Le apparenze si sa, ingannano. Per esempio, se si pronuncia un nome altisonante come Gennaro Sambiase Sanseverino Duca di San Donato c’è il rischio che chi non abbia mai sentito parlare di questo signore pensi a un vecchio nobile reazionario. Se poi ci si lascia impressionare dalla sua immagine, come appare da un quadro dell’epoca, viene da credere che quello sguardo severo sia il segnale di idee conservatrici. Già la grande barba, bianca e accuratamente incolta, dovrebbe però mettere in guardia. E, in effetti, il “Sindaco dei napoletani” come venne chiamato apparteneva sì a una delle più antiche e aristocratiche famiglie del Regno delle Due Sicilie.
Ma fu invece una figura di spicco nella storia del Risorgimento italiano, proprio per le sue idee liberali. Che lo portarono fin da giovanissimo ad opporsi a quel Re borbone a cui per tradizione avrebbe dovuto giurare fedeltà e lo fecero anche finire dietro le sbarre.
Gennaro Sambiase (1821-1906) fu davvero uno di quei personaggi straordinari che dovrebbero esserci in ogni stagione politica. Ottima quindi l’idea della Società napoletana di Storia Patria gli ha dedicato l’altro ieri una giornata di studi al Maschio Angioino.
Intendiamoci: Gennaro di carattere era a dir poco impetuoso. Poco dopo il suo arrivo a Parigi, dove – liberato di prigione – era scappato nel 1848 travestito da cameriere dell’ambasciata francese e munito di un salvacondotto, un giornalista transalpino scrisse di lui: «A patto che non si lasci ammazzare per la strada, questo giovanotto farà molto cammino».
Dopo appena due mesi nella Villa Lumière, don Gennaro era infatti già al suo quinto duello. Ma il giornalista aveva visto giusto. Dopo essere stato costretto a lungo a restare lontano dalla sua Napoli – oltre a Parigi fu esule a Genova, Londra e Torino – non poteva che finire coinvolto nella guerra d’Indipendenza. Dove piacque subito a un’altra “testa calda”: Giuseppe Garibaldi lo nominò nel 1860 tra i comandanti della Guardia Nazionale, contro l’esercito borbonico.
Anni dopo, nel 1879, l’Eroe dei Due Mondi dedicò una sua fotografia «al carissimo amico mio ed aiutante di campo Duca di San Donato, fratello d’armi nella campagna del 1859 dov’ebbe contegno da prode». Quando, nell’Italia ormai unita, poté finalmente rientrare a casa divenne Soprintendente ai Teatri di Napoli. E, subito, si scontrò con un altro potere: quello della camorra. Subì un a t t e n t a t o , dopo il quale si presentò alle elezioni, vincendole. A quaranta anni entrò a far parte della Camera dei Deputati poi, per due anni dal 1876 al 1878, fu anche primo c i t t a d i n o .
Dalle relazioni degli studiosi che ne hanno parlato al Maschio Angioino – Giuseppe Galasso, Vittoria Fiorelli, Giovanni Brancaccio, Luigi Musella, Rosario Rusciano e Sergio Villari – si è avuta la conferma: in ogni stagione politica ci vorrebbero personaggi di questa caratura. Ogni riferimento alla situazione presente non è assolutamente casuale. DA NAPOLI A MILANO. Di questi tempi la lettura dei giornali può essere deprimente. Per fortuna, girando per i blog, si trovano giornalisti che scovano notizie magari piccole ma incoraggianti. Come ha fatto Paola Pastacaldi (www.paolapastacaldi.it), nota cronista freelance (che i reporter migliori siano quelli “svincolati” dalle testate?). A Milano ha scovato una bella storiella. Quella di un pensionato che abita a Largo Treves, storica e bella piazzetta a due passi dal Corriere della Sera. In mezzo c’è un bagolaro, cioè un albero dalla chioma folta (nome scientifico: Celtis Australis). Splendida pianta ma ridotta in condizioni terribili, circondata da rifiuti e mal curata.