Parliamo d’altro, che è meglio. Quello che sta succedendo – e facendo affondare l’Italia – è sotto gli occhi di tutti. Parliamo, per esempio, del Faro del Gianicolo (nella foto). Uno dei monumenti meno conosciuti e più bistrattati di Roma. Voluto cento anni fa dagli emigranti italiani in Argentina, come memoria e omaggio alla Patria lontana, non ha mai goduto di particolari attenzioni da parte delle varie amministrazioni cittadine.
A conferma dello scarso e ben noto disinteresse degli italiani d’Italia verso gli italiani con la valigia di cartone. E, oggi, con la valigetta e il computer, non è cambiato nulla. Un gesto nuovo, però, è stato fatto. Il faro era stato progettato per fare… il faro, appunto. E, tra l’altro, venne costruito, nel lontano 1911, in appena un anno. Mentre oggi la realizzazione dei semplici pannelli esplicativi per i turisti ha richiesto…quattro anni.
Comunque, come, dicevo il faro avrebbe dovuto avere una luce, che, invece, è spenta da tempo immemorabile, credo da sempre.
La sottoscritta, per esempio, pur cominciando ad avere una certa età, non l’ha mai visto acceso. Non più, ora. Il faro è stato riacceso e, visto che questo è pur sempre il 150esimo dell’unità d’Italia, avrà una luce tricolore: bianco, rosso e verde come la bandiera. Dovrebbe essere un bello spettacolo visto che il faro domina la città dalla passeggiata del Belvedere del Gianicolo.
Servirà a ridare un po’ di fiducia a un Paese in allarme estremo? Presto per dirlo. Intanto un grazie va a un’associazione privata, la Amilcare Cipriani, promotrice dell’iniziativa.
Se aspettavamo i finanziamenti pubblici, il piccolo obelisco restava spento per altri cento anni. Comunque, il sindaco Gianni Alemanno è andato all’inaugurazione, assieme all’ambasciatore argentino in Italia: non sia mai che un politico si perda l’occasione di tagliare un nastro.
UN PO’ DI OTTIMISMO: la rinascita italiana partirà dal… bagno. Ne sono (quasi) sicura dopo avere visto i numeri messi in campo da Cersaie, il salone internazionale per l’edilizia e l’arredobagno tenutosi questa settimana a Bologna. Il settore, nonostante i problemi generali, chiuderà l’anno con un lusinghiero +3 per cento di fatturato.
Le esportazioni sono in crescita: tra il 6 e l’8 per cento verso paesi importanti come Francia, Germania e Gran Bretagna. In mercati nuovi e ricchi come la Russia del dopo comunismo l’aumento delle vendite è addirittura del 14 per cento. Incoraggiante anche l’export verso la Cina, cioè il vero mercato del futuro e già del presente. Non è certo un caso, quindi, se a Bologna un terzo degli espositori sono stati stranieri.
Ecco: questa è l’Italia che funziona, quella che aveva fatto il boom economico degli anni Sessanta e della rinascita dalle macerie della guerra, che aveva portato nel 1960 la vecchia lira tanto bistrattata a vincere l’Oscar della stabilità monetaria (sembra incredibile, ma è successo davvero). Se non ripartiamo da qui, dalla operosità delle piccole e media imprese che fecero la fortuna del Made in Italy coniugando – come nel caso delle “umili” piastrelle da bagno – l’inventiva industriale alla unicità del gusto italiano, temo proprio che non avremo più speranze.