Nella foto Massimo Ciancimino
"Dell’Utri tiene Berlusconi per le palle". Così parlò Don Vito Ciancimino secondo il figlio Massimo. Così avrebbe detto Don Vito da Corleone al figlio per per spiegargli che il Cavaliere miliardario proprietario di tv e che nel ’94 si accingeva a scendere in campo, non era un mafioso, ma era ricattabile. Addolorato, Don Vito spiegava al figlio, secondo sempre il racconto di Massimo fatto ai magistrati e contemporaneamente al giornalista Francesco La Licata per un bel libro appena uscito e, appena giovedì, anche in tv ad "Anno Zero", che il ruolo mantenuto per oltre trenta anni di intermediario tra Stato e Cosa Nostra era ormai finito, al posto suo il boss Provenzano gli annunciava che era subentrato Marcello Dell’Utri. Cioè l’attuale senatore palermitano, ex collega di università a Milano di Berlusconi, poi tra i più importanti dirigenti nelle sue aziende e "inventore" del Partito Forza Italia e della discesa in politica del Cavaliere.
Quando Provenzano avrebbe annunciato, sempre secondo il racconto di Massimo Ciancimino (le sue testimonianze verbali sono in parte supportate anche da "pizzini" di Provenzano e lettere scritte dal padre) il "pensionamento" di Don Vito, le stragi di Falcone e Borsellino erano già avvenute. Ma, secondo Massimo, il padre continuerà a vedere "l’ingegnere Lo Verde", cioè il super latitante "imprendibile" Provenzano, fino al 2000. Non in chissà quale campagna sperduta, ma a casa Ciancimino!
Come? Vi sembra incredibile? Assurdo, come credergli?
Quello che di questi tempi è sorprendente e rivoltante delle "reazioni" degli opinionisti alla Minzolini, che bollano questi scenari subito come "minchiate", è l’assoluta ignoranza del fenomeno mafia. Bernardo Provenzano, che sia chiaro a tutti, è stato latitante per 40 anni, non perché fosse bravissimo a nascondersi sotto false spoglie, ma perché non lo hanno voluto trovare. Così lo stesso boss Totò Riina, che infatti davanti ad una delle prime udienze davanti al giudice, finalmente "catturato", alle contestazione della sua decennale latitanza rispose, e qui cito a memoria: "Signor giudice, io prendevo l’autobus, il treno, andavo di qua, di là, che so che mi cercavate…".
Nella trasmissione di Santoro, significativo l’intervento di Benedetta Tobagi, figlia del giornalista ucciso. Ha detto che quando non ci può più arrivare la giustizia, devono essere gli storici a far sapere la verità al popolo italiano. Ma sui rapporti tra Stato e Mafia, gli storici, e non c’è bisogno di andare all’estero – esempio il bel libro di Salvatore Lupo tradotto anche dalla Columbia University Press – hanno già trovato i documenti per scrivere ciò che basta per poter interpretare correttamente la mafia e il suo rapporto con lo stato italiano. Basterebbe leggere degli avvenimenti in Sicilia subito dopo l’Unità d’Italia, e via via con gli anni, con Mussolini (unico a dichiarargli, ma solo per un po’, guerra), lo sbarco alleato, Giuliano e Portella della Ginestra, e così via, fino ai cadaveri eccellenti e il gran "botto" di Falcone e Borsellino.
La mafia senza il rapporto con lo stato, Regno d’Italia appena nato o Repubblica che sia, non esiste. C’era già 150 anni fa, ma la mafia ha preso il potere in Sicilia grazie ai piemontesi. Al Festival di Cannes è stato appena ripresentato "Il Gattopardo" di Visconti, che fa onore al romanzo di Lampedusa. Riguardatevi il film, lì c’è tutto, chiarissimo.
Chi scrive è cresciuto nella Palermo della mattanza mafiosa, accanto a coraggiosi ragazzi che poi, invece di fuggire, si sono sacrificati per uno Stato che invece li ha calpestati, come Emanuele Piazza, un eroe di cui solo ora si parla a proposito delle indagini sull’attentato a Falcone dell’Addaura. Ai genitori in pena per la sua scomparsa, si diceva che Emanuele era fuggito con una donna in Tunisia… Così avrebbe fatto un altro Stato?
Non so se sapremo mai se veramente le "palle" di Berlusconi siano state o sono ancora nelle mani della mafia. Saranno i giudici a dircelo? Più probabile che toccherà agli storici. Ma che per 150 anni lo Stato italiano si sia servito dei mafiosi come "strumento di potere locale" e la mafia, come direbbe Don Vito, ha tenuto l’Italia per le palle perché ai Palazzi di Roma conveniva così, per chi scrive è una certezza assoluta.