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June 6, 2010
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Virzì: “Non c’è nulla di più noioso che usare un film come sfogo”

Gina Di MeobyGina Di Meo
Time: 3 mins read

 di Gina Di Meo

Dopo una pausa di qualche anno, Paolo Virzì torna a Open Roads per la quinta volta con La prima cosa bella. La sua ultima apparizione risale al 2004 con Caterina va in città.

Il regista livornese ha all’attivo nove pellicole ed è considerato tra i principali eredi della tradizione della commedia all’italiana.

Il suo ultimo film La prima cosa bella ha vinto tre David di Donatello: miglior sceneggiatura, miglior attrice protagonista (Micaela Ramazzotti) e miglior attore protagonista (Valerio Mastandrea).

Paolo, il suo film è ambientato principalmente tra gli anni ’70 e ’80. Nostalgia del passato?

«Non c’è uno sguardo nostalgico verso il passato. Anzi, il pratogonista non ne ha affatto un’idea lieta, vuole dimenticarlo. A quell’epoca non si viveva tanto bene, si veniva da condizioni disagiate anche se la protagonista (Anna, nel ruolo della mamma, ndr) con il suo modo di fare rende tutto più semplice, più allegro».

La storia è ambientata a Livorno, la sua città natale, ci sono spunti autobiografici?

«Credo che non ci sia nulla di più noioso che usare un film come sfogo. La storia che racconto è frutto dell’immaginazione anche se si nutre di cose reali della vita. Credo anche che sia naturale attingere dalla propria biografia per avvicinarsi al reale ma ribadisco non come uno sfogo».

Il personaggio di Anna è identificabile con una tipica mamma italiana, soprattutto dell’epoca. Credo che soprattutto per una certa generazione è stato quasi naturale metterlo in relazione con il proprio passato.

«Sì, in effetti questa cosa mi è stata fatta notare più volte. Gli anni ’70 vengono dopo un periodo di estrema povertà, si iniziava ad uscire dalla miseria e ad intravedere il benessere. C’era ottimismo, cosa che forse la generazione attuale non ha. Nel film è chiaro il confronto tra madre, che pensa positivo, e figlio, che invece esprime negatività».

L’attrice protagonista, Micaela Ramazzotti, è anche sua moglia, com’è stato lavorare assieme? E stata l’unica candidata alla parte?

«Beh, diciamo che quando lavoro mi piace ricreare una famiglia e circondarmi di gente che mi vuole bene e Micaela è una di queste. Lei è stata scelta tra una sessantina di attrici ed era talmente aderente al personaggio di Anna che quasi mi ha ispirato. Possiede quel tipo di erotismo infantile, inconsapevole, e che fa parlare».

Il film è stato premiato con i David alla sceneggiatura, miglior attore protagonista e miglior attrice protagonista. Era candidato anche per la regia ma alla fine il premio è andato a Giorgio Diritti per L’uomo che verrà, come l’ha presa?

«Va bene così. Nella mia carriera ho avuto tanti premi, ma quello che più conta per me è l’affetto del pubblico e con questo film me lo hanno dimostrato in tanti. Nel primo week end di programmazione il film ha incassato quasi un milione e mezzo di euro».

Secondo lei attualmente in Italia si sta facendo un buon cinema?

«Credo che questo sia un bel momento per i film italiani. Il cinema italiano è la cosa più viva al momento nonostante la crisi del nostro paese e nonostante i nostri politici dicano che il nostro cinema è triste. In realtà è in grande salute e lo dimostra il botteghino dove il 35% degli incassi è prodotto proprio da pellicole italiane».

Sembra che vada molto di moda un cinema che fa divertire anche toccando aspetti tragici. Lei cosa ne pensa?

«La caratteristica di combinare comico e drammatico è molto italiana e credo sia anche una cosa inevitabile. Trovo che il dramma da solo rischia di diventare omelia, così come il comico da solo rischia di cadere nella stupidità».

Il messaggio finale del suo film?

«Non mi sento di fare lezioni… forse che la vita va vissuta e che vale anche la pena di sbagliare».

 

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