Ha ragione Fiamma Arditi (nella foto): sicuramente «non bastano i film a portare la pace, a salvaguardare l’ambiente o a dissolvere i pregiudizi, ma possono contribuire a risvegliare la nostra coscienza e a farci comprendere meglio chi è diverso da noi». E nei tre giorni della scorsa settimana che, a Spoleto nell’ambito del Festival dei Due Mondi, hanno visto svolgersi l’edizione 2012 di “Senza frontiere/ Without borders”, la rassegna cinematografica ideata e realizzata da questa giornalista internazionale divisa tra Roma e New York si è avuta la conferma che qualcosa si può fare per questa società dove troppo spesso prevalgono intolleranza, pregiudizi, violenze verso chi è percepito come “diverso”.
Film e documentari molto differenti tra loro, sicuramente “impegnati” ma mai “indottrinanti”, si sono susseguiti per mostrare e dimostrare le profonde ragioni di vicinanza tra storie, popoli e mondi apparentemente antitetici. E registi e documentarsi hanno confermato che le barriere culturali si possono abbattere: certe volte basta semplicemente ignorarle per capire – nelle parole ancora di Fiamma – «quanto abbiamo in comune noi essere umani».
L’edizione di quest’anno era, non a caso, dedicata alla Dignità, che dobbiamo non solo esigere per noi stessi ma riconoscere agli altri. Come quella della saga epica dei prigioneri politici evasi da un gulag siberiano nella storia vera raccontata in “The way back” da Peter Weir, il cui film è stato proiettato in anteprima nazionale.
O quella che le donne pakistane sfregiate con l’acido dai loro uomini “padroni” chiedono in “Saving face” straordinario e sconvolgente atto di denuncia firmato da Daniel Junge e Sharmeen Obaid-Chinoy. E va rispettata anche la dignità di altre donne che hanno fatto una scelta non comprensibile a tutti: il convento. E “God is the bigger Elvis” della messicana-calabrese Rebecca Camisa racconta proprio la vita vera di un’attrice hollywoodiana di successo, Dolores Hart, che lascia le luci delle schermo, e un uomo che le resterà fedele per sempre, per ritirarsi nell’abbazia Regina Laudis nel Connecticut.
Su questo docu-film, che ha ottenuto la candidatura agli Oscar, vale la pena spendere qualche parola in più: c’è da augurarsi che la HBO, che l’ha prodotto e ne detiene i diritti non si accontenti della pur prestigiosa nomination, si spenda per promuoverlo. Perché in questa stagione di crisi di tutte le istituzioni, comprese quelle religiose, è un inno alla spinta spirituale interiore e a quella richiesta di fede che, soprattutto in epoca di secolarizzazione e di dubbi, si continua a registrare tra i giovani. E che nulla ha a che vedere con le “chiese”. Bellissima, insomma, e piena di “food for thought” quest’ultima edizione di “Senza frontiere/Without borders”. Che, pur essendo Spoleto un’ottima platea, forse meriterebbe un palcoscenico più ampio. Come quello di Roma, dove si sono svolte le prime rassegne e da dove (forse per questioni di miopi politiche) è dovuta emigrare due anni fa.