Nicola, il giovane receptionist dell’Hotel Modigliani, aveva deciso di passare il proprio giorno di riposo in compagnia della sua bella fidanzata, Susanna. Era una bellissima giornata di sole, forse un po’ fredda, ma era normale, poiché era il 22 gennaio. Erano andati a Anzio, a vedere il mare. Avevano mangiato in un piccolo ristorantino e ora stavano passeggiando lungo il porto, osservando le tante imbarcazioni dei pescatori che erano ormeggiate lì. A un certo punto la loro attenzione fu attratta da un signore anziano. Era un bell’uomo, molto alto, i capelli bianchi. Stava lì in piedi, le mani in tasca e guardava il mare.
“Ma io lo conosco quel signore!”, esclamò Nicola. “E’ il signor Douglas, un americano che è arrivato ieri in albergo. Gliel’ho fatto proprio io il check in.”
“Ma quanti anni ha?”, domandò Susanna.
“Se ricordo bene, ne ha più di novanta.”, rispose Nicola.
Si avvicinarono per parlare con lui. Mr. Douglas sembrava essere molto triste. Riconobbe Nicola e gli strinse la mano, sempre continuando a guardare il mare.
“E’ già venuto qui a Anzio, nel passato?”, gli domandò Susanna, incuriosita.
“Si.”, rispose l’americano, senza aggiungere altro.
Passò un po’ di tempo. Il silenzio era interrotto solo dall’incessante stridio dei gabbiani che, a decine, sorvolavano la zona, pronti a gettarsi in picchiata su qualche pesce affiorante dall’acqua.
Fu Susanna la prima ad accorgersi di quelle lacrime.
“Il tuo americano sta piangendo.”, disse, rivolta al suo fidanzato il quale, stupito, mise subito una mano sulla spalla del signor Douglas.
“Mr. Douglas? Si sente male?”.
Lo accompagnarono verso una panchina e lo fecero mettere seduto.
Susanna aprì la borsa e tirò fuori un fazzoletto con il quale prese ad asciugare gli occhi dell’anziano signore.
Poi, improvvisamente, l’uomo iniziò a parlare.
“ Era lo stesso giorno di oggi, il 22 gennaio. Ma l’anno era il 1944.”
“Settanta anni fa!”, esclamò stupefatto Nicola.
“Avevo appena compiuto venti anni, la stessa età che aveva la maggioranza dei ragazzi che si trovavano intorno a me su quel mezzo da sbarco.”
“Ma quali ragazzi?”, domandò Susanna che non riusciva proprio a capire.
“Noi eravamo i ragazzi della 45ª divisione di fanteria, comandati dal generale Eagles. Fummo i primi a sbarcare, alle 2 e 45 del mattino. C’era la luna piena, il mare era completamente illuminato. Eravamo dei bersagli fin troppo facili. I maledetti crucchi della Panzergrenadier-Division aprirono il fuoco a raffica.”
“Ma vi colpirono?”, domandò ingenuamente Nicola.
“Li vidi cadere quasi tutti, uno dopo l’altro. Jim Davis era il mio migliore amico. Eravamo cresciuti insieme. Stessa scuola, stesso quartiere, stessa squadra di baseball. Avevo promesso alla sua ragazza che l’avrei riportato sano e salvo dalla guerra. Non ci sono riuscito. Un colpo di cannone lo ha fatto saltare in aria, a due passi da me. Di lui non c’è rimasto quasi niente. Solo un braccio che galleggiava nel mare, a due passi da me. Alla mano sinistra c’era ancora l’anello di fidanzamento che gli aveva regalato la sua fidanzata.”
Susanna guardò istintivamente l’anello che gli aveva appena regalato Nicola, poi si mise a piangere, senza riuscire a fermarsi.
Più tardi i due accompagnarono il signor Douglas a visitare il Museo dello Sbarco che si trova a villa Adele, ricco di fotografie, filmati e documenti originali. E infine andarono insieme sulla via Nettunense a visitare il bellissimo Cimitero in cui erano sepolti quasi ottomila soldati americani caduti in Italia. Deposero dei fiori sulla tomba di Jim Davis e, insieme, restarono in silenzio, a dire una preghiera.