Francesca Agneta è stata una cara amica e una presenza rassicurante durante i mei anni a New York. A qualunque ora, in qualunque momento sapevo che la porta di casa sua dove viveva con Massimo Tommasoli, un compagno che l’ha amata tantissimo e al quale va il mio pensiero, era sempre aperta. Insieme, sono sempre stati per me un rifugio sicuro dove sapevo che avrei trovato un consiglio, un momento di allegria, un confronto appassionato su quanto accadeva in Italia, paese che Francesca pur vivendo da anni a New York ha sempre avuto nel cuore.
Mi divertiva chiacchierare con lei passeggiando a Central Park. Era curiosa, colta e non si rassegnava a vedere la mancanza di passione civica che attraversava il suo paese di origine. Quante discussioni abbiamo fatto sulla faticosa situazione politica italiana. Ci metteva passione in tutto quello che faceva e non perdeva occasione di avvicinare quei politici di passaggio a New York per dire loro cosa sarebbe stato meglio fare per aumentare la partecipazione degli italiani all’estero. Non si rassegnava mai e aveva ragione.
Quanti film abbiamo visto insieme e quante mostre al Metropolitan, uno dei suoi luoghi preferiti dove ci piaceva rifugiarci anche per prendere un te al bar del primo piano. E quanti concerti al Lincoln Center, un altro dei luoghi che amava tantissimo.
Non si stancava mai e non si accontentava della superficialità. Doveva approfondire tutto, andare di persona a scoprire i luoghi dove avevano vissuti i grandi scrittori e i grandi architetti. Alcune volte, scherzando, le dicevo che ero una giornalista superficiale, di non esagerare con la cultura con me, perché non ce la potevo fare. Lei rideva e ricominciava a raccontarmi quello che aveva letto sull’ultimo inserto culturale della domenica del Sole 24 ore, un appuntamento che non poteva perdere.
E’ stata lei a farmi scoprire luoghi che ignoravo di New York, a portarmi ai concerti dentro il Palazzo dell’ONU, a raccontarmi aneddoti e curiosità sulla città, a svelarmi ingressi di palazzi storici bellissimi, ma anche a farmi fare il tour dei roof top più belli con annesso aperitivo. Non è mai riuscita a trascinarmi al Museo della matematica, un altro dei suoi luoghi del cuore dove prometto andrò, pensando a Francesca, non appena riuscirò a tornare nella Grande Mela.
Amava i giovani ed è stata una fonte di ispirazione per i suoi nipoti che seguiva passo passo nella loro crescita culturale e si appassionava con loro e per loro. Mi ha sempre colpito la sua energia, la sua voglia di vivere. Nell’ultimo anno, dopo la scoperta della malattia, mi sono mancate le nostre chiacchierate. Si stancava e non riusciva più a stare al telefono, lei che ci passava ore con le amiche. Ogni tanto mi mandava dei messaggi e articoli di giornale su mostre che avrei potuto andare a vedere quando i musei erano stati riaperti. Era rassicurante vedere che aveva ancora la voglia di leggere e approfondire. Poi nelle ultime settimane i messaggi sono cessati. La malattia stava avendo il sopravvento anche su una combattente come lei.
Mi piace ricordare Francesca al Cherry Blossom Festival in una bella giornata di sole a primavera a Roosvelt Island. Eravamo andate insieme e ci siamo divertite a passare da uno spettacolo all’altro. Era sorridente, allegra e come al solito piena di voglia di fare. Riguardo le foto che ci eravamo fatte sotto i ciliegi in fiore come due vere turiste, con i grattacieli a fare da sfondo. Si, era stata proprio una bella giornata!