E se il Graal, la coppa con il sangue di Cristo, fosse occultata in Calabria? E se i monaci templari avessero avuto origine
in Calabria? E se Excalibur, la spada a doppio taglio di re Artù, fosse la punta terminale della lancia romana che colpì il costato di Cristo? E se i Fratelli Iniziati o Rosacroce la custodissero ancora in un luogo segreto? E se non fosse stato l’eroe troiano Enea a fondare la stirpe romana, ma il suo antenato, l’italico Dardano, a fondare Troia?
Roba da far venire il giramento di testa perfino a Roberto Giacobbo, il conduttore del programma televisivo Voyager che da anni indaga sui misteri della nostra civiltà. L’assessore alla cultura della regione Calabria, Mario Caligiuri, professore universitario, saggista e grande studioso di esoterismo, ha invitato Giacobbo in Calabria per cominciare a svelare alcuni misteri che così francesi o britannici non sono, perché le loro origini mitologiche, archeologiche, storiche, letterarie, simboliche, toponomastiche e linguistiche sono in Italia. Se l’Italia è la Calabria. Sì’ la Calabria è l’Italia: l’Italia primordiale. Ora viene mal di pancia ai veneti, i quali tra l’altro vantano origini quasi troiane, sostenendo di provenire dall’antica regione della Plafagonia sulle sponde del Mar Nero. Mi dispiace per loro, ma l’Italia fu fondata dal mitico Italo che regnò sugli italoi, stanziati sull’istmo di Catanzaro, e poi diffusisi sino a Reggio Calabria. Ma chi erano gli italoi? Per i greci erano gli adoratori del vitello (uitellus), cioè i vituli, i quali appunto abitavano la terra dei tori, l’Ouitoulia, ossia l’Italia. Il bos primigenius, che non era il boss di tutto, ma forse all’epoca il toro lo impersonava, è immortalato in un graffito di 12 mila anni fa nella grotta del Romito a Papasidero, in provincia di Cosenza. Fatto sta (per farvela semplice, perché le origini sarebbero molto più complicate da spiegare), il toro era importantissimo per l’agricoltura di queste genti e la terra calabra era una terra ricca e i suoi abitanti felici. Tuttavia non c’era da mangiare per tutti e il fratello di Italo dovette emigrare. Fece una prima tappa a Creta, prese moglie, forse lasciò là il culto del dio toro e poi arrivò in Asia Minore. Si chiamava Dardano e fondò Troia (come scrive Servio). Questo succedeva circa 800 anni prima della guerra di Troia. Quando Troia cadde, intorno al 1250 a.C., l’unico principe della stirpe troiana che riuscì a fuggire fu Enea con un gruppetto di compagni. Giunti all’isola di Delo, interrogarono l’oracolo di Apollo per sapere dove andare: “Antiquam ex quirite matrem”, cercate l’antica madre, gli fu risposto. E loro tornarono alle origini: in Calabria. Lì si fermò Britto, un compagno di Enea, il quale invece proseguì – come sappiamo da Virgilio – per il Lazio. Britto sarebbe stato il capostipite dei Bruzi o Bretti. Altre fonti raccontano che era figlio di Ercole e di Baletia, ninfa di un fiume calabro, e che si spinse fino in Britannia, alla quale appunto diede il nome.
Saltiamo un po’ di secoli e il toro ricompare in Calabria, non più come personificazione di Giove, il più importante dio italico, ma come toponimo: Montauro, ossia monte toro. Questo significa che era sempre rimasto lì a “regnare”. Pare che prima di divenire una potente cittadina normanna del X secolo, Montauro fosse stato per secoli un centro sacro al dio Toro. Se tracciamo una linea retta tra Gerusalemme e La Rennes Le Chateau, importante centro templare della Francia, dobbiamo passare per Montauro. Cosa che fecero probabilmente dei monaci della Val di Crati, i quali nel 1070 raggiunsero la foresta delle Ardenne di proprietà di Goffredo di Buglione, fondarono l’abbazia di Orval, lo convinsero a partire per la prima crociata, non tornano in Calabria, ma andarono con lui in Terra Santa. Sembra avessero trovato qualcosa in Calabria che rese per loro necessario indire la prima crociata. Un documento su una stirpe divina, fondata sulla pietra di Sion? O qualche oggetto sacro, come il graal o l’arca dell’alleanza?