy

Nikita Kruscev con John F. Kennedy

Time: 4 mins read

Ha ragione Stefano Vaccara, quando su queste pagine, a proposito delle “spiate” operate dalla National Security Agency ai danni di paesi “alleati” e “amici”, osserva che si tratta della scoperta dell’acqua calda; e lasciamo perdere per un momento le assicurazioni e le promesse di Barack Obama che in qualche modo giustifica l’operato dei suoi servizi segreti, perché compito di un servizio segreto è appunto quello di assumere, segretamente, informazioni; e cercare di impedire che altri facciano quello che fa lui. D’accordo, così fan tutti, ma non tutti si fanno infinocchiare da un contractor di basso livello dell’intelligence come Edward Snowden; non tutti si fanno trovare con le dita nella marmellata per la delazione di uno Snowden qualunque; e questo dovrebbe far riflettere Obama (e non solo lui, beninteso) sui comparti di sicurezza dei servizi stessi. Perché se si può ritenere benefico che in questo caso uno Snowden abbia provocato tutti il finimondo di queste ore (più di superficie che reale, s’azzarda), questo non significa che altri tipi di “effetti”, altri Snowden, possono provocare. E’ la memoria richiama alla mente quanto ebbe a dire Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale sotto la presidenza di Jimmy Carter, l’indomani degli attentati alle Twin Towers e al Pentagono: “Il 10 settembre non sapevamo nulla di questi attentatori. Il 12 settembre tutto”. Traduzione: le informazioni c’erano. Il problema era saperle “leggere”. Raccogliere una mole di dati e di “notizie” e non saperle usare per tempo: semmai è questo il problema di tutte le intelligence. E per quanto riguarda l’Italia: lo scandalo non è tanto che gli Stati Uniti (o altri) abbiano piazzato microspie nelle ambasciate italiane (e sai che avranno spiato!), quanto il fatto che il nostro contro-spionaggio non l’abbia saputo o potuto impedire. E’ su questo, semmai, su cui converrebbe ragionare.

Ad ogni modo Obama promette che saranno forniti tutti i chiarimenti richiesti a gran voce dai paesi amici spiati; e li si può già immaginare, che chiarimenti saranno. Poi, se si vuole, si potrà anche fare dell’ironia sul “non è carico” detto da Emma Bonino, nei confronti degli “spioni” americani; a parte che Bonino nell’intervista al “Corriere della Sera” ha detto cose molto ragionevoli, a volerla inchiodare a quel “non è carino” è operazione che si qualifica da sola. Chissà che cosa si pretende, si vorrebbe forse imitare il Tullio Bescom interpretato da Peters Sellers ne “Il ruggito del topo” di Jack Arnold? Come il ducato di Grand Fenwick dovremmo dichiarare guerra agli Stati Uniti?

No, meglio cercare di ricavare qualche succo da questa vicenda. Ecco, torna alla mente una nota di Leonardo Sciascia di quasi trent’anni fa. In sostanza Sciascia si chiedeva se “non abolire i servizi segreti?”. Ragionamento svolto sul filo del paradosso, ma animato da ferrea logica.

La riflessione comincia con un aneddoto, non sappiamo se vero o soltanto verosimile. Nel corso di un vertice il sovietico Nikita Kruscev ad un certo punto fa un discorso più o meno di questo tipo al presidente americano John F.Kennedy: “I tuoi agenti spiano l’URSS, i miei l’America, spendiamo un sacco di soldi per farci dire quello che già sappiamo. Non sarebbe più logico abolirli, o almeno unificarli?”. Si può immaginare il sorriso dell’uno e dell’altro, che poi d’altro si saranno occupati; e i rispettivi “servizi”, invece di essere aboliti o riunificati, saranno stati anzi potenziati, ulteriormente rafforzati. E qui la riflessione di Sciascia: “servizi” che costituivano, e probabilmente costituiscono ancora “impasto di cretineria e criminalità, nelle moderne tirannie e, per simpatie o contagio, anche nelle moderne democrazie, i servizi segreti hanno assunto un ruolo quasi avulso dagli Stati che li promuovono, dal potere che dà loro potere: hanno una loro politica, fanno le loro alleanze e le loro guerre. Si può anzi dire che la guerra è la loro cultura: e uso la parola anche nel senso degenerato in cui oggi la si usa, per cui si parla di cultura mafiosa, di cultura del sospetto, e così via; ma soprattutto la uso nel senso di cultura batterica da laboratorio scientifico. Appunto tra cretineria e criminalità, la cultura della guerra è la sola cui i servizi segreti appartengono. Un discorso di pace, dunque, deve preliminarmente muovere dall’abolizione dei servizi: aveva ragione Kruscev”.

Sciascia poi racconta una sua personale esperienza: “Ho conosciuto un uomo che stava al vertice dei nostri servizi segreti. Non gli avrei affidato nemmeno la custodia di un cane; ma i nostri governanti gli avevano affidato la sicurezza dell’intero paese. Mi domando come è stato possibile. E ancora mi domando: se quell’uomo stava al vertice, cosa erano, cosa sono, coloro che stanno alla base della piramide? Né credo ci sia di meglio nei servizi di altri Paesi: l’attributo di intelligente, che accompagnò quello inglese, e forse l’accompagna ancora, è da considerare come mitico e romanzesco. Se i servizi internazionali tra loro dialogano e tra loro guerreggiano, vuol dire che tutti stanno allo stesso livello, che tutti conducono lo stesso gioco”.

A saperla cogliere, “vedere”, questa nota, per le riflessioni e le intuizioni che racchiude, ha un suo valore anche per l’oggi. Ma Obama certamente non conosce e non ha mai letto Leonardo Sciascia; e, da quel che è dato vedere, non solo Obama, anche da qui da noi, in Italia…

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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