“L’obiettivo era creare connessioni a sostegno della cucina italiana – commenta Erica Di Giovancarlo, direttrice dell’Agenzia ICE per il Nord America, a conclusione del Summer Fancy Food 2024. – Riunire le aziende per promuovere più prodotti contemporaneamente, nella creazione finale di un piatto”. E ha dimostrato essere la ricetta vincente: “Il consumatore vede tutta la funzionalità della materia prima. E stando ai sorrisi, ai ringraziamenti, ai commenti positivi e alla quantità di persone che sono venute a visitare il nostro padiglione, direi che ci siamo riusciti”.

Finito il Summer Fancy Food 2024. Cosa succede dentro all’Agenzia ICE?
“Noi ricontattiamo tutti gli espositori, raccogliamo i dati, ci confrontiamo con gli organizzatori – fra Specialty Food Association e Universal Marketing – controlliamo com’è andato facendo delle verifiche di efficacia ed efficienza. E recuperiamo anche tutto l’arretrato (ride, ndr) perché questo ufficio macina parecchio”.
E quali sono i primi risultati a distanza di 72 ore dalla chiusura?
“I dati ufficiali non sono ancora usciti. Ma ci è stato detto che i numeri record dello scorso anno sono stati ampiamente superati, che significa che ci stiamo muovendo oltre i 30.000 operatori del settore che hanno visitato la fiera e più di 800 giornalisti e influencer distribuiti su 3000 aziende espositrici, il cui 10% era italiano. A livello visivo, girando per i corridoi al Javits Center, abbiamo avuto la percezione che il padiglione italiano è stato il più frequentato – nei momenti di punta era sempre pieno. È stato molto movimentato anche grazie agli eventi che abbiamo organizzato”.

Quali ricorda fra i più frequentati?
“Molte aziende hanno sfruttato lo spazio che abbiamo messo a disposizione per presentare i loro prodotti, preparare dei piatti e spiegarli, offrire degustazioni di cibo e vino. Fra i tanti, chef Bobo Cerea ha cucinato i suoi famosi paccheri alla Vittorio. Un altro spazio importante è stato quello di Coldiretti con diversi seminari fra cui uno organizzato dalla Guardia di Finanza per parlare dell’Italian Sounding. I nostri prodotti sono di alta qualità e buonissimi quindi si prestano facilmente a essere imitati, ma le copie non hanno lo stesso sapore, prezzo e soprattutto valori nutrizionali, oltre che un mancato fatturato per l’Italia. È un atteggiamento radicato: è comprensibile che gli italiani che si trasferivano qua cinquant’anni fa non trovassero gli ingredienti ma che volessero riprodurre la stessa cucina.
Quali sono le soluzioni da applicare?
“Dovremmo intervenire non solo con campagne promozionali, ma educando su tutti i livelli a tutela della popolazione e della cucina italiana. Questi momenti di show cooking, seminari sono utili per arrivare al distributore e direttamente al consumatore. Potremmo avere ulteriori risultati organizzando delle lezioni nelle scuole per sottolineare le differenze nella qualità e nei valori nutrizionali. Oppure andando nelle cliniche e proponendo di inserire la dieta mediterranea nelle mense. Non c’è bisogno di usare il tartufo, ma basterebbe scegliere delle materie prime di qualità per creare piatti semplici”.