Buone notizie. È a queste che bisogna speranzosamente “attaccarsi” per tentare di non farsi scoraggiare dalla valanga di scandali e corruzioni da fine impero che rischia seriamente di travolgere l’Italia. Questa settimana di buone notizie ne ho trovate addirittura due: si vede che sono proprio un’inguaribile ottimista. Mi sono infilata in due musei e… ho ripreso coraggio.
A Verona ho scoperto una vera e propria chicca: uno spazio interamente dedicato all’Opera. E che spazio! A palazzo Forti, un antico e affascinante edificio medievale nel centro della città di Romeo e Giulietta e a pochi passi dalla celebre Arena, ha aperto – primo al mondo – un museo dedicato interamente all’Opera e al Bel Canto. Ed è, credetemi, una gioia per gli occhi e per le orecchie e, quindi, per l’anima. Nelle sette macrosezioni che si snodano lungo varie sale – che sono ancora poche, perché i lavori e gli allestimenti saranno ultimati nel giugno dell’anno prossimo quando l’intero palazzo, e non più soltanto il primo piano attuale sarà di AMO (bell’acronimo che sta per Arena Museo Opera, http://www.arenamuseopera.com) si snoda un percorso che ha un obiettivo preciso, come dice Francesco Girondini, sovrintendente della Fondazione Arena di Verona: «Accompagnare il visitatore attraverso il sorprendente processo creativo della messa in scena di un’opera: dal primo schizzo alla rappresentazione teatrale, dalla stesura del libretto alla scrittura della partitura, dal disegno delle scenografie e dei costumi alla preparazione dei cantanti fino alla definitiva messa in scena della produzione».
C’è di tutto: appunti di grandi compositori come Bellini, Rossini, Donizetti, ovviamente Verdi e Puccini. E si può ascoltare una preziosa selezione di tutto: le grandi arie di “Aida”, “Turandot” e di tutte gli altri capolavori che – in passato, ahimé – hanno reso gli italiani unici al mondo. Si preme un tasto, talora nascosto, ed è un’emozione in più, sotto un costume di scena, ed ecco… l’incomparabile voce di Maria Callas e degli altri grandi. Il tutto è reso ancora più piacevole da un fatto, da non dare per scontato nelle altre realtà museali italiani: il personale di sala è composto da ragazze gentilissime e preparate, disponibili a fornire chiarimenti. Insomma: quando siete in Italia, andateci.
A Roma, invece, ha appena aperto una mostra dedicata a un altro dei capisaldi dell’inconfondibile stile italico: la moda. Abiti bellissimi dei più noti nomi, non ne cito nessuno per non far torto agli altri, vere opere d’arte spesso indossati da protagonisti dello spettacolo in film e rappresentazioni teatrali di primo piano. “Sessanta anni di made in Italy, protagonisti dello Stile italiano”, questo il titolo, trova ospitalità in un altro spazio molto bello e caratteristico, la Centrale Montemartini. Che era davvero una centrale elettrica, ormai dismessa e di cui non si sapeva che fare fin quando non è venuta l’idea di trasformarla in museo per accogliere antiche statue romane: oggi l’accostamento tra i vecchi macchinari della enorme centrale, in sé un bell’esempio di archeologia industriale, e i bianchi marmi del passato è intrigante e azzeccato. E in queste settimane, si aggiungono anche i manichini con i capolavori, giusto chiamarli così, usciti dal genio degli stilisti dell’ago e filo. La mostra, come spiegano le curatrici Fiorella Galgano e Alessia Tota, ha un risvolto americano. Subito dopo l’ultima guerra, infatti, il cosiddetto Made in Italy era ancora sinonimo di “cheap”: «Roba a buon mercato, di basso livello qualitativo». Il salto avviene con il marchese fiorentino Giovan Battista Giorgini, che era “resident buyer” di grandi “department stores” degli Stati Uniti. Quando si accorse che alcune delle compratrici delle più importanti ditte americane, zitte zitte, copiavano e replicavano abiti italiani lanciandoli con successo negli States, capì che era ora di intervenire: reclutò i nomi principali della moda italiana di allora «ancora asservita a copiare quella francese» invitandoli in una splendida splendida villa. E nacque il vero Made in Italy. Unico neo: ci sono andata non all’inaugurazione per la stampa e, passata la scalmana dei giornalisti invitati all’anteprima e spenti i riflettori delle tv, si percepisce impalpabile come un certo disinteresse della Direzione del Museo verso questa esibizione temporanea, lasciata a se stessa e con un personale volenteroso ma impreparato. Ma mai scoraggiarsi: la mostra, dicono, sarà itinerante. E andrà, giustamente, all’estero. Prima tappa sicura: Città del Messico. Se fossi ancora un’italiana a New York, come ero, vorrei tanto che arrivasse anche nella Grande Mela.