La comunità di Corleone è ancora tristemente collegata alla mafia. Nella piccola comunità corleonese, però, altrettanto forte è la storia dell’antimafia, così come pugnace è il desiderio di scrivere e diffondere una narrativa diversa del paese che valorizzi la sua storia e il suo patrimonio naturalistico e monumentale rimasto in secondo piano. Una rinascita che vuole partire dalla terra, la sua ricchezza più grande, recuperando la tradizione agricola e di trasformazione che vede tanti ventenni e trentenni oggi protagonisti con produzioni di vino, olio, mandorle, pasta, biscotti, mieli, formaggi, legumi e prodotti particolari quali il pomodoro “siccagno” che si coltiva senza acqua ed è un concentrato di sapore ed antiossidanti.
Si può partire dalla visita dell’ex convento al centro del paese dove ha sede il CIDIM, il Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia e sull’Antimafia, creato nel 2000. Qui sono custoditi i faldoni del maxi processo del 1986 e foto di Letizia Battaglia, ma anche documenti che ricordano le lotte contadine per la terra ed i primi tentativi di fare economia sana nelle terre confiscate ai mafiosi. Un paese che dall’essere considerato la capitale della mafia, e quindi della illegalità e della prepotenza, adesso vorrebbe proporsi invece come esempio virtuoso, all’opposto, di collaborazione. Un gruppo di produttori ha creato un sito di vendita online, definito “putìa” (negozio, in siciliano) – bottegacorleone.com – che spedisce già in tutta Italia, ed una parte dei prodotti è anche certificata biologica. Anche se i problemi non sono spariti, ed i produttori lamentano soprattuto ancora inefficienze amministrative e mancanza di buone strade di collegamento.
Proprio da una delle vecchie strade del paese, via Lombardia, si arriva alla Cascata delle due rocche alimentata dalle acque del fiume San Leonardo che è un affluente del fiume Belice. Alta circa 4 metri, la cascata si trova inaspettatamente a pochi passi dal centro storico e vi si possono ammirare vicino anche un ponticello e un acquedotto arabo medievale, tra rocce che rappresentano un unicum geologico denominato “calcarenite glauconite di Corleone”, dalle sfumature giallo-verdastre, la cui composizione chimica non si riscontra in nessun’altra parte del mondo. Vicino c’è il Monastero del SS. Salvatore con un chiostro seicentesco bellissimo e un campanile con magnifica vista sul paese.

Il nome poi della strada, via Lombardia, ricorda un episodio illustre della vita della cittadina, quando arrivarono i Lombardi (ma anche dei Piemontesi) autorizzati da Federico II a colonizzare le fertile terre da cui erano stati cacciati gli arabi infedeli. All’epoca, infatti, l’emigrazione avveniva da nord a sud, qui erano le terre più ricche e più civili, ed è di storie e luoghi come questi che Corleone vuole adesso si parli di sé. Nel 1282, la comunità lombarda di Corleone si rivelò una preziosissima alleata di Palermo nella Guerra del Vespro che si concluse con la cacciata degli Angioini dalla Sicilia. E’ un racconto, quindi, di rapporti stretti e complicati tra Palermo e Corleone che arriva alla guerre di mafia e ai nostri giorni, e non si può comprendere a fondo Palermo senza conoscere Corleone, ma entrambe le città stanno cercando adesso di voltare una volta per tutte la pagina della mafia e di consegnarla dalla cronaca alla storia.
A Palermo, in particolare, si stanno adesso riscoprendo quegli studi nel settore vitivinicolo che l’avevano resa celebre in passato a livello mondiale. E’ finalmente visitabile da quest’anno il vivaio Federico Paulsen, definito anche “la cassaforte” della biodiversità in Sicilia.

Il Vivaio nacque nel 1885 per fronteggiare l’emergenza della fillossera e nel 2005 è stato intitolato allo studioso Federico Paulsen che per oltre cinquant’anni lo ha guidato creando, con il suo gruppo di lavoro, gli ibridi tra piede di vite americana selvatica e vite fruttifera europea che resero possibile la ricostituzione in tutta Europa dei vigneti colpiti dalla fillossera, ibridi che ancora oggi sono utilizzati. Qui sono coltivate con grandi precauzioni, con doppia porta d’ingresso e terreno ricoperto di plastica per evitare contaminazioni, piante di vite non innestate, nonché vi si trova una raccolta unica di centinaia di foglie di differenti cloni di viti europee ed americane da cui con le tecniche di oggi è possibile ricavare il DNA in caso di necessità.
Un percorso che non può non continuare nella Vigna del Gallo, dal vecchio nome della contrada, dell’Orto Botanico di Palermo, progetto dedicato al grande produttore siciliano di vino Diego Planeta, esempio di vigna urbana dove sono coltivate specie antiche siciliane, le cosiddette specie “reliquie”, quasi duecento viti che sono un esempio unico di biodiversità vitivinicola, curato dall’Università di Palermo in collaborazione con il Consorzio della DOC Sicilia. Preservando il passato qui si assicura anche il futuro della viticultura siciliana.
Le cantine dell’isola sono molto attente al tema della biodiversità e della sostenibilità. Per la manifestazione “Calici di Stelle” nella cantina di Donnafugata di Contessa Entellina, ad esempio, ad un suggestivo spettacolo di luci e suoni è stato abbinato un percorso espositivo che mette ben in evidenza le differenze di paesaggio delle cinque diverse tenute di proprietà – gli agrumi antichi a Marsala, la macchia mediterranea a Pantelleria, gli ortaggi ad Acate, il bosco e il sottobosco sull’Etna, il giardino di piante esotiche ed autoctone a Contessa Entellina – in tutte le tenute si produce vino, ma in ecosistemi e condizioni di suolo e di clima molto diversi. La sfida oggi è dunque, con l’aiuto della scienza, di valorizzare al meglio tali differenze seguendo le indicazioni che i paesaggi tradizionali ci hanno lasciato in eredità.