Steve e Linda sono una coppia americana che dal ’99 vivono a Roma, dove gestiscono The Beehive Hostel, ma l’anno scorso, quando il mondo è stato bloccato dalla pandemia, hanno iniziato a produrre bagel. È nato tutto come un gioco, con la volontà di infondere gioia in quei giorni terrificanti e oggi continua a procedere nella sua missione con notevole successo. Chiunque abbia mai gustato un bagel di New York tende ad andare alla ricerca di quella dolce delizia anche quando è lontano dalla città. E così Steve, quasi per caso, ha fatto scoprire agli italiani i suoi soffici bagel, tanto che sono diventati una sorta di poesia culinaria che approda in tutta Italia grazie al servizio delivery. De Beehive Bagels è una di quelle storie di coraggio, tutto americano, e mentre Steve Brenner la racconta, dalle sue parole emerge quanto l’amore e il rispetto delle proprie tradizioni può arrivare a nutrire una moltitudine di cuori.
Com’è nata l’idea di Beehive Bagels ?

“Per necessità e per un’idea di mia moglie, quando a ottobre dell’anno scorso in pieno lockdown mi ha proposto di cucinare i bagel, quelli che un tempo offrivamo nelle colazioni del nostro ostello. Una serie di coincidenze fortunate che si sono unite al momento giusto, i bagel sono un cibo pratico e soprattutto per i molti americani bloccati in Italia è stato un cibo amico e così sono entrati nelle case in punta di piedi diventando un conforto anche per gli italiani”.
Fornite un servizio di delivery e take away nella città di Roma e in tutta Italia. Sono tanti i consumatori italiani che preferiscono i bagel al cornetto e cappuccino?
“No, il mercato italiano è ancora da conquistare, non è semplice soprattutto perché i bagel che esistono in commercio in Italia non sono di qualità e così vengono scartati dalla spesa quotidiana. Tutto a causa della cattiva esperienza che può creare un’idea distorta. Tanti sono gli italiani che non sanno cosa sia un buon bagel oltre al fatto che la colazione salata è un’abitudine molto americana”.
I bagel prima di diventare cibo alla moda e associato a New York erano mangiati solo dalle comunità ebraiche. Porta con se il senso di questa tradizione e li associa alla sua infanzia?
“Si, io sono americano ed ebreo quindi per me rientra nella quotidianità, è il pane della mia infanzia. Quando la mia famiglia si trasferì per un periodo in Colorado, mi ricordo che non c’erano buoni bagel e tutte le volte che qualche parente veniva a farci visita, riempivano le valigie di bagel freschi perché non desideravamo altro”.

Negli anni Venti i bagel venivano fatti a mano a Manhattan da ebrei immigrati dall’Europa Orientale. Le condizioni di lavoro erano tremende tanto che si diceva “Dormi a terra e cuoci bagel”. Quanti bagel sforna ogni giorno e quali sono le difficoltà che ha dovuto affrontare?
“Entro le dieci del mattino sforno tra i 100 e i 400 bagel, sopratutto se abbiamo molte spedizioni, durante il lockdown ne sfornavo 1200 a settimana. Le difficoltà ci sono, sopratutto perché non ho un locale tutto mio ma inforno i bagel nella pizzeria Mr Crunch. Deve sapere che quando la richiesta durante la pandemia è diventata tanta, la cucina dell’ostello che gestisco non ce la faceva a sopperirla così sono stato ospitato. Certo i tempi che ho a disposizione sono stretti così come gli spazi e la temperatura del forno è adatta per le pizze ma non per i bagel, tanto che devo continuamente controllarla. Ma la difficoltà più grande è la lievitazione, se l’impasto ha troppa o poca aria al suo interno, sa cosa succede? Una volta che lo metti nell’acqua in ebolizione, collassa e si appiattisce oppure diventa un sasso. Quanto è difficile trovare l’equilibrio magico!”.
Mi racconti le soddisfazioni.
“Il loro profumo non stanca mai, si sente dall’angolo della strada, è così intenso e poi quanto sono carini, mettono allegria. Mi emoziono quando un newyorkese mi dice che non sente la differenza con quelli che mangia in città”.
Pane a forma di ciambella, bollito brevemente in acqua e poi cotto al vapore. Si dice che le ricette semplici sono quelle più difficili da cucinare. La sua le è stata tramandata ?
“No, non mi è stata tramandata, nella mia famiglia erano più le volte che si mangiavano quelli in scatola, buttati nel forno a microonde, che quelli freschi. La ricetta viene dalla mie memorie sensoriali ed è tutta farina del mio sacco”.

Tra le tante varianti il più newyorkese che avete è decisamente il Pumpernickel, con impasto a base di segale e cumino. Un sapore impossibile da trovare in Italia che catapulta oltreoceano. Quali sono i gusti più gettonati?
“La mia sorpresa è che tanti sono amanti del gusto cannella e uvetta che io trovo il meno interessante, il migliore è quello alla cipolla, mentre quelli ai semi di papavero e sesamo sono deliziosi. Il Pumpernickel ha un posto speciale nel mio cuore e nella mia infanzia. Molti mi chiedono quello ai mirtilli, ma sono troppo costosi e poco tradizionali così abbiamo deciso di non inserirli”.
Come si deve mangiare un bagel?
“Ci sono i puristi che non li tostano, ma io consiglio anche se sono freschi di scaldarli, sono più buoni. Il problema è che molti italiani non hanno il tostapane, l’elettrodomestico fondamentale per rendere un bagel perfetto, perchè lo lascia morbido dentro e dorato all’esterno, così il burro rigorosamente salato, si spalma velocemente. Ho scoperto che è un ingrediente che fa storcere il naso a molti italiani anche se quelle poche volte che sono riuscito a convincerli sono rimasti a bocca a porta. Che soddisfazione!”

Nel 1951, il New York Times, in un articolo sullo sciopero dei panettieri di bagel, ritenne necessario fornire una guida alla pronuncia (“baygle”) e definirlo come un “rotolo con superficie smaltata con pasta bianca soda”. Si trova spesso nella condizione di dover spiegare cosa sono ?
“Si, mi chiedono soprattutto come si pronuncia, ma per gli italiani noto che dopo diversi tentativi tornano a sbagliare, ho capito che è un suono strano per loro. Tante volte mi trovo a spiegare cosa sono, li confondono in molti per ciambelle dolci e per tanti è una vera e propria scoperta”.
Di solito ci si avvicina ai cibi di paesi esteri per curiosità e spesso è difficile che si tramuti in abitudine. È impegnativo mantenere viva una tradizione culinaria lontana dal suo paese d’origine ?
“Dipende, consideri che la farina italiana è migliore di quella americana, sia economicamente che per la qualità, unire le culture rende le cose più semplici a volte. Negli Stati Uniti avrei troppa competizione”.
La forma ad anello simboleggia il ciclo della vita e rappresentava un augurio di buona sorte. Cosa si augura di realizzare in questo nuovo tempo post pandemico?
“Il nostro sogno è di aprire un laboratorio per solo bagel e concentrarci soprattutto sul delivery in tutta Europa. Vorrei anche introdurre i cookies americani e il venerdì il pane ebraico. Un grande spazio per cucinare tutto mio e una piccola finestra che affaccia sul mondo, ecco si questo è il mio sogno”.