Tra i piccoli piaceri dell’essere in vacanza lontano dalle grandi città c’è anche la lettura dei giornali. Non tanto perché c’è più tempo per gustarseli quanto perché nei quotidiani di provincia si trovano notizie trascurate dalla cosiddetta grande stampa, persa a seguire le solite polemiche politiche che interessano sempre meno, anche se i direttori dei grandi giornali non sembrano capirlo. Sono in Abruzzo, in provincia de L’Aquila, e sul foglio locale, il Centro, leggo addirittura in prima pagina una storia d’altri tempi. Minuscola, se vogliamo, quasi da libro Cuore ma di quelle che “fanno bene”. È una storia di emigrazione che parte da lontano ma arriva fino ai giorni nostri. Parla di Franco Longo, emigrante di un piccolo paesino abruzzese, Civitella Casanova, che agli inizi del Novecento andò in America e fece fortuna. Rientrato in Italia nel 1924, perse il portafoglio dove c’erano ben 65mila lire, somma davvero ingente visto che all’epoca un ettaro di terreno costava mille lire. Il piccolo tesoro venne trovato da un uomo onesto, Vincenzo Celli, che lo restituì al legittimo proprietario. Non volle nulla come compenso e allora Franco, di nascosto, infilò nella tasca della figlia di Vincenzo duemila lire.
Con quei soldi Vincenzo comprò la terra che gli permise di far crescere la famiglia. Mentre Franco, con i soldi ritrovati, aiutò i fratelli rimasti in Italia comprando per loro casa e terreni. Come si vede, una storia d’altri tempi. Ma se il dna è quello giusto, non può che tramandarsi. I due anziani nonni oramai sono morti ma i loro nipoti non hanno dimenticato. Così a Civitella Casanova, Paolo Longo, nipote dell’emigrato distratto ma fortunato, ha voluto incontrare i nipoti di Vincenzo. Per recuperare una memoria antica. E per dirsi grazie ancora una volta. Ve lo avevo detto: è una storia piccola ma se ce ne fossero di più…
NOVE CINESI IN AUTO… sembrerebbe l’inizio di una barzelletta ma, invece, è cronaca autentica. E pure questa ha a che vedere con l’emigrazione anche se è ben diversa dalla precedente. Nella bassa bergamasca, i poliziotti della stradale hanno fermato una vettura che aveva imboccato una strada contromano. Quando gli agenti si sono avvicinati non volevano credere ai loro occhi. Dall’automobile sono uscite, una dopo l’altra, ben nove persone quattro in più del massimo consentito. Un’intera famiglia di immigrati cinesi: marito, moglie, nonni, figli, zii. Risultato: una multa salatissima, 1.300 euro. Ma non solo: al conducente sono stati decurtati ben 64 punti patente. Non so se sia un record ma poco ci manca. DA GIORNI NON SI PARLA D’ALTRO. Ma sulla triste vicenda del marciatore altoatesino Alex Schwazer (nella foto), stella alle precedenti Olimpiadi e cacciato da queste in corso a Londra perché risultato positivo a un controllo anti-doping, faccio fatica a dire la mia. Provo un misto di imbarazzo e pena. Imbarazzo: per il massacro mediatico a cui è sottoposto il ragazzo e a cui non vorrei aggiungermi. Pena: per avere ancora una volta la prova provata dell’eccessiva anzi disumana pressione a cui vengono sottoposti gli atleti. “Volevo o tutto o niente” ha detto Alex. Ha ottenuto peggio che il niente. Ma in pochi sono stati a sentire la ragione di fondo dell’ex campione. “Non sono come la mia fidanzata Carolina Kostner che ha la passione per il pattinaggio, non ce la facevo più con la marcia, la vivevo come un dovere, 35 ore di allenamenti alla settimana, bastava una birra per farmi sentire in colpa”.
La colpa, invece, non era sua ma dall’ambiente che, a tutti i costi lo voleva ancora campione, a cominciare dal padre dell’atleta che, onestamente, ha ammesso la sua responsabilità morale. Lo sport è sì dura disciplina ma, prima di tutto, deve essere allegria e voglia di partecipare. Invece, grazie ai media che poi ti abbandonano appena diventi troppo vecchio, è diventato un dovere. Dai, Alex: sei giovane e hai una vita davanti. Da percorrere ai ritmi tuoi, non quelli imposti dai cronisti sportivi.