Ci sono grosso modo due partiti nel campo anti-berlusconiano: il partito dello "sbattetelo in galera" e il partito del "lavoriamo per sconfiggerlo politicamente". I due gruppi militanti non sono molto lontani gli uni dagli altri, naturalmente, ma è innegabile che il percorso degli "sbattenti" e quello dei "politici" siano alquanto differenti sul piano della preferenza, su quello dell’azione concreta ed anche, ovviamente, del "rapporto", chiamiamolo così, con quelli che invece il Berlusca lo amano tanto. Per loro, naturalmente, gli sbattenti sono dei forcaioli che siccome non riescono a riempire le schede elettorali si attaccano alla giacca dei magistrati, mentre i politici li considerano semplicemente degli sbattenti mascherati.
Recentemente è accaduto che il destino abbia regalato agli sbattisti una bella torta a base di meringhe, pasta di castagne, pezzetti di torrone e tante altre cose impegnate a combattersi fra di loro per decidere chi era più dolce, sottoforma di inizio del processo "nipote di Mubarak"; mentre ai politici lo stesso destino, per non essere "cinico e baro" (come diceva il più mediocre dei presidenti della Repubblica: quello che come eredità lasciò le cantine del Quirinale svuotate di tutto il vino che c’era), ha riservato un gigantesco, dolcissimo strudel, vestito da elezioni comunali che hanno fatto gridare "siamo tutti milanesi" e da referendum che per Berlusconi è stato la botta più micidiale perché fra le varie cose travolte dai votanti c’era anche il suo gioiellino chiamato "legittimo impedimento" che aveva il compito di consentirgli di mandare a quel paese i giudici quando gli fosse parso e piaciuto.
Non so se e quanto il partito dei politici abbia esultato per il processo "nipote di Mubarak", ma quelli del partito degli sbattisti si sono ubriacati di gioia anche per il risultato delle urne. Lo so perché anch’io faccio parte di loro. Sì, se devo scegliere preferisco lo sbattismo. Non perché mi ritrovi un’anima giustizialista, ma perché la "via politica" è stato lui, Silvio Berlusconi, a scartarla. L’ha scartata quando l’ha tenuta fuori della porta mentre concludeva affari nei suoi viaggi ufficialmente "di Stato"; l’ha semplicemente scaraventata a terra quando faceva le corna nelle foto ufficiali; quando esortava gli imprenditori di Wall Street a investire in Italia perché le segretarie sono carine; quando con le sue buffonate si faceva dare dell’unfit dall’Economist e perfino ora, in questa crisi in cui si ritrova, ha pensato di salvarsi regalando un posto di sottosegretarito a un gruppo di sciagurati in cambio del loro voto.
La "via giudiziaria", invece, più che preferirla lui l’ha proprio inventata: facendosi votare quella quarantina di leggi fatte apposta per lui e incanalando la propria condotta sul solo concetto di non rispettare mai le regole. Il che ha funzionato con i poco intelligenti politici italiani, che hanno preso a "imitarlo" come scimmiette, ma non con i preparati e agguerriti magistrati, tra cui quelli che si sono fatti comprare da lui sono pochi e in buona parte smascherati. Quello che vendendosi a suo tempo gli fece vincere il Logo Mondadori è finito in galera e proprio in questi giorni quel nodo è arrivato al pettine e "entro il 26 luglio", ha detto il fido avvocato Ghedini, verrà pagato il risarcimento di 560 milioni di euro. E quanto a quel membro della Corte Costituzionale che alla faccia dell’etica e del pudore partecipò a una riunione con Berlusconi, Ghedini e altri in vista di una riunione in cui la medesima Corte Costituzionale doveva deliberare su uno dei tanti comportamenti incostituzionali del suddetto, si ritrovò sputtanato e deriso da tutti.
E tutto ciò dovrebbe essere osservato con occhio "politico"? Ma non scherziamo. A Berlusconi non interessa la politica, i suoi interessi sono gli affari, meglio se fuori dalle regole. E’ il re dell’ingiustizia ed è bene che se la veda con coloro che la giustizia l’amministrano.