Vi piace sentirvi “lontani”? Andate alle Aran, e andateci prima che la primavera esploda. Nel 1934 lo statunitense Robert J. Flaherty , pioniere del documentarismo, ci girò uno dei primi esempi di docufiction, Man of Aran, o L’uomo di Aran, primo premio alla Mostra del cinema di Venezia. La pellicola raccontava la dura vita dei pescatori in questo remoto arcipelago di fronte alla costa Ovest dell’Irlanda, composto da tre isolette calcaree, quasi prive di vegetazione, perennemente spazzate dal vento e dalla pioggia. Doveva essere un documentario. In realtà esigenze estetico-artistiche ne fecero una sorta di film drammatico, che poggiava comunque su una base documentaristica reale.
Sì – ci conferma l’autista che ci porta in giro per Inishmore, o Inis Mór, 850 abitanti, la maggiore delle tre isole dell’arcipelago – mio padre si ricordava di quando girarono il film. Tutta la popolazione venne coinvolta, in un modo o nell’altro, fu un’avventura per l’isola. Ma alcune situazioni, come quella della caccia agli squali, furono inventate dal regista”.

Oggi le Aran si raggiungono dalla baia di Galway, in battello, con un viaggio di circa tre quarti d’ora, un po’ avventuroso se il mare è mosso, o con un piccolo aereo della Aer Arann dal Connemara Airport.
Al porto di Inis Mór, Kilroan, troviamo alcuni bed & breakfast e ristoranti, The Bar, pub che la scritta all’ingresso descrive come “uno dei più vecchi bar dell’Atlantico” (pieno di rimandi all’America, compreso un grande poster di Bob Dylan proprio all’ingresso), un efficiente ufficio turistico e soprattutto un fantastico emporio dove acquistare i famosi maglioni delle Aran. Per il resto, ad accogliere il viaggiatore fuori stagione, solo il vento e la pioggia, oggi come allora.
Dominano il paesaggio i muretti a secco. Le Aran sono isole pietrose. Il terreno è quello del Burren, che domina anche nella vicina costa del Connemara.

Inis Mór la si può girare a piedi o in bici. Ad attendere l’arrivo del battello dalla costa irlandese, al mattino, ci sono anche alcuni pulmini che accompagnano i viaggiatori a visitare le attrazioni più importanti (d’estate persino calessi trainati da cavalli). La principale è il grande forte di pietra dell’Età del Ferro, Dun Aengus, in cima ad un’alta scogliera, che gli isolani consideravano un luogo fatato (le fate, in Irlanda, vanno prese sul serio). Il Black Fort però è altrettanto suggestivo: lo si raggiunge solo a piedi dal porto, risalendo una collina e poi costeggiando scogliere spettacolari. Quando ci arriviamo, il panorama è grandioso e desolato. All’improvviso il vento smette di incalzare, il cielo di apre. Se sciabola un arcobaleno, fra terra e cielo, potrebbe essere il Walhalla.
Le Aran sono una roccaforte del gaelico, la lingua parlata a queste latitudini prima della colonizzazione dell’inglese. La guida ci mostra una piccola scuola nell’interno. “D’estate resta aperta per accogliere i bambini del circondario e far fare loro pratica con l’antica lingua d’Irlanda”.

Fuori Kilroan, le case – alcune ancora con il tetto di paglia, come vuole la tradizione – si distribuiscono tutte lungo la costa Est, quella più bassa, che guarda verso l’Irlanda. A volte ci sono le foche, ma non oggi. Visitiamo le Sette chiese (in realtà quelle rimaste sono due), ovvero i resti di un complesso monastico risalente all’ottavo secolo. Arriviamo in fondo all’isola. “Lì – ci dice ancora il nostro ‘uomo di Aran’, indicandoci una casetta affacciata sull’oceano – ci abita un’italiana. È arrivata 10 anni fa. Very nice woman. Organizza corsi di yoga”.
Qui l’asfalto finisce. Possiamo solo bagnarci di questa luce accecante, ora che le nuvole si sono diradate. Oltre un breve braccio di mare, alcuni scogli e un faro segnano la fine delle terre emerse in questa parte d’Europa. “Più in là, my friend, c’è solo il Canada”.

Non fate i turisti mordi e fuggi. Anche se potreste tornare alla vivace Galway con il battello della sera, restate a dormire. La notte è magica e se viaggiate fra settembre e maggio al pub potreste essere gli unici stranieri. Bevete una Guiness. Ordinate una zuppa di pesce. Rimanete lì come fanno i locali, senza alcuno scopo in particolare, se non scambiare due chiacchiere, guardare la tv e sentire il suono ovattato del tempo che passa. Poi uscite nella notte atlantica, alzate la testa. Guardate quante stelle in cielo.