Sono già intervenuto due volte su questo giornale, una sull’affaire Cristoforo Colombo a proposito della strumentale abolizione del Columbus Day e una sugli storici autori del genocidio degli autoctoni, i detti “Pellerossa”, gesta degli antenati dei moderni wasp, che ardirono immortalare la secolare strage con l’epica saga della conquista del West. Con questa squallida epopea di bianchi buoni e di “pellerossa” crudeli selvaggi si è presentata la Merica dopo la cosiddetta liberazione dell’Italia. Siamo stati subissati da migliaia di film del genere definito Western. Tanto fu l’impatto sulla nostra cultura dallo sbarco americano e dalla loro definitiva presenza militare che anche quando essa si stabilizzò e non ebbe più bisogno di un epos, il filone redditizio entrato nella coscienza italiana fu proseguito dal “western all’italiana”. Almeno questo tuttavia avanzò timidamente qualche accenno di revisionismo storico su quel “buono” e “selvaggio”. Fu anche in quell’immediato dopo guerra che inorridii alla lettura di Furore (The Grapes of Wrath, allusione dall’Apocalissi, trad. di Carlo Coardi, 1940), la sintesi drammatica di John Steinbeck di tutta una serie di nuove riflessioni di tutti gli autori del tempo (da Hemingway a Dos Passos). E ancor alla visione del film dello stesso anno con Henry Fonda (7 nomination). Nel 2017, per la “Giornata Nazionale per le vittime dell’immigrazione”, alle Officine Mirafiori, il romanzo fu analizzato da Alessandro Baricco per RAI 3. Tralascio Sacco e Vanzetti.
Ribadisco che sono antifascista per DNA e democratico per spirito e intrinseca fede nella parola di Cristo, quello di “ama il prossimo tuo come te stesso”. E perciò nei limiti imposti dalla storia un ammiratore della Costituzione USA, nata da una complessa rimodulazione di spirito illuministico, e ne lodo le fondamenta gettate in quel lunedì 17 settembre 1787, alla Convenzione di Filadelfia, in Pennsylvania, e ratificata dalle speciali “Convenzioni” dei tredici stati primitivi.
Il sublime ideale della Confederazione dei 13 era detto nella premessa:
«Noi, Popolo degli Stati Uniti, allo Scopo di realizzare una più perfetta Unione, stabilire la Giustizia, garantire la Tranquillità interna, provvedere per la difesa comune, promuovere il Benessere generale ed assicurare le Benedizioni della Libertà a noi stessi ed alla nostra Posterità, ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione per gli Stati Uniti d’America».
E questo inno alla Libertà era meglio precisato dal celebre primo emendamento:
«Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero esercizio di una religione; o che limiti la libertà di parola o di stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente, e di rivolgere petizioni al governo per la riparazione di torti».
In essa non si distinguevano bianchi e “pellerossa”, come in seguito “negri” o italiani. Sì, perché fino ad un certo periodo gli Italiani furono considerati degli schiavi alla stregua dei neri.
Ci fu un tempo all’inizio, nell’VIII secolo nell’Impero bizantino, l’iconoclastia di Leone III e di Costantino V. Seguì nella IV Crociata la fusione di gruppi statuari di bronzo di mirabile bellezza per bottino, durante i saccheggi, le distruzioni e le profanazioni operate dai Veneziani descritte da Nicete Coniata. Poi venne il vandalismo di secoli di profanatori fino agli jihadisti, dai dissacratori talebani che abbatterono con la dinamite i monumentali Buddha di Bamyane e ancora la distruzione delle rovine di Palmira in Siria compiuta dall’Isis. Nel primo processo in assoluto per questo crimine, il procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja, lo definì «Un cinico attacco contro la dignità e l’identità di intere popolazioni e contro le loro radici storiche e religiose».
Sono state tutte forme di fanatismo ed estremismo religioso che portò alle autobombe e può giustificare qualcosa come otto Crociate dal “Dio lo vuole” della prima del 1095 al 1099 fino all’VIII dal 1270 al 1274, dichiarate per altri motivi che esulavano da Cristo e Maometto.
Perciò strabiliante è l’esplosione in atto di una moderna iconoclastia in tutto l’Occidente che suole presentarsi come democrazia libertaria. In primo piano l’orrore dei recenti episodi di violenza in difesa dell’assassinio di George Floyd. E caso strano e fuori luogo la ripresa della campagna contro Colombo, responsabile soltanto della scoperta del nuovo mondo, e non genocida come furono gli hidalgo spagnoli mandati da Los Reyes Católicos, Ferdinando ed Isabella, e poi gli wasp (no, non “vespa”, ma acronimo di White Anglo-Saxon Protestant), che occuparono tutto il Nord e decimarono le tribù dette “indiane”. Sulla storia delle moderne riserve ho detto ampiamente in questo giornale. È soltanto pazzesco che in nome del razzismo si richiami in forma anacronistica Cristoforo Colombo e, si può immaginare da quale pulpito si passi ad una orrenda furia iconoclasta, che richiama l’agire di tante dittature.
Il 10 giugno 2020 nella civile Minneapolis la sua statua è stata abbattuta, senza che quella stessa Polizia lo impedisse. Dall’immagine dei media non è stata cosa tanto da poco da restare inosservata o apparire inattesa. Nella notte precedente a Boston, altra sua statua era stata decapitata. Martedì notte, altra statua era stata divelta e gettata in un lago a Richmond, in Virginia. Gli equivoci manifestanti hanno utilizzato varie funi per rimuovere la statua e hanno apposto sul restante basamento lo slogan “Colombo rappresenta il genocidio”. C’è da chiedersi perché i black dovrebbero avercela con l’italiano Colombo, progenitore di tante vittime, come loro, del razzismo dei wasp. Sì, perché fino a qualche anno fa gli italiani era considerati alla pari dei black. Proprio quelli che con le loro braccia hanno costruito l’America accanto ai black, schiavi dei negrieri del cotone e loro creatori di reddito.
Sembra che ben poco sia successo dopo la suggestiva e commovente La capanna dello zio Tom (Uncle Tom’s Cabin or Life Among the Lowly), del 1852, risposta alla legge del 1850 sulla denunzia degli schiavi fuggitivi. Cose che da noi avvenivano sotto i nostri conquistatori Normanni, sbarcati in Sicilia nel 1061 per liberarci dell’Islam in nome di Cristo, con la resa in schiavitù degli Arabi residenti e con la tratta di schiavi africani musulmani, razzia prerogativa del loro governo per qualche secolo, come il celebre Trattato dell’Asiento, in conseguenza dei trattati di Utrecht (1713) e Rastadt (1714), con il quale la Gran Bretagna ottenne, per trent’anni, il monopolio del commercio degli schiavi verso i territori americani controllati dagli Spagnoli.
Ironia della storia domenica 7 giugno scorso a Bristol è stata abbattuta la statua del 1895 di Edward Colston (1636-1721), negriero, ma anche filantropo finanziatore di chiese anglicane a Londra, trascinata per le strade e gettata nel fiume Avon, ma ancora più pazzo e insensato lo sfregio della statua di Winston Churchill primo ministro conservatore e salvatore di Londra: sulla base della cui statua, dinanzi al Parlamento di Londra è stato scritto: «Era un razzista».
La più grave stranezza è che negli Stati, storicamente razzisti, per leggi razziste emanate ed attuate, in Germania e nell’Italia dei bravi razzisti, non è stata decapitata alcuna statua, né buttata nello Sprea, nel Tevere o nel Naviglio. O forse non esistono più statue di Hitler e Mussolini, ma ci sono sicuramente quelle di Giolitti, quello del «posto al sole» per la pascoliana “grande proletaria” e dei generali della guerra libica ed etiopica. Almeno finora, perché ormai si può manipolare e muovere le piazze con pochi soldi.
L’orrendo della faccenda è che tutto ruota intorno alle rielezioni di un uomo che si offre davanti alla chiesa di St Paul a Washington con la Bibbia sul petto, come il nostro Salvini con il rosario in mano e la mascherina tricolore. E l’evento più pericoloso è che si può incendiare il mondo con un gruppetto di manipolati che si ergono a rappresentanti di una Nazione o di una ideologia. Un gruppo devastatore in una strada o un manipolo di manifestanti in una piazza rappresentano una Nazione.
Se questa è politica è troppo sporca, se è democrazia allora anch’io ho diritto di profanare e buttare nel fiume i simboli dei miei propalati nemici.