Una buona notizia per allietarci in questa difficile estate. Se i dati riferiti da alcuni giornali sono veri, e non vedo perché non dovrebbero, all’improvviso in Italia c’è una sia pur lieve inversione di tendenza: si torna a fare figli. “I giovani non aspettano di uscire dalla precarietà” ci informa per esempio La Stampa. E il notoriamente serio quotidiano torinese non ha bisogno di spiegare – perché è sottinteso e ovvio a tutti – che tanto dalla precarietà con questa crisi i nostri ragazzi non usciranno se non abbondantemente fuori tempo biologico per poter pensare di riempire una culla.
Allora “con il posto fisso che è un miraggio e la disoccupazione che spaventa sempre, ci si aspetterebbe di assistere anche a un crollo del numero dei bebè”. Invece no. Certo le cifre sono minime e, per di più, il giornale “sabaudo” è andato a guardare soprattutto nei reparti maternità del proprio territorio. Ma accontentiamoci: all’ospedale Sant’Anna del capoluogo piemontese qualche giorno fa sono nati 32 bambini in più rispetto allo stesso giorno dell’anno scorso. E, complessivamente, sempre facendo il paragone con il 2011, questo mini baby-boom arriverebbe a circa 500 nati in più alla fine del 2012.
Pochissimo, come si vede, ma vogliamo illuderci che sia un segnale: alla fine la natura, cioè la voglia di procreare e di mandare avanti la specie, vince anche sull’incertezza economica. E, sembra che gli stranieri non c’entrino: tutti sappiamo, ed è stato anche scritto varie volte su queste colonne, che se nella poco prolifica Italia il tasso di natalità non è ancora sceso sotto la zero anche se poco ci manca, lo si deve alle coppie di immigrati. È vero, ma dal Sant’Anna ci assicurano che nelle sue corsie dall’inizio dell’anno dei 4106 bambini nati, 2.829 sono di coppie italiane. Inevitabile il commento della immancabile psicoterapeuta che il giornale si è affrettato ad interrogare: “Diventare mamme annulla lo stress sociale”. Può essere vero. Ma a me, senza farci troppi ragionamenti, interessa solo la notizia in sé. Dal momento che mi piacerebbe tanto diventare nonna, mi sa che la farò leggere al nostro unico figlio: chissà che non recepisca il messaggio…
“TORNIAMO A STUDIARE ECONOMIA DOMESTICA”. Quando ho letto questo titolo non ho potuto fare a meno di sorridere. Ad esortarci a un ritorno ai fondamentali del buon senso e della spesa oculata è un serissimo docente: Andrea
Segrè, professore di politica agraria internazionale all’Università di Bologna.
Con i portafogli sempre più magri e, soprattutto, senza molte prospettive di tornarli a gonfiare in un tempo ragionevole (cioè prima di morir di fame) “dobbiamo concentrarci sulla qualità dei nostri acquisti e sulla quantità degli sprechi” sollecita il professore. “Bisogna pianificare, tornare a parlare di economia domestica. E mettere a dieta il bidone della spazzatura”.
A me sono tornare in mente quelle lontane lezioni, appunto di economia domestica, che alle signorine venivano fatte nei vecchi tempi andati e che sono state abolite da decenni. Sì, credo che sarebbero di nuovo utili facendoci partecipare anche i maschietti che, ormai, dovrebbero avere capito che alla cucina devono pensare pure loro.
Con l’occasione, piuttosto, perché non ripristinare anche le buone e sane ma poco ascoltate lezioni di educazione civica? Utilissime pure loro, in questa stagione di dilagante cattiva educazione e scarso senso civico e sociale. Ma forse sto sognando troppo.