“L’Italia è meglio dimenticarla”, mi dice perentorio un amico durante una chiacchiera attraverso lo Skype. Il piacere di avere sue notizie dopo tanto tempo; la gioia di averlo trovato in ottima salute; l’accantonamento momentaneo delle ragioni – amarissime – per cui io mi trovo in esilio volontario e anche lo scherzo cui ci viene da fare sulla tecnologia che ci consente di parlare e guardarci in faccia infischiandoci dell’Atlantico che ci separa, come facevano anni fa i protagonisti di “Star Trek”, tutto ciò fa sì che mi produca nella più classica, ovvia, scontata, banale domanda: “Come va?”. Ma a lui in quel momento non importa delle notizie, né della buona salute e neppure dello Star Trek realizzato. La sua risposta sull’Italia da dimenticare è tanto triste quanto arrabbiata.
La tristezza e la rabbia del mio amico viene dalla condizione dei suoi due figli che assieme alle migliaia di loro coetanei hanno “tutta la vita davanti”, per riferire un film di successo che racconta di giovani diplomati, laureati, qualificati a fare non si sa che e devono accontentarsi di un posto in un “call centers” frenetico, disonesto, evanescente, equivoco e anche sospetto di truffa. Se sapranno imparare a imbrogliare i malcapitati cui loro telefoneranno per vendere cose che non servono, forse faranno qualche soldo e data la situazione saranno felicissimi. Avranno in tasca qualche euro, accarezzeranno la condizione di “indipendenza” dai genitori e gli studi fatti saranno dimenticati: da loro e dal Paese che si supponeva dovesse servirsi di loro per progredire in termini di conoscenza, di tecnologia, di civiltà, di cultura.
Che devono fare, quasti ragazzi? La risposta più ovvia è: “Andiamocene, lasciamo l’Italia”, dicono quasi la metà, il 44 per cento, di questi giovani. Forse non sanno con certezza se e quanto altrove le cose siano migliori. Ma ciò che sanno di sicuro è che in Italia non c’è nulla da fare. Recentemente è stata creata un’organizzazione, chiamata AlmaLaurea, che teoricamente mette in contatto i potenziali professionisti e le aziende che potrebbero avere bisogno di loro. Il compito di AlmaLaurea non è solo quello di individuare le aziende che potrebbero assumere qualcuno ma anche quello di assistere il potenziale lavoratore qualificato a inviare l’offerta, a compilare il curriculum vitae, in modo da mettere in moto un andamento che si considera positivo. Sembra una buona cosa, ma somiglia maledettamente a ciò che accadde nell’immediato dopoguerra. Tutta l’Europa era devastata. L’imperativo categorico era ricostruire e come al solito gli altri Paesi la ricostruzione la organizzavano e l’Italia no, col risultato che gli italiani avevano bisogno di lavorare e le aziende europee avevano bisogno di mano d’opera, tanto che Alcide De Gasperi, il capo del primo governo democratico, lanciò la sua soluzione: “Imparate le lingue e andate all’estero”, anche se per i lavori che andavano a svolgere (manovali, minatori) la conoscenza delle lingue non serviva proprio.
Il De Gasperi di fronte alla disoccupazione come l’AlbaLaurea di fronte alla crisi presente? La differenza è nel fondale. Per gli italiani senza lavoro nel dopoguerra, il destino possibile era quello di andarsene all’estero e l’eventuale alternativa era quella di una vita senza lavoro, emarginati, disperati, forse ladri o mendicanti. Per gli attuali giovani disoccupati italiani il destino è quello di andarsene all’estero e l’alternativa è trasformarsi in “bamboccioni” che continuano a stare a casa dei genitori come se avessero 12 o 16 anni. Si presume che la casa dei genitori disponga di riscaldamento, di telefono, di televisore e seppure a malincuore qualche soldo per uscire ogni tanto con gli amici o con la ragazza. Meglio, ma anche per loro la disperazione è lì che li aspetta.