Anche un buon federalista dovrebbe ammettere che il Paese, in questo momento, ha soprattutto bisogno di buoni prefetti». Si chiude così l’editoriale di Sergio Romano pubblicato a metà settimana sulla prima pagina del Corriere della Sera. Un articolo pesante ma definitivo. Sancisce la fine di un progetto su cui per anni ha campato la Lega di Umberto Bossi. Un progetto che, se sta fallendo, non è certo perché il federalismo sia una forma politica e amministrativa sbagliata – USA e Germania, per fare due soli esempi, ci dimostrano che funziona – ma perché da noi il processo di trasformazione verso il nuovo modello è stato gestito in maniera pessima. O meglio: non è stato gestito proprio, se non a parole quando non a parolacce, insulti e offese fuori luogo.
Il partito del Senatùr si è mostrato più interessato a non far pagare le tasse ai suoi elettori (una minoranza) che a realizzare sul serio il progetto. Sergio Romano, ex ambasciatore e commentatore acuto e smaliziato di affari internazionali, è un analista serio: i suoi giudizi difficilmente sono sbilanciati. Se scrive che «la crisi ha avuto un grande merito: ha scoperchiato la pentola del cattivo federalismo e ha reso ancora più evidenti gli sprechi di cui è responsabile» lo fa sapendo di non poter essere smentito. Ovviamente da via Bellerio, sede della razza padana, le proteste si elevano acute. Ma la realtà è questa: i pochi tentativi fatti nei lunghi anni in cui il precedente governo è stato ostaggio dei leghisti sono stati tutti negativi. Da quelli sulla sanità, su cui è davvero necessario intervenire ma in maniera seria e realmente propositiva, all’ICI l’imposta comunale sugli immobili oggi diventata IMU, imposta municipale unica: nulla ha funzionato.
Per dirla sempre con Romano: «La Sanità è certamente una competenza regionale, ma il federalismo sanitario si è rivelato molto costoso e ha avuto l’effetto di rendere ancora più drammaticamente visibile il divario di efficienza tra le regioni del Nord e quelle del Sud». Eccetera, eccetera. Giusto quindi, anche se triste, il titolo con cui il Corrierone sintetizza l’editoriale: «C’era una volta il Federalismo». Ancora più impietosa la profezia nella riga dell’occhiello, il sovratitolo: «Una marcia interrotta (forse per sempre)». Amen. Il che non significa che a livello locale non ci siano buone iniziative. Che, anzi, dopo essere state testate territorialmente potrebbero essere realizzate anche a livello nazionale. Penso all’idea di Renata Polverini, controversa ma “tosta” presidentessa della Regione Lazio. La Sanità naviga in cattivissime acque, sia nella sua Regione sia un po’ dappertutto nel Paese? Lei ha avuto un’idea: un accordo con le strutture mediche delle Forze Armate. Se ne parla poco, ma Esercito, Marina, Aeronautica dispongono di ottimi medici, infermieri e apparecchiature sanitarie. Sono impiegati, solitamente bene, nelle missioni all’estero. E’ vero: per lo più sono specializzati negli interventi di emergenza e in quelli più specificamente legati ai traumi bellici. Ma nel complesso la macchina medica con le stellette è ottima. E allora perché non pensare di affiancare i medici militari a quelli civili? Mi sembra una buona pensata. Vedremo che cosa ne uscirà.
CONCORDIA? ALLEGRA? Forse alla Costa Crociere dovrebbero ripensare i nomi con cui battezzano le proprie navi per turisti. Questo è un momento internazionalmente complicato per l’immagine della nostra marineria da diporto. Dopo la figuraccia di Francesco Schettino, il comandante della Concordia che ancora prima di essere processato passerà per sempre alla storia, a torto o a ragione e senza volersi sostituire alla magistratura, come il “capitano che ha abbandonato i passeggeri”, ora ci mancava solo che girassero per tutti i televisori e i computer del mondo le meste immagini della Allegra rimorchiata da un peschereccio francese. Sommesso suggerimento per i dirigenti della Costa: un pellegrinaggio a San Gennaro o al Santuario del Divino Amore, no?