Questa sì che è una notizia, che potrebbe segnare una epocale svolta culturale in questo nostro antico e immobile Paese: un supermercato sempre aperto, 24 ore su 24. «Notizia?» si domanderà chi vive negli States. Sì, nell’Italia dei negozi aperti poche ore e delle rigidità sindacali, questa è una notizia. Sta succedendo a Milano che, nonostante non sia più quella di un tempo, resta pur sempre la città italiana più moderna (o meno sclerotizzata, fate voi) e che cerca faticosamente di non perdere i contatti con i nuovi ritmi e necessità delle metropoli internazionali. Si tratta di una prima assoluta. Ovviamente non poteva che venire da un gruppo straniero, sia pure con una lunga e forte presenza nella penisola. Fatto significativo: l’iniziativa non ha avuto alcuna promozione pubblicitaria.
Il supermercato, che già esisteva, ha semplicemente tenuto aperto a rotazione continua. E, nel giro di dieci giorni, con il semplice passaparola i clienti stanno aumentando esponenzialmente: tassisti in pausa, medici e infermieri in turno notturno ma anche soltanto impiegati che, fatti gli straordinari, arrivano a casa quando tutte le saracinesche di negozi e supermercati sono ormai abbassate.
La notte, per ora, i commessi sono soltanto due, più due addetti alla sicurezza. “I prodotti sono già confezionati, basta passarli al lettore ottico”. Si paga con la carta di credito, evitando l’accumulo di contanti alle casse che potrebbero far venire “strane idee ai malintenzionati e balordi”. Tutto molto normale, in un Paese normale. Ma siamo in Italia, dove pure la Chiesa brontola per le aperture domenicali sempre più frequenti che impedirebbero di andare a messa.
Ma più divertente è l’imbarazzata reazione dei sindacati. Guardano perplessi: fosse per loro protesterebbero, hanno sempre vissuto strappando e imponendo contratti che centellinano e regolamentano con il bisturi gli orari e le mansioni. Limiti che nel mondo globalizzato sono davvero anacronistici. Non possono nemmeno appigliarsi a presunte imposizioni del datore di lavoro, perché il personale che decide di fare la notte è tutto volontario. “E noi” – dice a denti un po’ stretti un dirigente sindacale della Cgil – “non andiamo contro le scelte di chi lavora”. Anche perché – e questo lo dico io – è probabile che i primi a tacitare i vecchi sindacati sarebbero proprio i lavoratori. Che, forse non a caso, si iscrivono sempre di meno ai sindacati.
È UNA DELLE TANTE STRANEZZE italiche che fanno sorridere gli stranieri: i figli a casa di Mamma e Papà fino a quando non si sposano. E, dal momento che i matrimoni sono in calo e la crisi economica è sempre più pesante, cresce costantemente l’età degli ex bebè del Bel Paese che restano parcheggiati nel nido di origine: usufruendo, oltre all’alloggio, anche di vitto e camice lavate e stirate. Oddio: non è che all’estero la situazione sia poi tanto migliore, mi giunge notizia che – sempre per motivi economici e di mancanza di lavoro – anche negli USA dove solitamente si usciva di casa a 18 anni il fenomeno sia in crescita, con sgomento di demografi e sociologi.
Ma torniamo all’Italia. Sono arrivati gli ultimi dati. Secondo una ricerca del Censis e della Coldiretti, ormai ben due terzi degli under 29 non spicca il volo dal nido di origine; e non è che la soglia dei 30 anni segni il via libera: tra i mammoni – o, come li aveva definiti il compianto Tomaso Padoa Schioppa, i bamboccioni – vanno annoverati anche i veri e propri adulti: il 23 per cento dei pargoli (pargoli?) tra i 30 e i 45 anni continua a vivere nel nucleo familiare che li ha messi al mondo. Non basta: tra gli stagionatissimi “bambini” della fascia d’età superiore, quella fino ai 64 anni, quasi il 12 per cento sta ancora in casa; e, a questo punto, è più che probabile che ci finirà i propri giorni. Non basta ancora: quelli tra le nuove leve che riescono ad affrancarsi restano comunque a distanza di sicurezza da Mamma, spesso a meno di 15 minuti a piedi (il 28 per cento) o, al massimo, mezzora da portone a portone (il 14 percento).
Commenta con saggia ironia il Corriere della Sera: «È giusto il tempo che serve per mettere su l’acqua e buttare la pasta». Per dar da mangiare al pupo. Ora, però, mi devo sbrigare a chiudere queste righe: sta per rientrare a casa nostro figlio 27enne, devo preparargli la cena (le camicie sono già stirate).