L’Italia, culla del melodramma, ha dato i natali non solo a grandi musicisti, ma anche a librettisti rinomati in tutta Europa, come Lorenzo da Ponte, personaggio longevo e prolifico, caratterizzato da un’inesauribile esuberanza, celebre soprattutto per la sua collaborazione con Mozart.
Da Venezia a Vienna, a Londra, fino a New York: una vita avventurosa, che Da Ponte ha raccontato nelle sue Memorie, paragonabili per ricchezza a quelle di Casanova (di cui era amico). Un lungo viaggio dalle corti dell’Ancien Régime alla libertà del Nuovo Mondo.

Da Ponte nasce a Vittorio Veneto nel 1749, da genitori ebrei, poi il padre, rimasto vedovo, si converte al cattolicesimo insieme ai figli, per sposare una giovane cristiana. Lorenzo viene mandato a studiare in seminario e infine diventa prete.
Si trasferisce a Venezia, dove insegna e scrive, ma soprattutto, a dispetto dei voti sacerdotali, si dà a uno sfrenato libertinaggio, e tra adulteri, concubine, case di piacere e figli illegittimi, a poco più di trent’anni è costretto a scappare.
Ripara a Vienna, dove si inserisce molto bene alla corte di Giuseppe II e ha modo di scrivere per il teatro. Lavora, tra gli altri, con Salieri e finalmente con Mozart, con cui instaura il sodalizio decisivo, scrivendo i libretti per Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, tra 1786 e 1790. Inimicatosi la corte imperiale, cambia vita, sposa la giovane Nancy e si trasferisce a Londra, dove oltre a scrivere si dà a varie attività imprenditoriali per dieci anni.

È ormai un uomo maturo, quando decide di trasferirsi con la famiglia negli Stati Uniti. A cinquantasei anni sbarca a New York, dove conosce Clement Clarke Moore, figlio del preside del Columbia College, grazie a cui tiene un corso di lingua italiana. Si sposta a Sunbury, a Filadelfia, torna a New York: scrive, insegna, fa il libraio, l’editore, il commerciante, lo speziale. Nel 1811 diventa cittadino americano.

Nel 1825 Moore riesce a fargli avere un posto di insegnante di italiano alla Columbia: Da Ponte è il primo docente italiano dell’ateneo.

Non abbandona però il teatro: riesce a portare l’opera italiana in America, primo titolo Il barbiere di Siviglia di Rossini. Tra i cantanti, c’è la giovane Maria Malibran. Poi va in scena il “suo” Don Giovanni. Sogna di fondare un teatro stabile italiano e ci riesce nel 1833: apre l’Italian Opera House.
Morirà a ottantanove anni, nel 1838, in Spring Street. È salutato da funerali solenni, nella Vecchia Cattedrale di St. Patrick, in Mulberry Street, e qui seppellito, ma i suoi resti vengono dispersi, forse trasferiti in seguito nel Calvary Cemetery nel Queens, dove una targa lo ricorda.
Un grande newyorkese come Paul Auster gli ha dedicato alcune pagine della sua Trilogia di New York: uno dei protagonisti, che nei cortili della Columbia si imbatte nella sua statua, lo definisce un uomo che aveva vissuto non due, ma cinque o sei vite diverse.