Ma che cos’è questa storia dell’abbandono della carica di capo del governo a scoppio ritardato?
Mi ero detto mercoledì scorso (mentre scendevo dal salto che avevo appena fatto), quando i siti dei giornali italiani avevano dato la notizia alquanto buffa del patto che era stato stretto fra Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano, vale a dire l’uomo che con la sua stessa presenza aggrava la crisi italiana e l’uomo che sta sputando sangue per farci risalire dal baratro in cui l’Italia è sprofondata.
Berlusconi aveva promesso di dimettersi, prendendo atto della votazione che aveva decretato la fine della sua maggioranza, ma prima aveva chiesto che gli si desse il tempo di varare una cosa chiamata “legge di stabilità” per rispettare le aspettative dell’Europa e dei mercati finanziari. Trattandosi di Berlusconi dovrebbe essere automatico “to smell a rat”. Ma….
E’ una legge urgentissima e indispensabile, aveva spiegato Berlusconi. Il suo compito è quello di garantire la riorganizzazione dell’economia italiana, la permanenza dell’Italia nella zona dell’euro e forse perfino la sopravvivenza
dell’euro medesimo, per non parlare del costante aumento dello “spread” che rende ogni giorno più basso il valore dei titoli di credito dello Stato italiano e quindi i risparmi di un gran numero di citadini italiani. Poteva Napolitano rifiutarsi, di fronte a un tale cataclisma?
Siccome sembrava alquanto riluttante, Berlusconi aveva solennemente promesso che il suo governo non sarebbe sopravvissuto un minuto di più dopo il varo della cosa chiamata “legge di stabilità”. Alla fine Napolitano aveva accettato il patto senza neanche che Berlusconi dovesse sfoderare il suo classico “lo giuro sulla testa dei miei figli”.
Uno come Napolitano non poteva certo accontentarsi di quel ridicolo giuramento usato centinaia di volte, nel corso di diciassette anni, di fronte ai cretini del “Meno male che Silvio c’è”.
La garanzia, secondo il presidente della Repubblica, stava nel fatto che l’accordo era stato subito reso pubblico da lui stesso. Dal momento che tutti saranno al corrente del patto stipulato – era stato il suo ragionamento – Berlusconi non potrà ricorrere ai suoi soliti trucchi e “ripensarci”. Ma quel ragionamento apparteneva alla categoria dei galantuonimi, non alla categoria di Berlusconi. E’ quella la ragione del salto che ho fatto io, assieme a tanti: i tantissimi che da anni ascoltano i suoi discorsi, trovando sempre una media di una bugia in ogni decina di parole.
Se poi Berlusconi ci ha “ripensato” o no, io non sono in grado di dirlo perché i problemi tecnici di America Oggi impongono che gli articoli destinati a uscire la domenica devono essere scritti alcuni giorni prima. Ma quanto ai trucchi, ce ne sono a bizeffe, sia sul piano della meccanica che su quello dei contenuti.
La meccanica è che la cosiddetta “legge di stabilità”, consistente in un chilometrico emendamento che ben pochi hanno letto, per essere una legge “vera”, deve essere votata e approvata dalla maggioranza della Camera e del Senato. Dunque, se la legge presentata da Berlusconi viene varata vuol dire che lui ha recuperato la sua maggioranza. E perché allora dovrebbe dimettersi?
I contenuti stando a quelli che si sono avventurati a leggere la trentina di impenetrabili pagine, sono quelli classici delle sue leggi ad personam. Oltre alle tante norme destinate a conservarlo ancora al riparo dalla giustizia, ce ne sono di inedite: quelle che cambiano le norme sull’eredità.
Lui infatti desidera privilegiare i figli avuti dalla prima moglie e collocare in fondo all’autobus Veronica e i figli da lei avuti.
Così ottiene anche una vendetta nei confronti della seconda moglie che lo accusò per prima come “uno che va con le minorenni”.
Insomma l’andamento sta emanando un fortissimo puzzo di “diamogli ciò che vuole purché se ne vada”. Il che farebbe dell’Italia berlusconiana e quella post-berlusconiana, due leggiadre gocce d’acqua.